Venti mesi dopo il suo sequestro, tortura e omicidio avvenuto al Cairo il 3 febbraio del 2016, per mano degli apparati del Regime di Al Sisi, l’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni torna a chiedere conto delle reticenze dell’Università di Cambridge. Il 9 ottobre scorso la procura di Roma ha trasmesso una nuova richiesta di rogatoria alle autorità giudiziarie inglesi chiedendo formalmente che venga interrogata la tutor di Giulio dopo che, per un anno e mezzo, si è volontariamente sottratta a ripetute richieste di testimonianza da parte dei giudici italiani. Repubblica è entrata in possesso della rogatoria, un documento di 12 pagine, e nella sua inchiesta svela dettagli che pongono ora le autorità inglese, di Governo e accademiche, di fronte a un bivio: dire la verità o continuare a tacerla e dissimularla.
Tra i fatti accertati da Repubblica, la circostanza che vede Giulio Regeni consegnare alla sua tutor Maha Abdel Rahman i dieci report oggetto di una prima parte della sua ricerca sui sindacati indipendenti il 7 gennaio 2016. Diciotto giorni prima di essere sequestrato dagli uomini degli apparati egiziani, lo stesso giorno in cui per conto della National security, il servizio segreto civile del Regime, Mohammed Abdallah, allora leader del sindacato degli ambulanti, lo tradì registrando di nascosto conversazioni e immagini che avrebbero dovuto accreditare la menzogna che voleva il nostro ricercatore spia e sovversivo.
Un veleno oggi definitivamente fugato dalle parole dei magistrati romani nella loro rogatoria all’Inghilterra. “E’ pacifico come non vi sia nessun elemento che autorizzi a ritenere che Giulio Regeni avesse altri interessi lavorativi o attività nel Regno Unito che non fossero la sua attività di ricerca”.