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L'ESPRESSO

Che fine ha fatto la Guardia Costiera?

  • Ott 31, 2014
  • Pubblicato in L'ESPRESSO
  • Letto 3000 volte

l'Espresso
31 10 2014

Con Mare Nostrum tutti i soccorsi ai migranti affidati alla Marina militare. Mentre per legge la missione spetta al Corpo. Che potrebbe realizzarla con costi di gran lunga inferiore. Lo spiega uno studio della Fondazione Icsa

Entro pochi giorni terminerà l'operazione Mare Nostrum, la più grande azione umanitaria mai realizzata nel Mediterraneo, lasciando un buco nero nel soccorso all'assistenza dei migranti. La missione europea Triton non la sostituirà: i compiti della flottiglia Ue si fermeranno alle acque territoriali. E governi chiave come quello britannico hanno già detto di essere contrari persino a operazioni del genere, perché incentivano l'esodo verso Nord delle popolazioni in fuga da guerre, dittature e fame.

In un anno Mare Nostrum ha fatto arrivare sul territorio dell'Unione quasi 150 mila persone, che in parte hanno poi lasciato il nostro Paese grazie alla mancanza di identificazione al momento dello sbarco. Un'ondata sfruttata dai partiti della destra xenofoba per aumentare il consenso interno, soprattutto in Gran Bretagna e Francia. La realtà però lascia poco spazio alle manovre politiche: le traversate proseguiranno. Perché Siria, Iraq, Libia e Sudan sono devastate dalla guerra civile; perché in Palestina le ferite dell'ultimo scontro con Israele non sono state sanate; perché gli eritrei vogliono fuggire dal regime e dalla depressione economica; perché nei Paesi dell'Africa occidentale alla cronica arretratezza economica adesso si è aggiunto lo spettro di ebola.
Le scelte europee lasciano il problema interamente nelle mani del nostro governo. Ed ecco che uno studio della Fondazione Icsa, il più autorevole think tank italiano sulle questioni strategiche, presenta una soluzione a dir poco ovvia: affidare la gestione a chi per legge ne è incaricato, ossia la Capitaneria di Porto con la sua Guardia Costiera.

Le regole sono chiare: spetta alla Capitaneria coordinare i soccorsi. Ma questa istituzione è rimasta una cenerentola, poco nota ai cittadini nonostante fiction tv e altre manifestazioni promozionali. Stando allo studio, però, dispone di uomini, mezzi e strutture per fronteggiare le emergenze, anche quelle più difficili. Un anno esatto fa il governo di Enrico Letta l'ha esautorata dai suoi compiti, affidando il controllo del Canale di Sicilia alla Marina Militare. Che ha realizzato un'impresa titanica. La lettura dello studio della Fondazione Icsa lascia una riflessione amara sull'abitudine del nostro Paese a gestire tutto secondo la logica dell'emergenza. Gli sbarchi in Sicilia avvengono ormai da decenni, senza che però sia stata predisposta una rete organica di monitoraggio, assistenza e accoglienza. A ogni ondata, come due anni fa in occasione delle primavere arabe, si riparte da zero, spesso nel caos.
In teoria, a disposizione ci sono mezzi abbondanti: oltre alla Capitaneria e la Marina, la flotta navale e aerea della Guardia di Finanza, gli elicotteri di Aeronautica, carabinieri e polizia. In un decennio non c'è stata mai la costituzione di una struttura integrata per l'intervento in mare, né per alloggiare i migranti e garantire i diritti dei rifugiati politici.

Uno dei primi effetti dell'improvvisazione, sottolineato dal dossier della Fondazione Icsa, è il costo sproporzionato. Non c'è “economia di gestione”. Il dispositivo della Marina si è dimostrato potente, ma ha una spesa di gestione alta, tipica di tutti gli strumenti militari, pensati per agire in condizioni estreme. Le navi che vanno a intercettare le carrette del mare hanno radar, missili, cannoni, motori ad alte prestazioni ed equipaggi numerosi. Lo stesso accade per gli elicotteri, con apparati elettronici e di difesa, o per i vetusti aerei a lungo raggio Atlantic. Fino al paradosso dei carissimi sottomarini d'ultima generazione, pagati poco meno di mezzo miliardo l'uno, mandati a scoprire barconi e inseguire gli scafisti.

Le dotazioni della Guardia Costiera invece sono “civili”: hanno motori meno “assetati” e soltanto le strumentazioni che servono per le missioni di ricerca e soccorso in mare, senza bisogno di personale abbondante. In particolare i pattugliatori d'altura “classe 900” possono accogliere fino a 600 profughi con una spesa di gran lunga inferiore alle fregate o alle corvette militari. Identico discorso per gli elicotteri e gli aerei, derivati da modelli commerciali.

Di sicuro, però, oggi i ranghi della Capitaneria non bastano per fronteggiare la crisi umanitaria. Il rapporto prende in considerazione l'ausilio che può venire dal coordinamento con la flotta della Guardia di Finanza. E la necessità di ricorrere ad altri apparati. Anzitutto i satelliti. L'Italia ha una costellazione di spie orbitanti, chiamata Cosmo Skymed, che è costata miliardi di euro ma finora non è stata usata per sorvegliare flussi di migranti e barconi.

Un altro incentivo low cost può venire dai droni, che restano in volo per ore pattugliando ampi spazi di mare con una spesa ridotta: strumenti che possono anche venire affittati. Scrive il rapporto: «Sarebbe forse ora che la Pubblica Amministrazione iniziasse ad orientarsi verso forme di affidamento esterno, già molto diffuse in altri paesi, certamente più efficaci e meno dispendiose rispetto a gestioni “in house” oramai in grande sofferenza». Manca poi una “centrale di comando navigante”, che possa fare da ospedale e centro di polizia. «In proposito, esperti del settore ci hanno dichiarato che l'eventuale carenza sarebbe facilmente ovviabile con l'affitto di una sola nave commerciale a costi relativamente bassi: un milione di euro al mese circa, che sono ben altra cosa rispetto ai costi di Mare Nostrum».

I fondi per questi interventi vanno chiesti all'Europa. Il ministero dell'Interno tra il 2006 e il 2007 ha ricevuto 211 milioni per il controllo delle frontiere, finanziamenti usati però soprattutto per acquistare mezzi che non vengono impiegati nel controllo del Canale di Sicilia, come gli elicotteri Agusta Aw 139 della Polizia.

Nei prossimi sette anni il governo di Roma dovrebbe far valere il peso di quello che stiamo facendo, alla luce di un fatto chiaro: il respingimento in mare è vietato dalle leggi internazionali, soccorrere i migranti è obbligatorio. Invece Bruxelles in soli due anni ha assegnato alla Grecia ben 230 milioni alla scopo di tenere i migranti lontani dalle coste, con soli 20 milioni per le operazioni di accoglienza.

Una cifra superiore a quella destinata all'Italia. Conclude il dossier: «Fintanto che l’Europa non comprenderà che il problema dell’immigrazione deve essere condiviso tra i vari Stati, attraverso l’adozione di una politica comune volta al soccorso, all’accoglienza e all’assistenza prima che al respingimento, le conseguenze negative di questo fenomeno non faranno che peggiorare».

Gianluca Di Feo

L’Espresso
28 10 2014

Piegate a raccogliere pomodori e zucchine nelle serre della provincia di Ragusa che, in estate, il caldo e i fertilizzanti trasformano in un inferno che taglia il respiro. Poi, alla fine del turno sfiancante, costrette a soddisfare le voglie sessuali del padrone italiano. L’inchiesta de “l’Espresso” ha raccontato le schiave di Ragusa: lavoratrici, molte anche madri, che vengono soprattutto dall’Europa dell’Est. Braccianti romene ridotte in schiavitù. Dopo gli articoli di Antonello Mangano e la video inchiesta di Duccio Giordano i Carabinieri di Ragusa hanno deciso di aprire un’istruttoria. Anche il Parlamento si è mosso con due interrogazioni presentate da Sel e Pd.

In questa prima fase delle indagini le donne dell’Arma avranno un ruolo fondamentale: saranno loro ad avvicinare le presunte vittime che, altrimenti, di fronte a un uomo in divisa potrebbero restare in silenzio. Gli inquirenti ritengono fondamentali anche le testimonianze delle operaie italiane e straniere che lavorano tra Vittoria e Santa Croce Camerina, nella cosiddetta “Fascia trasformata”, dove all’agricoltura tradizionale si è sostituita la coltivazione nelle serre per produrre primizie tutto l’anno.


Gli investigatori hanno già controllato più di 150 persone e una cinquantina di capannoni aziendali. I primi accertamenti, concentrati sulle imprese più grandi, proseguiranno a tappeto in tutta la provincia. I militari stanno bussando alle porte anche delle ditte a gestione familiare. È nelle piccole realtà, infatti, che è più diffusa la violenza sulle braccianti. Una volta raccolte le informazioni e interrogati i testimoni (alcuni intervistati nel nostro reportage), i detective scriveranno una relazione che sarà inviata alla procura della Repubblica di Ragusa.

Insomma, gli imprenditori che esercitano una sorta di ius primae noctis medievale sulle dipendenti, alcune anche minorenni, sono finalmente entrati nel mirino degli investigatori. Sebbene le prime denunce di sindacalisti e cronisti sui “festini agricoli” siano datate 2010, niente sembra cambiato per le “schiave dei campi”.

Cinquemila donne lavorano nelle serre della provincia siciliana. Vivono segregate in campagna. Spesso con i figli piccoli. Nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale. Una realtà fatta di aborti, “festini” e ipocrisia. Dove tutti sanno e nessuno parla


Una realtà terribile, fatta di violenze, aborti, omertà. In queste campagne è spesso il diritto feudale a regolare i rapporti di lavoro. Con i signorotti locali che decidono della vita dei sudditi. Uno sfruttamento intensivo di braccia. Che diventa duplice per le ragazze, costrette a prostituirsi dopo una giornata intera passata sotto i teloni delle serre. Di queste relazioni forzate, spesso senza protezioni, le donne pagano le conseguenze peggiori: chi resta incinta decide di interrompere la gravidanza con ogni mezzo, visto che all’ospedale di Vittoria i medici sono tutti obiettori di coscienza.

Don Beniamino Sacco è il sacerdote che per primo ha denunciato i “festini agricoli”: «Sono diffusi soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare. Le giovani madri, che non riescono ad abortire, sono poi costrette ad abbandonare i figli». Tre anni fa il parroco ha mandato in carcere un padrone sfruttatore. Tra le storie raccolte da “l’Espresso” c’è quella di Luana ricattata e umiliata dal padrone che in cambio di un passaggio in paese ha preteso prestazioni sessuali. O la denuncia di Alina: «Possono prendere il mio corpo. Ma l’anima no. Quella non possono toccarmela».

Dopo l’inchiesta dell’Espresso, due interrogazioni parlamentari sul caso delle immigrate dalla Romania violentate e seviziate. Avviato in prefettura a Ragusa l’iter per un protocollo d’intesa che coinvolgerà anche gli agricoltori. E la stampa della Romania si interessa al caso


In questo angolo d’Europa, a Sud di Tunisi, tremila aziende producono l’ortofrutta che troviamo in tutti i supermercati. Secondo i sindacati le persone occupate nelle serre oscillano tra 15 mila e 20 mila. Su queste braccia, a costi bassi e senza diritti, si regge un pezzo dell’economia italiana.

L’Espresso
21 10 2014

Più di mese senza sostegno. In aula abbandonati. La scuola è iniziata per tutti, ma per gli studenti con disabilità l’insegnamento e il diritto allo studio è ancora solo una speranza.

Zero programmazione, graduatorie esaurite e genitori costretti a rimanere in aula. La disperazione di chi chiama i carabinieri per denunciare il Comune e la vergogna di bagni inaccessibili. Il braccio di ferro per spartirsi le briciole delle ore di assistenza e i ricorsi al Tar per ottenerle in deroga. E l’amara constatazione di una madre:«Non otteniamo nulla senza scandali e urla».

Ecco l’altra faccia dell’istruzione italiana, attraverso il racconto delle testimonianze dirette. Il calvario quotidiano di tanti dei 230 mila alunni iscritti all’anno scolastico 2014-2015. Rappresentano meno del tre per cento dei quasi otto milioni di studenti che ogni giorno vanno a lezione, ma sono un problema insormontabile per presidi e provveditori.

Per loro ci vorrebbero migliaia di insegnanti preparati ad hoc e in grado di garantire il rapporto di uno a uno, indispensabile per seguirli nelle attività quotidiane. Nella realtà i docenti si fanno carico anche di cinque-sei studenti con ore tagliate e un tira e molla per la nomina.

La causa? La piaga della precarietà per i docenti. Le nomine da ripetere ogni anno diventano mesi persi senza il sostegno. Significa buttare al vento dalle 4 alle 10 ore alla settimana di lezioni individuali e un percorso di inserimento su misura.

Un problema soprattutto al Sud, dove non ci sono enti locali in grado di finanziare assistenti che sopperiscano, almeno in parte, alla carenza di insegnanti. Tanto da allarmare anche il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini:«Mi preoccupa l’aumento di alunni disabili che si concentra nelle regioni del Mezzogiorno. La disabilità si concentra non solo per aree geografiche ma anche su tipologia di alunni, soprattutto sugli stranieri».

I NUMERI SBALLATI

Il dossier “Buona scuola” messo a punto dal tandem Renzi-Giannini prevede di intervenire anche su questo fronte: tra i 148 mila docenti che verranno assunti a settembre 2015, circa 9 mila faranno parte di quel contingente che ogni giorno è impegnato nella formazione e nell’inclusione degli alunni con disabilità, raggiungendo quota 90 mila.

Troppo pochi per il sindacato Anief che definisce i numeri del Ministero «sballati».
«Primo vero motivo di questo stato di cose è legato alla mancata assunzione di 30mila docenti specializzati», spiega il segretario Marcello Pacifico:«Invece di considerare i posti effettivamente liberi, pari ad oltre 110mila insegnanti di sostegno, lo Stato ha continuato a mantenere come riferimento il numero dell’anno scolastico 2006/07. Che corrisponde a poco più di 90mila posti complessivi».

È su questo parametro, conteggiato su un totale di soli 180mila alunni, che l’ex ministro del Governo Letta Maria Chiara Carrozza ha stabilito nuove immissioni in ruolo nel corso di un triennio. Peccato che ogni anno si iscrivono 6-8 mila nuovi alunni. Annullando ogni sforzo dello Stato di rimettersi in pari.

Una legge approvata dal Parlamento l’anno scorso ma già monca: non si riesce a garantire il rapporto uno a uno tra docenti di sostegno e studenti.

Tenendo in vita un’alta percentuale di prof specializzati ma precari. I quali, inevitabilmente, ogni anno sono sempre costretti così a cambiare classi e istituto. Risultato? Addio alla continuità didattica, che per i disabili diventa ancora più determinante nelle prime settimane.

PER QUATTRO VOLTE RESPINTA

Solo con l’intervento del Tar si possono sbloccare le graduatorie. E finalmente ottenere il sostegno fino a giugno. Centinaia quest’anno le pratiche aperte dopo il via nel segno del caos.

I tribunali nel giro di un mese emettono un provvedimento urgente per riconoscere il diritto ad avere “in deroga” le ore necessarie. Un’ultima spiaggia tentata anche dalla famiglia di Sara, una ragazza con una grave forma di autismo.

La diciassettenne ha frequentato regolarmente i tre anni delle medie, supportata da una progetto di “scuola potenziata” che avrebbe portato con sé anche alle superiori (spazi molto flessibili, collaborazione della famiglia per la frequenza) ma nonostante tutte le buone intenzioni si è incastrata in un limbo: ripetere per la quarta volta la terza media perché le superiori non possono accoglierla.

Queste le motivazioni con cui il dirigente dell’istituto alberghiero di Poggio Rusco, in provincia di Mantova, ha respinto la studentessa:«Gli spazi, nonché la sua organizzazione e l’aumento previsto di ulteriori tre classi ci impedisce di accogliere l’iscrizione dell’alunna». La madre di Sara, Mariarosaria Mirto, non si dà per vinta e ricorre al Tar che dà ragione alla famiglia. Anche se viene tutto rinviato al prossimo anno.

 

I CARABINIERI IN CLASSE

Tante storie-fotocopia per un un diritto allo studio negato. Centinaia di segnalazioni arrivate al contact center integrato per la disabilità Superabile.it , che raccontano l’incubo quotidiano di famiglie abbandonate al loro destino.

I due insegnanti di sostegno hanno lo stesso giorno libero e i due alunni disabili restano soli. È successo in provincia di Reggio Calabria. Lei è Alina, la mamma di Daniele, un bambino autistico di nove anni. Questa è l'accoglienza riservata a suo figlio i primi giorni di lezione.
«Accompagno Daniele e scopro che le due maestre di sostegno sono assenti, entrambe hanno il giorno libero. A quel punto, ho chiamato i carabinieri, che hanno constatato la situazione in cui si trovava mio figlio, senza nessuno che si occupasse di lui, e hanno steso la relazione».

E proprio di quella relazione Alina aveva bisogno, perché certificasse ciò che a suo figlio ogni mattina viene negato:«Con questo foglio in mano denuncerò il Comune e il provveditorato».

Intanto a Daniele ha pensato Alina, rimanendo in corridoio:«Ogni tanto lo spiavo: era lì da solo, con lo zaino sul banco e la testa sopra. Non ha fatto nulla, in tre ore e mezzo. È così da quattro anni, ogni volta la stessa storia. O tengo Daniele a casa oppure lo accompagno in classe. E sto tutto il tempo con il cellulare in mano, pronta a scattare quando alla sua prima crisi mi chiameranno».

GLI INSEGNANTI SONO FINITI

Patrizia vive a Bergamo ed è la mamma di Matteo, 12 anni, disturbo dello spettro autistico associato a psicosi. «Un bambino difficile - spiega la madre- che ha bisogno di una persona non solo sensibile e competente, ma specializzata». Quest’anno Matteo ha iniziato la prima media e avrebbe diritto a una copertura totale delle ore scolastiche.

«Ho chiamato il preside una settimana prima dell’inizio della scuola e mi è stato detto che Matteo avrebbe avuto sei ore di sostegno e otto di assistenza, in totale quattordici. Poche rispetto alle venti che aveva lo scorso anno».
Insoddisfatta, Patrizia ha minacciato di telefonare al provveditorato:«A quel punto, le ore di sostegno sono diventate otto, come fossimo al mercato. Ma io ho replicato che di ore me ne servono diciotto e il preside dopo il tira e molla ha accettato». Tutto risolto, ma solo in teoria.

«Il giorno prima dell'inizio della scuola – continua Patrizia- il preside mi chiama nuovamente, per comunicarmi che Matteo non avrebbe avuto, l'indomani, né l'insegnante di sostegno né l'assistente. E che, in verità il sostegno non l'avrebbe avuto mai, perché erano finiti».

Cambiando regione il problema non cambia. Nelle Marche Lorenzo (un ragazzo con sindrome d Down) è iscritto alla prima classe della Scuola "Faà di Bruno" di Marotta di Mondolfo (Pesaro e Urbino). A lui sono state assegnate solo 9 ore di sostegno, contro le 13 dello scorso anno, quando era ancora alle elementari. Alle insistenze dei genitori al Provveditorato hanno risposto di «essere pazienti».

LA PIPI’ NEGATA

«Mamma ti prego lavami tutto: sono bagnato e puzzo moltissimo». Ecco come ha iniziato la scuola Luca, 21 anni e un problema insormontabile con i servizi igienici. «Ha una tetraparesi spastica e frequenta da quattro anni una scuola superiore a Roma – spiega la madre Maria- Per tre anni ha cambiato sede ed ogni volta si è ripresentato il problema dei bagni. Anche questa volta, stessa storia: è tornato tutto bagnato. I bidelli non erano riusciti a fargli utilizzare bene la tazza, per lui inadeguata».

Eppure Maria, consapevole del problema che si presenta ogni anno e dei limiti di Luca, fin da giugno aveva contattato la preside per accertarsi che tutto fosse in ordine. Invece, quel bagno non va bene, la carrozzina non riesce a muoversi come dovrebbe. E a ciò si aggiunga che i bidelli, per quanto “riqualificati”, non sono minimamente formati.

Ad occuparsi dell'igiene dei ragazzi disabili nelle scuole superiori, provvede il personale ata cosiddetto “riqualificato”, che grazie a questa mansione aggiuntiva percepisce un'indennità di un centinaio di euro. Nella scuola di Luca solo una bidella è però in grado di assisterlo adeguatamente.

«Ho costretto la preside -continua Maria - a scrivere alla Provincia una richiesta formale di rifacimento di quel bagno e mi è stato assicurato che entro un mese la situazione sarà risolta. Non c'è niente che riusciamo ad ottenere senza urlare e combattere».

l'Espresso
16 10 2014

Anche ragazze minorenni potrebbero essere state violentate nelle campagne vicino Ragusa. È difficile dirlo con certezza, ma sono molti i sospetti di abusi sulle lavoratrici straniere costrette dai proprietari di alcune serre a subire violenze: secondo alcune associazioni di volontari gli aborti nell’ospedale di Vittoria sono in netto aumento.

Le richieste, in media, sono circa una mezza dozzina a settimana solo al Riccardo Guzzardi di Vittoria, a cui vanno aggiunte quelle degli ospedali vicini di Ragusa e Modica. Ecco: la maggior parte delle interruzioni di gravidanza riguardano ragazze romene che dopo l’intervento abbandonano i figli in ospedale.

«Quasi tutti i casi che mi sono capitati di trattare - racconta Don Beniamino Sacco, parroco di Vittoria - riguardano vicende che coinvolgono uomini italiani con giovani ragazze romene».

«La situazione qui è gravissima – racconta informalmente un medico dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa che preferisce rimanere anonimo – i proprietari delle serre sono contadini che vivono nelle campagne, e spesso approfittano della loro posizione. Avendo spesso una moglie a casa, la prima cosa che fanno se nasce un problema con una ragazza romena è quella di costringerla a interrompere la gravidanza. Il meccanismo purtroppo è questo».

«Mia moglie ha subito continue molestie dal padrone, le toccava sempre il sedere, è arrivato a toccarla anche in macchina in mia presenza», ci dice Victor (nome di fantasia) rumeno di quarant’anni che vive in Italia da nove.

Duccio Giordano


Sicilia, sulle schiave romene si muove il Parlamento

  • Ott 15, 2014
  • Pubblicato in L'ESPRESSO
  • Letto 3222 volte

L’Espresso
15 10 2014

Dieci deputati hanno presentato due interrogazioni parlamentari sul caso delle donne rumene abusate nelle serre del ragusano. La vicenda è stata portata alla luce da un' inchiesta pubblicata qualche settimana fa sul sito dell'Espresso. Gli esponenti di Sel (Costantino, Palazzotto, Duranti, Bordo, Ricciatti, Pannarale) si rivolgono al ministro della Salute, a quello del Lavoro e dell’Interno: occorre «intervenire affinché ogni presidio ospedaliero sia in grado di garantire la possibilità di abortire alle donne» vittime di violenza. Quattro onorevoli del Pd (Agostini, Lenzi, Pollastrini, Albanella), invece, chiedono ai ministri competenti «quali misure ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne».

Cinquemila donne lavorano nelle serre della provincia siciliana. Vivono segregate in campagna. Spesso con i figli piccoli. Nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale. Una realtà fatta di aborti, “festini” e ipocrisia. Dove tutti sanno e nessuno parla.

Il caso è stato citato anche durante un intervento alla Camera dell’onorevole Celeste Costantino: «Si devono fare violentare come e quando pare ai [padroni] e siccome mettere un preservativo è cosa fastidiosa meglio portarle a Modica ad abortire. Tanto mica sono, come piace dire alla Lega, “le nostre donne”, sono donne rumene...». Parole che hanno scatenato la contestazione dei deputati leghisti, placati solo dopo l’intervento del presidente dell’aula.

Intanto ieri una delegazione guidata dall’on. Erasmo Palazzotto ha incontrato il Prefetto di Ragusa Annunziato Vardè. «Davanti ad un fenomeno di tali dimensioni la risposta non può essere meramente di natura repressiva», ha detto il deputato di Sel. «Serve un’azione più ampia che coinvolga tutti i soggetti interessati, comprese le organizzazioni dei produttori, che devono essere chiamate a fare la loro parte per porre fine a questa situazione». Il primo risultato concreto è un tavolo permanente di confronto per stipulare un protocollo d’intesa tra le parti coinvolte.

Dopo la nostra inchiesta sulle violenze sessuali nelle campagne ragusane, il territorio si mobilita. Padre Beniamino: “Mi accusano di rovinare il paese, ma non posso tacere”. Le aziende si difendono. Troppi sapevano e hanno taciuto. Ci sono denunce di donne che risalgono a quattro anni fa. Cadute nel vuoto
Anche le principali testate e la televisione rumena si stanno interessando del caso, emerso grazie all’attività della cooperativa Proxima che opera sul territorio. Paradossalmente, però, quel progetto anti-tratta rischia di non essere rifinanziato. Come tutti gli altri a livello nazionale.

«Questo episodio dimostra ancora che le vittime di tratta trovano la forza di denunciare grazie ai programmi dell’art.18», dichiara all’Espresso Andrea Morniroli, portavoce della piattaforma antitratta . «Con i mediatori culturali scatta il coraggio di denunciare. Parliamo di 30mila persone sottratte al traffico, spendendo quei 10 milioni di euro che ora sono stati tagliati. Sono risultati strabilianti sia per il contrasto al traffico che per la salvaguardia dei diritti umani. Per ogni vittima presa in carico, abbiamo sottratto 60mila euro l’anno alle organizzazioni criminali. Un danno enorme per i trafficanti. Ma anche territori più sicuri per le comunità».

"Rinviato a giudizio per un bacio a mio marito"

  • Ott 09, 2014
  • Pubblicato in L'ESPRESSO
  • Letto 3881 volte

l'Espresso
09 10 2014

L'incredibile vicenda di un gruppo di ragazzi gay segnalati dalla Digos e rinviati a giudizio per 'manifestazione non autorizzata' e 'disturbo della quiete pubblica'. Si erano baciati pubblicamente per esprimere il loro dissenso nei confronti di un raduno delle 'sentinelle in piedi'

La casualità è di quelle sconvolgenti. Il giorno stesso in cui Angelino Alfano ha inviato l’ormai famosa circolare per chiedere ai comuni di cancellare le trascrizioni delle nozze celebrate all’estero tra persone dello stesso sesso, sei ragazzi dell’Omphalos Arcigay Perugia e del Collettivo Bella Queer Perugia si sono visti notificare l’avviso di conclusione indagini perché, durante una manifestazione delle “Sentinelle in piedi” del 29 marzo scorso, hanno espresso il proprio dissenso.

Sono gruppi informali che si ritrovano per protestare contro il progetto di legge anti omofobia. Spaventati e contrari all’adozione da parte di coppie omosessuali, fecondazione eterologa e unioni civili scendono in piazza per difendere la famiglia tradizionale. Apartitici sì, ma spunta la Nuova Destra

Come? Baciandosi e cantando tra le sentinelle stesse. Inconcepibile, si vede, per gli agenti della Digos che, dopo averli segnalati, hanno fatto partire le indagini che si sono concluse con la richiesta di rinvio a giudizio predisposta dal pm della Procura di Perugia Michele Adragna.

Manifestazione non autorizzata e disturbo alla quiete pubblica i reati contestati ai sei attivisti. Ma non è tutto. Nella notifica, infatti, sono riportate anche le motivazioni. Per dire: i ragazzi avrebbero promosso “una riunione in luogo pubblico”, “una contromanifestazione” resasi evidente dagli “ombrelli colorati” e dagli “accessori di abbigliamento multicolore” di alcuni di loro. Un fatto gravissimo, forse, per gli agenti. “Vuole sapere quali erano questi pericolosissimi oggetti multicolore? - ci dice uno degli indagati – cappelli e boa di piume. Tutto qui”.

Dopo essersela presa con i "vu cumprà", già esclusiva della Lega, e dopo l'attacco all'articolo 18, poi "rubatogli" da Renzi, l'ex delfino di Berlusconi sembra aver trovato nei matrimoni tra coppie omosessuali un motivo per attirare finalmente i titoli dei giornali
Eppure, si legge ancora nella notifica, i sei ragazzi “disturbavano un ritrovo pubblico […] mediante schiamazzi e rumori, consistiti nel gridare slogans, cori e nel percuotere un tamburello di grosse dimensioni”. Armi improprie? “Ma non era di grosse dimensioni – ci dice ancora uno degli attivisti – era uno di quei tamburi usati per le canzoni popolari, che si suona con una sola mano. L’avevamo portato proprio perché la nostra risposta voleva essere ed è stata festante. Così come accaduto in tante altre città italiane”.
Insomma, dalle associazioni Omphalos e Bella Queer c’è tanta incredulità: “semplicemente siamo andati lì per esprimere il nostro dissenso. Ma senza cartelloni, senza grida e soprattutto senza attaccare nessuno”. Eppure secondo un altro capo d’accusa – offese a pubblico ufficiale – sarebbe stato urlato “fascisti” contro gli agenti in borghese. “Anche qui bisogna chiarire la questione: le urla sono state sparute, pochissime. Ed erano dirette contro le Sentinelle, non contro gli agenti”. Anche in questo caso, dunque, gli attivisti si difendono. “Ci vorrebbe un po’ più di comprensione”, dicono. Perché il silenzio delle Sentinelle offende quanto mille parole.

I capi d’accusa, però, restano. Ci sarà un processo. Ma i ragazzi non paiono disposti ad arretrare sui loro diritti. Specie dopo le parole del ministro dell’Interno. Uno degli indagati, Stefano Bucaioni, l’ha scritto nero su bianco sul suo profilo Facebook: “Secondo la Procura della Repubblica, che oggi mi ha notificato l'atto di conclusione delle indagini preliminari, il bacio con mio marito durante la manifestazione delle Sentinelle in Piedi è disturbo della quiete pubblica. Insomma, il nostro amore è illegale, le nostre famiglie sono illegali, addirittura i nostri baci sono illegali. Alle volte mi chiedo perché sono tornato in Italia. Ma in giornate come questa le risposte sono fin troppo chiare. Vi seppelliremo di amore e di baci!”. Alfano è avvisato.

Carmine Gazzanni


Il popolo di Melendugno dice NO al gasdotto TAP

  • Ott 05, 2014
  • Pubblicato in L'ESPRESSO
  • Letto 4254 volte
Proteste contro il TAPLuca Manes, Zeroviolenza
6 ottobre 2014

Non lo dicono solo i Comitati e le istituzioni locali, ma anche gli esperti del settore: il gasdotto TAP all'Italia non serve, semmai fa comodo all'Europa e alla sua politica energetica. Quanto riportato su un ottimo articolo dell'Espresso uscito di recente, non sembra lasciar adito a troppi dubbi.

l'Espresso
02 10 2014

Sono centinaia gli account di tutto il mondo che usano il social network per condividere foto porno di minori. Un giro di pedofili tutto alla luce del sole, non protetto da password o da altri accorgimenti, fin troppo facile da raggiungere. E che da mesi continua le sue operazioni indisturbato

C'è una rete dentro la rete su Twitter. Un network in chiaro composto da centinaia di account internazionali impegnati a scambiarsi materiale pedopornografico sul social network cinguettante, attivo da molti mesi e passato fino ad oggi inosservato agli occhi di chi controlla il sito.

E' quanto rivela l'Espresso con la sua inchiesta, in edicola venerdì e visibile anche su Espresso+, partita dalla segnalazione di un lettore e che ha permesso di ricostruire un'estesa rete di profili pedopornografici seguendo i contatti di un singolo account. Un circuito molto vasto su cui adesso è al lavoro la Polizia Postale e che lo stesso social network, in seguito alla denuncia del settimanale, sta provvedendo a smantellare.

Come cinguetta il pedopornografo. Il modo di agire di questi account varia di caso in caso. Ci sono persone che condividono con frequenza foto e video con immagini molto esplicite e c’è chi invece preferisce retwittare gli altri o lasciare commenti, in genere in inglese, arabo o spagnolo. C’è anche chi dopo aver attivato il profilo e aver inserito alcune foto, rimane in silenzio ad aspettare e a guardare i contenuti degli altri.

Centinaia di pedofili si scambiano materiale a luci rosse su minori su uno dei siti più famosi e frequentati al mondo. 
Un lettore ci ha segnalato un account sospetto e da questo abbiamo ricostruito un vero e proprio network. Su cui ora indaga anche la polizia
Gran parte dei profili e dei contenuti di questo giro inquietante sono del tutto visibili sia agli utenti sia ai motori di ricerca come Google, mentre solo una piccola parte dei criminali nasconde i suoi scatti e deve approvare personalmente i suoi “follower” prima che possano accedere a questi materiali.

La scarsa preoccupazione per la segretezza è dimostrata anche dall’uso di immagini esplicite nella foto profilo e nella copertina (una grande immagine orizzontale usata sulle pagine personali di Twitter) e non è raro imbattersi in veri e propri hashtag usati dalla comunità dei pedofili per segnalarsi l’un l’altro i contenuti per loro di valore.

Le regole del sistema. l termini d'uso di Twitter sono molto chiari nel vietare l'utilizzo del sito per scopi illegali ed è anche presente una specifica policy per la tutela dei minori: «Non tolleriamo lo sfruttamento sessuale minorile su Twitter», si legge nel documento: «Quando veniamo a conoscenza di link a immagini o contenuti che promuovono lo sfruttamento sessuale minorile, tali contenuti verranno rimossi dal sito senza e segnalati al Centro nazionale per i bambini scomparsi e sfruttati».

Con 500 milioni di tweet postati ogni giorno non stupisce però la presenza di alcune falle nei sistemi di controllo. E se è vero che gran parte della rete di account segnalati da “l’Espresso” è stata rimossa poche ore dopo la nostra denuncia presso la Polizia Postale, alcuni profili sono sopravvissuti. Oppure hanno messo in atto altre precauzioni.

Nascosti nelle chat. Tanti pedopornografi, forse preoccupati dal possibile allontanamento da Twitter, rimandano con un link dalla propria breve biografia ad altri luoghi virtuali in cui conoscersi meglio e, probabilmente, scambiarsi materiale illecito lontano da occhi indiscreti. Ad andare per la maggiore per questo tipo di traffici sono i nuovi sistemi di messaggistica istantanea, come le app per smartphone Kik, Snapchat e perfino il popolare Whatsapp, considerate più sicure e meno rintracciabili dalle forze dell’ordine, spesso erroneamente.

Mauro Munafò

L'Espresso
01 10 2014

Cinquemila donne lavorano nelle serre della provincia siciliana. Vivono segregate in campagna. Spesso con i figli piccoli. Nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale. Una realtà fatta di aborti, “festini” e ipocrisia. Dove tutti sanno e nessuno parla-


VITTORIA (RG) - «Possono prendere il mio corpo. Possono farmi tutto. Ma l’anima no. Quella non possono toccarmela». Alina mi indica un locale in mezzo alla campagna. «Lì dentro succede tutte cose possibili». È uno dei pochi edifici che interrompe la serie infinita di serre. Il bianco dei teli di plastica va da Acate a Santa Croce Camerina. Siamo a Sud di Tunisi, terra rossa e mare azzurro che guarda l’Africa. Siamo nella “città delle primizie”, uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d’Italia. Il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa annullando il tempo e le stagioni. Gli ortaggi che altrove maturano a giugno qui sono pronti a gennaio. Un miracolo chimico che ha ancora bisogno di braccia.

I tunisini arrivarono già negli anni ’80, a frontiere aperte. Le dune di sabbia, il clima rovente, le case cubiche più o meno incomplete ricordavano la nazione di provenienza. Hanno contribuito al miracolo economico della provincia – l’oro verde - e poi sono stati sostituiti senza un grazie. Dal 2007 arrivano nuovi migranti che lavorano per metà salario. I rumeni. E soprattutto le rumene. Nell’isolamento della campagna sono una presenza gradita. Così è nato il distretto del doppio sfruttamento: agricolo e sessuale.

FESTINI

Una cascina in aperta campagna. Ragazze rumene sui vent’anni. Un padrone che offre carne fresca ai parenti, agli amici. Ai figli. Tutti sanno e tutti tacciono. Don Beniamino Sacco è il sacerdote che per primo ha denunciato i “festini agricoli”. «Sono diffusi soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare», denuncia il parroco. Tre anni fa ha mandato in carcere un padrone sfruttatore. Ha subito minacce e risposto con una battuta: «Non muoio neanche se mi ammazzano».

La solidarietà è scarsa, anche tra rumeni. Come è possibile che tutto questo succeda nel silenzio generale? Secondo Ausilia Cosentini, operatrice sociale dell’associazione “Proxima”, «la mancanza di solidarietà tra i rumeni, e la loro mentalità omertosa, si incastra con quella altrettanto omertosa del territorio. In più, da qualche mese noto un aumento dell’intolleranza».

«Se non ci fossero i migranti, la nostra agricoltura si bloccherebbe», dice all’Espresso Giuseppe Nicosia, sindaco di Vittoria. «C’è una buona integrazione, ma la violenza sulle donne è un peso sulla coscienza di tutti. Un fenomeno disgustoso, anche se in regressione». Giuseppe Scifo della Flai Cgil spiega che allo sfruttamento lavorativo si aggiunge la segregazione. Per questo è stato avviato il progetto “Solidal Transfert”, un pulmino che permette di spostarsi senza dipendere dai padroni. «Ho conosciuto rumeni che non erano mai stati in paese», dice.

Uno squillo

«Se sei abituato dalla Romania, qui non è tanto più pesante», spiega Adriana con un sorriso. Non è facile crederci ascoltando la storia di Luana, quaranta anni. I due figli l’hanno raggiunta dopo il suicidio del marito in Romania. Lavora in una serra sperduta nelle campagne di Vittoria, vive in un casolare fatiscente nei pressi. La scuola è difficile da raggiungere a piedi. Il tragitto è lungo e pericoloso per due bambini soli. Il padrone è un signore di Vittoria. Si offre generosamente: «Li accompagno io». La sua non è una richiesta disinteressata.

In piena notte la chiama. Chiede se i bambini si sono addormentati. Le dice di raggiungerlo sotto un albero. Anche il padrone vive lì, a due passi. Con la moglie e un figlio. Luana teme soprattutto le minacce dell’uomo, ha paura per i bambini. A volte si nega. Lui subito minaccia. «Non li porto più a scuola. Niente acqua da bere. Neanche a te. Qui c’è caldo e l’acqua che diamo alle serre è avvelenata. Vuoi andare al supermercato? È molto lontano».

Luana sopporta tutto. Persino quando lui perde la testa e la minaccia con la pistola. Ma quando dice che non porterà più i bambini a scuola, condannandoli all’isolamento più assoluto, pensa che può bastare. Decide di fuggire. Di notte prepara la valigia, prende i bambini per mano. Luana è stata accolta e protetta nel centro di accoglienza dell’associazione “Proxima”. È inserita nei programmi destinati alle vittima di tratta. Come se fosse una storia di prostituzione. Si tratta invece di lavoratrici che producono ortaggi. Quelli che tutti compriamo al supermercato. Dopo un mese ha deciso di andare via. Ora lavora nuovamente nelle serre. Sfruttamento estremo significa anche mancanza di alternative.

Lontano da Seva

La storia di Luana è stata raccolta da Alessandra Sciurba, ricercatrice dell’Università di Palermo. Perché le donne accettano queste condizioni? «In genere sono consapevoli di quello che le aspetta. Ma lo fanno per tenere unita la famiglia». Nelle serre puoi vivere coi bambini. A casa di un anziano no. Meglio quindi fare la contadina che la badante. Per questo ci sono nelle serre tante mamme rumene coi bambini. «Possiamo parlare di un estremo esercizio del diritto all’unità familiare».

Le rumene vengono da Botosani, una delle zone più povere del paese. Anche lì lavoravano in campagna. «Non potevo stare lontana da Seva, sono troppo attaccata», dice Adriana. Sciurba spiega che le rumene possono essere definite bread winner. Sono le prime a partire. I mariti, se arrivano, arrivano dopo. Intanto gli italiani diventano padroni della loro vita e della loro morte. Sono padroni in tutti i sensi. Le rumene hanno una “considerazione inferiorizzata” di tutti gli uomini: tunisini, rumeni, italiani. «Qualunque cosa possono farci, loro sono niente», conferma Adriana.

Un’altra storia raccolta da Sciurba è quella di Cornelia e Marco. Cercavano una situazione tranquilla. Una serra dove portare la bambina e un padrone che tiene le mani a posto. Hanno trovato un lavoro vicino Gela. Dieci ore al giorno, pochi soldi e in nero. La “casa” è una stanza spoglia nel magazzino. «Ma non devi guardare mia moglie», ha chiarito Mario al padrone. Va bene, ha risposto lui. Anche perché c’è un’altra rumena, sposata, che assecondava le sue voglie. Il marito fa finta di niente per non perdere il lavoro.

Nella serra ci sono cani da guardia molto aggressivi. Sono addestrati per sorvegliare e controllare i lavoratori. Un giorno un dobermann azzanna Cornelia e la bimba, ferendo gravemente alla coscia la piccola. «Ci sono voluti quasi 100 punti», dice mostrando la gambetta della bimba. «Io la tenevo in braccio e ho cercato di proteggerla ma è stato impossibile fermare il cane». Arrivano i carabinieri, il padrone dice che l’animale passava per caso. Intanto il dobermann viene nascosto. La rumena che ha una relazione col padrone conferma. Cornelia e Marco devono ricevere ancora 5000 euro. Denunciano l’uomo. La bambina dovrà essere sottoposta a intervento chirurgico per fare in modo che il muscolo possa svilupparsi correttamente.

Almeno i due non pagavano l’affitto. C’è anche chi chiede fino a 300 euro al mese per un rudere. «Ci sono abitazioni piccole e senza infissi», rivela una ricerca condotta dall’“Associazione per i diritti umani”. «I buchi nel soffitto fanno passare l’acqua piovana. Le mura sono erose dall’umidità. Proliferano i miceti, con conseguenti patologie come l’asma in soggetti, soprattutto in tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse del locatario». Nella zona sono intervenuti sia Emergency che Medici Senza Frontiere. Come fosse una zona di guerra e non un distretto produttivo. Spesso gli operatori affermano che certe cose (letti di cartoni, cucine col fornelletto a gas, magazzini adattati ad abitazione) non le hanno viste nemmeno in Africa.

L’anima non me la toccano

È il più spaventoso dei metodi contraccettivi. Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti. Va avanti così da anni. Spesso le rumene sono giovanissime. Arrivano in ambulatorio accompagnate da uomini, in genere italiani ma a volte anche tunisini e albanesi. «Restano sedute con lo sguardo fisso a terra e gli uomini parlano al posto loro», racconta un’operatrice dell’Asl. «Anni fa un tunisino mi ha portato tre ragazze rumene, tutte incinta, per farle abortire. Parlavano poco. Quando sono rimasta sola con loro mi hanno detto di lavorare nelle serre di cui lui era proprietario».
«Nel caso specifico di Vittoria le donne si trovano impossibilitate ad interrompere la gravidanza poiché tutti i medici sono obiettori di coscienza», spiega la ricerca dell’“Associazione Diritti Umani”. Solo all’ospedale di Modica sono presenti medici non obiettori, ma la crescita esponenziale di richieste di aborto porta un allungamento dei tempi di attesa, rendendo impossibile l’aborto entro i tre mesi previsti dalla legge. Alcune donne sono costrette a ritornare nei loro paesi d’origine per abortire. Altre, invece, si affidano a strutture abusive e a persone che, sotto cospicuo pagamento, praticano l’aborto senza averne competenza».

L’uomo cacciatore

Per le vittoriesi la colpa è delle rumene. Sono loro a tentare il maschio siciliano, per sua natura focoso. C’è una fortissima rivalità tra donne. L’“uomo cacciatore”, ovviamente, è orgoglioso delle “conquiste”. Vantarsi di queste cose dentro le serre è normale. Molto complessa la figura del marito rumeno, a volte presente anche lui in serra. Sa e non sa, vede e non vede. Se non accetta la situazione, è il primo a essere cacciato.
Di fronte a certi orrori lo sfruttamento sul lavoro passa quasi in secondo piano. Anche se significa salari da dieci euro al giorno, temperature di fuoco sotto i teloni, veleno che può rovinare i polmoni, la pelle, gli occhi. Per non parlare delle “fumarole”. Quando di notte bruciano piante secche e fili di nylon, di mattina si soffoca.
Così si produce l’ortofrutta che troviamo in tutti i supermercati. «Abbiamo circa 3000 aziende agricole di piccola e media dimensione», spiega il sindaco Nicosia. «È la più grossa espressione dell’ortofrutta meridionale, oltre che il mercato è il più importante d’Italia di prodotto con confezionato». Nel 2011 risultavano regolarmente registrati 11845 migranti, una stima di quelli che lavorano nelle serre oscilla tra 15mila e 20mila. Migliaia di schiavi che ci permettono di mangiare ortaggi fuori stagione.

Gli Usa e i loro stereotipi in formato Lego

  • Set 30, 2014
  • Pubblicato in L'ESPRESSO
  • Letto 3235 volte

L’Espresso
30 09 2014

Raccontare in 50 fotografie, giocando con l’ironia, l’America, partendo dalle peculiarità e dagli stereotipi che la rappresentano. Unico diktat: tutto dev’essere rigorosamente interpretato dagli omini Lego. Questo il riassunto della serie “50 States of Lego“ messa a punto dal fotografo Jeff Friesen aka Brick Fantastic che ha deciso di trasformare il tempo di gioco con la figlia in spunto creativo per la sua attività professionale: ha infatti utilizzato la collezione di mattoncini della sua bimba per compiere un tour eccentrico nei luoghi comuni a stelle e strisce. "Ricreare tutti i 50 Stati membri sembrava impossibile dati i limiti della raccolta Lego di mia figlia, quindi è stata una bella sfida.- racconta Jeff -. Le idee sono basate su i miei viaggi negli Stati Uniti - ho vissuto lì per due anni - e ricerca accurate su internet. Molti degli spunti non erano semplici da seguire così alla fine mi sono fatto guidare dall’istinto e dalla creatività come fossi ancora un bambino".

di Nicola Perilli

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