L'Espresso
28 11 2013
Ilaria Cucchi. La famiglia di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Riccardo Rasman. La nipote di Franco Mastrogiovanni. Parenti e amici di persone picchiate o uccise da forze dell'ordine, guardie penitenziarie, medici. La giovane fotografa Claudia Guido ha deciso di immortalare i loro volti. Per mostrare che potrebbe succedere ad ognuno di noi.
Rudra Bianzino indossa una giacca blu, ha le mani in tasca, sullo sfondo le colline di Perugia. Suo padre, Aldo, è morto in carcere cinque anni fa. Era entrato in ottima salute. È uscito due giorni dopo in una bara. L'unica certezza che Rudra e i suoi fratelli hanno avuto dal processo, finora, è che il padre si sarebbe potuto salvare, se qualcuno avesse ascoltato le sue urla di dolore. Ma la guardia carceraria ch'era servizio non ha chiamato i soccorsi. Per questo l'agente è stata condannato a un anno e mezzo di reclusione: ma in carcere non ci andrà perché la pena è sospesa.
Quella di Aldo Bianzino e dei suoi figli è una delle undici storie raccontate attraverso i ritratti dei parenti e dei “sopravvissuti” da Claudia Guido, giovane fotografa padovana che li ha raccolti in una mostra itinerante intitolata “ Licenza di tortura ”. Un progetto che, spiega l'autrice, è diventato anche una forma di protesta: «Per due anni ho vissuto con queste famiglie. Ho conosciuto le loro battaglie, lo sconforto, la difficoltà di arrivare non dico a una sentenza, alla punizione dei colpevoli, ma anche semplicemente al processo: che costa tanto, economicamente ed emotivamente. Con loro ho conosciuto anche la tortura quotidiana dell'abbandono e delle parole di chi accusa, deride o rilegge le loro storie senza pensare alla sofferenza che provano intere famiglie».
Gli scatti della Guido sono frontali, scarni, senza forzature: «Non ho aggiunto elementi distintivi, non ho associato ai ritratti le immagini agghiaccianti delle vittime che abbiamo visto sui giornali», spiega l'autrice: «Perché quello che vorrei trasmettere è il sentimento che ho provato io stessa leggendo queste storie sui quotidiani: l'idea che quelle violenze sarebbero potute capitare a me. Quando mia madre ha visto la foto di Patrizia Moretti ha detto: “Potrei essere io”».
Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi , ucciso di botte da quattro poliziotti la notte del 25 settembre 2005, è stata uno dei primi contatti della ventinovenne padovana. Poi sono arrivati il padre e il fratello di Federico, insieme alle altre vittime che ora stanno girando per tutta Italia : la mostra arriverà a breve anche a Roma e a Milano. «Dopo undici casi mi son dovuta fermare: ero troppo coinvolta. Ma non escludo la possibilità di continuare: l'argomento è purtroppo sempre attuale».
Nel frattempo, dall'aprile del 2011, la Guido ha portato davanti al suo obiettivo Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano , morto dopo esser stato arrestato, picchiato, e lasciato senza cure il 22 ottobre del 2009; la famiglia di Riccardo Rasman, il giovane con problemi psichici immobilizzato, colpito e asfissiato da tre agenti, a casa sua, il 27 ottobre del 2006; un sopravvissuto come Paolo Scaroni , il tifoso che nel 2005 finì in coma per le manganellate della polizia e dal suo risveglio ha avviato una battaglia legale per individuare i colpevoli; o come Stefano Gugliotta, menato da uomini in divisa il 5 maggio del 2010 e salvatosi da una condanna per “resistenza a pubblico ufficiale” solo grazie ai video girati col cellulare dagli abitanti della zona.
Nella mostra ci sono poi Grazia Serra, nipote di Franco Mastrogiovanni , il maestro morto il 4 agosto 2009 in un reparto psichiatrico dell'ospedale di Vallo della Lucania, dopo esser rimasto per ore legato a un letto senza cure né acqua. Si sono fatti ritrarre anche il padre, la madre e la sorella di Carlo Giuliani , il ragazzo di 23 anni ucciso da un proiettile della polizia il 20 luglio 2001 durante le contestazioni del G8 di Genova ; la figlia di Michele Ferrulli , il 51enne morto d'infarto mentre veniva arrestato il 30 giugno del 2011; Luciano Isidro Diaz , fermato la notte del 5 aprile del 2009 mentre guidava troppo forte e reso vittima di lesioni così gravi da causargli la perforazione di un timpano e il distacco della retina; e infine la sorella e il migliore amico di Giuseppe Uva , l'uomo morto in ospedale dopo esser stato trattenuto per tre ore nella caserma dei carabinieri di Varese.
Ci sono i volti di tutti loro. Che interrogano, per primo, lo Stato. Perché non lasci ripetere quelle violenze.
Francesca Sironi
L'espresso
22 10 2013
La società “Lampedusa Accoglienza” non ha nulla a che vedere con l’isola da cui prende il nome. La società è un consorzio appartenente al Gruppo Sisifo, contenitore di una serie di imprese della Lega Coop. “Lampedusa Accoglienza” da alcuni anni è la ditta alla quale la prefettura di Agrigento ha affidato la gestione del centro di detenzione dove vengono rinchiusi per legge gli uomini, le donne, i bambini sopravvissuti alla traversata del mare Mediterraneo.
“Lampedusa Accoglienza”, il suo presidente Antonio Zarcone, 60 anni, e il suo amministratore delegato Cono Galipò, 62 anni, da settimane assistono in condizioni indecenti i profughi arrivati vivi. Così indecenti che, sbarcati sani, i bimbi siriani qui hanno preso i pidocchi. Così scandalose che la società di Zarcone e Galipò ancora non ha fornito coperte di lana, brande, materassini puliti e tanto altro ancora costringendo centinaia di persone già provate dal viaggio e dalle paure che lo hanno provocato, a dormire per terra, a mangiare per terra. Come i cani randagi che, chissà perché, vengono ospitati nel centro di “Lampedusa Accoglienza” e la notte girano ad annusare e urinano sui bagagli, sugli indumenti dei profughi.
“Lampedusa Accoglienza” nel 2012, anno in cui gli sbarchi sono stati quasi inesistenti, ha incassato dallo Stato 3 milioni 116 mila euro. Nel 2011 ha incassato altri 3 milioni 202 mila euro. Poiché riceve circa 30 euro per ogni profugo ospitato per ogni giorno di assistenza, soltanto con le 709 persone presenti ieri Zarcone e Galipò hanno incassato 21.270 euro. Soltanto ieri: 21 mila li incasserà oggi, 21 mila euro al giorno li ha incassati in tutti questi tragici giorni.
Con 21 mila euro al giorno se ne comprano di coperte. Fa invece impressione vedere i bambini avvolti in lenzuola di carta e sdraiati sulla terra o sulle piastrelle del pavimento. Fa impressione guardare le loro mamme stringerli per riscaldarli nel freddo di queste notti di maestrale. I numeri danno l’idea dell’indecenza: 709 reclusi di cui 504 uomini, 69 donne, 136 bambini e ragazzini compresi gli adolescenti non accompagnati. Reclusi sì perché in violazione ai principi costituzionali, dal centro ufficialmente non si può uscire. E le passeggiate in paese possibili per i buchi nella recinzione non sono un normale diritto ma un’elargizione. Questa violazione costituzionale ormai è accettata da tutte le Procure d’Italia che evidentemente fingono di non sapere.
Eppure per ogni persona “Lampedusa Accoglienza”, Zarcone e Galipò incasseranno i compensi anche per le brande, le coperte, le lenzuola, gli spazzolini, il sapone che non hanno fornito. Le condizioni igieniche così scadenti stanno ovviamente ricadendo sulla salute dei profughi. Ieri una bambina siriana è stata trattenuta con il padre nel centro e il resto della famiglia trasferita in Sicilia. La piccola non ha potuto partire perché ha i pidocchi. Ora le hanno avvolto i capelli in un lembo di lenzuolo di carta. Non hanno trovato altro rimedio. Altri bambini e adulti lamentano pidocchi e punture di insetti.
l'Espresso
20 09 2013
Chi da bambino non è immediatamente riconoscibile come maschio o femmina si trova spesso 'imposto' un sesso dal medico. Decisione che ha pesanti conseguenze sul resto della vita. Ora per la prima volta in Italia gli intersex scendono in piazza, per sostenere il diritto a scegliersi da soli il proprio destino.
Bambini che nascono con organi genitali "ambigui", non immediatamente riconoscibili come maschi o femmine. O che hanno un corpo femminile, ma un corredo genetico maschile. Fino a poco tempo fa, quella dell'"intersessuale" era una condizione che le famiglie nascondevano, e che la sanità tentava di risolvere con operazioni invasive e affrettate. Oggi l'intersex comincia finalmente ad avere un riconoscimento pubblico: gli ospedali e i medici sono sempre più attrezzati a individuare quello che in passato veniva descritto come "ermafroditismo", e che ora la comunità scientifica definisce "disordini della differenziazione sessuale" (dsd); le tipologie sono innumerevoli e presentano variazioni degli organi genitali, dei cromosomi o dell'aspetto fisico.
Ma, soprattutto, cresce la consapevolezza nelle stesse persone intersex: molti di loro, diventati adulti dopo percorsi accidentati, faticosissimi e spesso pieni di sofferenza, cercano di uscire dall'isolamento e cominciano a organizzarsi in associazioni. E contestano il modo in cui sono stati trattati finora: per la prima volta nella storia del nostro Paese scenderanno in piazza, in occasione del congresso mondiale di endocrinologia pediatrica, che si terrà a Milano dal 19 al 22 settembre.
Slogan della manifestazione, indetta contro i medici riuniti a convegno, è "No alle mutilazioni genitali": i movimenti, sostenuti da autorevoli pareri internazionali e perfino da una raccomandazione dell'Onu, ritengono che sia un errore intervenire chirurgicamente sui neonati e i bambini, come oggi accade, e che per eventuali operazioni si debba aspettare l'età del consenso informato. Anche perché spesso a un intervento ne seguono vari a catena, per diversi anni, cure ormonali e pesanti conseguenze sulla psicologia della persona.
La comunità italiana dei medici è di opinione diversa, spesso opposta, anche se negli anni l'atteggiamento è cambiato, ammorbidendosi: oggi, a differenza che nei decenni passati, in svariati casi i dottori decidono di non operare e di attendere che il bambino formi da solo la sua identità.
Va detto subito che per il momento non ci sono dati uniformi sugli intersex in Italia: un registro unico delle nascite verrà creato il 28 settembre con una riunione dei massimi esperti al San Camillo di Roma, come ci spiegano il direttore generale Aldo Morrone e il chirurgo pediatrico Giacinto Marrocco. "Vorremmo che ci fossero solo due o massimo tre centri autorizzati in tutto il Paese per la diagnosi avanzata e gli interventi, in modo da creare poli di eccellenza e non disperdere le specializzazioni", dice Morrone.
"I dati finora disponibili - aggiunge Marrocco - parlano di una nascita intersex ogni 4500/5000 parti, con un incremento del 5% e picchi del 10% negli ultimi 5 anni. Studi ormai consolidati mostrano che c'è una maggiore incidenza dove agiscono i cosiddetti 'disturbatori endocrini', sostanze chimiche presenti nei cibi industriali e in diversi inquinanti. La variazione più frequente, circa il 70% dei casi, è rappresentata dalla sindrome surreno-genitale: bimbe con genitali virilizzati, con il clitoride cioè ingrossato, che si avvicina alla forma di un pene. Segue la cosiddetta sindrome di Morris: individui che geneticamente sono maschi, ma che hanno il corpo femminile, almeno in apparenza. Si scopre poi, nella pubertà, per un'ernia o quando emerge l'infertilità, che hanno dei testicoli interni, ritenuti nell'addome".
"Un altro fenomeno è quello del 'pene ipospadico', ovvero poco sviluppato o malformato in persone geneticamente maschi", continua il chirurgo. "Fino a venti anni fa avrei operato tutti, era diversa la cultura e gli studi scientifici. Oggi mi trovo a intervenire sul 70% dei casi rispetto al passato. Adottiamo politiche più conservative: se possiamo, attendiamo lo sviluppo del bambino. Interveniamo sicuramente quando c'è un rischio sanitario: se ad esempio l'uretra e la vagina sono fuse in un unico canale, ed è impossibile urinare, o se c'è un evidente rischio oncologico".
Antonio Sciotto