Internazionale
25 06 2015
Oggi alle 16 il senato vota la fiducia al governo sul disegno di legge Buona scuola, il cui testo è stato modificato con il maxiemendamento presentato due giorni fa e che secondo il governo viene incontro alle richieste di modifica presentate dall’opposizione.
In apertura della seduta la ministra Maria Elena Boschi ha chiesto la fiducia e il presidente del senato Pietro Grasso ha convocato la conferenza dei capigruppo. Se la riforma viene approvata al senato, il testo passerà poi alla camera. La discussione nell’aula di Montecitorio è stata fissata per il 7 luglio.
Ecco cosa prevede il disegno di legge in sei punti:
1) Il maxiemendamento è un emendamento presentato dal governo che contiene tutti gli articoli del disegno di legge.
2) Nel maxiemendamento è previsto che entro l’estate ci saranno centomila assunzioni di precari, anche se questo punto è molto vago. Secondo il Sole 24 ore “se è pacifico che i primi 45mila stabilizzandi otterranno una cattedra all’inizio del nuovo anno scolastico, un po’ meno sicura appare la sorte degli altri 55mila. Che, al momento, dovrebbe consistere in un doppio step: strada facendo la nomina e a settembre 2016 l’incarico vero e proprio”.
3) Entro il 1 dicembre sarà convocato un nuovo concorso. Il concorso sarà l’unico strumento per accedere al ruolo. I posti disponibili saranno sessantamila. Non ci saranno posizioni riservate ai precari di seconda e terza fascia.
4) È stato introdotto un tetto di centomila euro allo school bonus, ovvero alla possibilità di ottenere uno sgravio fiscale (dal 50 al 65 per cento) sulle elargizioni agli istituti fatte da privati o associazioni.
5) In ogni istituto un ispettore esterno valuterà gli insegnanti, aggiungendosi ai due rappresentanti dei genitori e ai tre docenti.
6) Saranno introdotti dei criteri per valutare i dirigenti scolastici, che saranno supervisionati da ispettori esterni.
Su una serie di argomenti, invece, il governo chiede la delega, cioè il potere di legiferare successivamente tramite decreti legislativi.
Riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione.
Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso ai ruoli di docente nella scuola secondaria, in modo da renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione.
Promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e ridefinizione del ruolo del personale di sostegno.
Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale.
Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni, al fine di garantire a tutti i bambini e le bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, nonché al fine di garantire la conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori.
Garanzia dell’effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle competenze delle regioni in materia, attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Promozione e diffusione della cultura umanistica, valorizzazione del patrimonio e della produzione culturali, musicali, teatrali, coreutici e cinematografici.
Revisione, riordino e adeguamento della normativa in materia di istituzioni e iniziative scolastiche italiane all’estero.
Adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle competenze.
Micromega
09 02 2015
“Sull’inquinamento dell’aria a Taranto false accuse a Legambiente”. Con una lettera a MicroMega, che pubblichiamo, l’associazione ambientalista replica all’articolo “Ilva, un pauroso finale” di Antonia Battaglia. Che risponde qui con dati che evidenziano la non correttezza dell'informazione fornita da Legambiente nel rapporto “Mal’aria 2015”.
La lettera di Legambiente
Egregio Direttore,
abbiamo letto con stupore l’articolo “Ilva, un pauroso finale” di Antonia Battaglia pubblicato dalla vostra testata e vogliamo precisare quanto segue. Innanzitutto Legambiente non è vicina a nessun partito né tantomeno al governo di cui abbiamo denunciato più volte le malefatte, come quelle relative al recente decreto Sblocca Italia o messe in atto per fermare la rivoluzione energetica fondata su efficienza e rinnovabili, solo per fare due esempi.
È falso poi sostenere, come si fa nell’articolo, che nel nostro rapporto “Mal’aria 2015” ci sia scritto che l’aria della Taranto dell’Ilva sia tra le migliori d’Italia. Con questo nuovo rapporto Legambiente ha denunciato a livello nazionale ancora una volta, come fatto puntualmente negli ultimi 25 anni, il problema ancora irrisolto dell'inquinamento atmosferico in Italia. Troviamo francamente imbarazzante “confondere le mele con le pere”. Il rapporto infatti si concentra sulla qualità dell'aria nelle città capoluogo del Paese e sugli inquinanti (a partire dal pm10, le famigerate polveri sottili) emessi prevalentemente da fonti urbane quali il traffico o il riscaldamento domestico, non analizzando nello specifico gli altri veleni emessi invece dai camini industriali (evidente quindi che Taranto, così come le altre città che ospitano i grandi impianti produttivi rappresentano, come riportato anche testualmente nel rapporto, un caso a parte).
Del resto quello che pensiamo sull'Ilva e sullo smog che minaccia da decenni pesantemente la salute dei tarantini lo si può rilevare nei nostri numerosi rapporti pubblicati a partire dagli anni ‘80, nelle manifestazioni organizzate dalla nostra associazione (a partire da “Mal’aria industriale” del gennaio 2009, con migliaia di lenzuola anti smog appese sui balconi dai cittadini del rione Tamburi), nelle denunce presentate in Procura o nelle costituzioni di parte civile in sede processuale, oggi come nel passato.
Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale Legambiente
La replica di Antonia Battaglia
In risposta alla lettera del Presidente Nazionale di Legambiente a MicroMega, relativa al mio ultimo articolo pubblicato su micromega.net il 3 febbraio 2015, nel quale sono svolte considerazioni sul Rapporto di Legambiente “Mal d’Aria 2015”, desidero approfondire alcuni punti fondamentali.
La classifica stilata da Legambiente evidenzia la pericolosità dell’aria in diversi capoluoghi italiani, ma Taranto non è tra di essi.
Le tabelle pubblicate a sostegno della classifica raccolgono dati del primo mese del 2015 e degli anni 2014, 2013 e 2012. Sono dati relativi alle polveri, nelle frazioni PM10 e PM2.5, al biossido di azoto (NO2), all’ozono (O3) e ad altri inquinanti emessi in atmosfera.
Secondo le tabelle sul PM10 e sul PM 2.5, Taranto non rientra in quei capoluoghi che hanno superato la soglia limite giornaliera di 50 microgrammi/metro cubo.
Il problema di fondo ignorato dalla classifica “Mal d’Aria” è che non ci si può basare sul calcolo del PM10 in maniera esclusivamente quantitativa.
Nel misurare le polveri, infatti, occorre contemporaneamente verificarne l’incidenza, così come ha fatto lo Studio Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità, il quale ha stimato che a Taranto ogni microgrammo di PM10 ha un pericolosità 2,2 volte superiore rispetto a quello di altre città, per via del concentrato di sostanze chimiche, derivanti dall’inquinamento industriale, che vi si poggia sopra.
Si legge, infatti, nello Studio Sentieri: "I risultati della mortalità evidenziano, nel complesso, un aumento di 0.69% del rischio di mortalità totale per incrementi di 10 microgrammi/m3 di PM10, effetto superiore a quello riscontrato nelle principali analisi pubblicate in Europa (0.33%), nel Nord America (0.29%) e nei precedenti studi italiani (Studio MISA su inquinamento atmosferico e salute, 0.31%)", pubblicato su “Epidemiologia&Prevenzione” di Settembre-Dicembre 2011, p.136.
Ad incrementi di PM10, corrispondono, a Taranto, effetti sanitari in termini di mortalità più che doppi rispetto a quelli di altre città. A Taranto la media del 2014 di PM10 è di 30 microgrammi a metro cubo. Il limite, calcolato come media annuale, è 40 (il limite è 50 solo come soglia limite giornaliera ma su base annua è 40). Se si moltiplica 30 per 2,2 viene 66 microgrammi/m3, ben oltre il limite di legge!
Paragonare il PM10 di città diverse come se avesse un uguale potere tossico è un raffronto troppo sommario.
Quello che è pericoloso nelle polveri non è il loro peso, ma è la superficie che offrono agli inquinanti di cui sono vettori. E polveri molto fini (che pesano poco) offrono maggiore superficie rispetto a polveri meno fini (che pesano di più). Ciò che poggia sulle polveri sono le sostanze cancerogene e neurotossiche. A parità di concentrazione di polveri si possono avere differenti concentrazioni di sostanze tossiche, cancerogene e mutagene. Pertanto a concentrazioni elevate di polveri potrebbero corrispondere concentrazioni non elevate di sostanze neurotossiche, cancerogene, mutagene. Viceversa, a concentrazioni non elevate di polveri potrebbero corrispondere concentrazioni molto elevate delle stesse sostanze. Quindi, ciò che fa la differenza non è il peso delle polveri (metodo utilizzato da Legambiente per stilare la classifica di “Mal d’Aria”) ma la loro qualità.
Nel caso di Taranto, sulle polveri si poggia un’intera enciclopedia di sostanze tossiche. Secondo i dati del Registro europeo EPRTR esse sono: arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, zinco, diossine, idrocarburi policiclici aromatici, benzene, banadio, tallio, berillio, cobalto, policlorobifenili, solo per citarne alcuni.
L’effetto cumulativo e sinergico degli inquinanti produce conseguenze sanitarie che non sono assolutamente rappresentabili dalla classifica “Mal d’Aria”.
Taranto, secondo tale classifica, non avrebbe avuto alcuno sforamento nei livelli di ozono. I rilievi effettuati da Arpa Puglia, invece, sempre per lo stesso periodo di osservazione di Legambiente, 2013, evidenziano ben 59 sforamenti a Taranto-Talsano, 12 a Taranto-Statte (e poi 73 a Grottaglie e 77 a Massafra per un totale di 284 per tutta la provincia di Taranto). La cifra 0 risulta non veritiera.
L’effetto di un’informazione non corretta sulla qualità dell’aria, indotta dal rapporto Legambiente, ha portato il Sole 24 Ore a scrivere: "Aria fra le migliori d'Italia nella Taranto dell'Ilva", e che "L'aria più sporca d'Italia viene respirata non dove dicono le cronache delle Procure e l'immaginazione dei comitati nimby più attivi".
Per quanto riguarda la vicinanza di Legambiente al Governo, non è affatto trascurabile il fatto che il suo Presidente Onorario sia uno dei massimi esponenti del Partito Democratico, attualmente Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera.
Sarebbero ben felici i bambini di Taranto di giocare nella “Bell’Aria” priva di diossine, PM10, PM2.5, ozono, idrocarburi policiclici aromatici. Eviterebbero di avere il 54% in più di tumori rispetto alla media regionale (Studio Sentieri).
Antonia Battaglia
Huffington Post
18 12 2014
A 33 anni in Italia si è precari. Lo era anche Pasquale Borea, prima di diventare il più giovane preside di facoltà del mondo alla Royal University for Woman, nello stato arabo del Bahrein, dove insegna diritto internazionale e dove con questa promozione ha battuto ogni record, come racconta Il Sole 24 Ore.
Di Salerno, laureatosi in legge alla Sapienza di Roma, in Italia faceva il professore a contratto con uno stipendio ridicolo. Dopo l'abilitazione da avvocato, nel 2005 Borea inizia a lavorare come assistente: seminari, lezioni, sedute di esame, revisione di tesi di laurea. Intanto vince un dottorato di ricerca all'Università di Salerno, che gli permette di fare esperienze in Colombia e in Argentina, poi una borsa di perfezionamento ad Heidelberg, in Germania. Ritorna in Italia con una preparazione straordinaria nel suo settore. In più parla benissimo 3 lingue.
In Italia, però, non ce l'ha fatta. Tutto è inutile per una carriera degna delle sue competenze. E come molti ha deciso di lasciare il suo Paese.
"A quel punto avevo davanti a me due strade. La prima: seguire i miei maestri e, quasi per inerzia, cercare di arrivare all'assunzione in un'università pubblica. Oppure la seconda: fare tutto da solo e guardare fuori. Avevo già intuito che l'Italia era un Paese ingessato, con un sistema universitario che mi avrebbe tenuto in uno stato di immobilità per anni" racconta Borea al Sole 24 Ore. "Ho scelto cosi di muovermi. Grazie al Web ho consultato il ranking delle università mondiali e inviato curriculum a 20 facoltà in America Latina, Europa e Paesi Arabi" . Arrivano colloqui, interviste, qualche porta in faccia ("le aspettative di chi valuta un italiano sono basse, almeno nel mio settore"). Poi l'interesse concreto della Royal University del Bahrein, istituzione d'elite nel mondo arabo. "Bahrein? Paesi Arabi? Ho pensato che non facesse per me. Poi mi sono detto, è un posto come un altro e se proprio non va, almeno ci ho provato. Dopo un colloquio a distanza, l'Università mi ha convocato per la selezione. Dovevo simulare una lezione in lingua inglese, su un tema estratto a sorte e avevo un'ora per prepararla".
Fatta la prova, Pasquale rientra nella sua Salerno. In testa un mare di dubbi. In programma ha un matrimonio. Ma poco tempo dopo, arriva la proposta dal Bahrein: contratto con rango di Professore Associato nel settore Diritto Internazionale per 2 anni, soggetto a rinnovo dopo la valutazione della performance. Ha 31 anni. "Sono partito a dicembre, da solo. Sono tornato a luglio, esattamente 7 giorni prima del mio matrimonio e rientrato in Bahrein ad agosto con mia moglie per un trasferimento di lungo periodo. Nove mesi dopo è nato in Bahrein nostro figlio Leo. Non è stato facile. I Paesi Arabi sono una realtà complessa. Molto diversa dalla nostra. L'impatto è stato duro, a partire dal clima che da maggio a ottobre tocca i 45 gradi. Gli arabi hanno una mentalità diffidente, che ti mette alla prova, devi essere tu a dare prima di chiedere, vogliono garanzie in termini di risultato e di affidabilità. Ma – sorpresa- ho trovato un ambiente accademico più avanzato di quello italiano".
Pasquale Borea adesso ha un contratto rinnovato per 3 anni. Ad alcune condizioni però: se non rispetta il 70% degli obiettivi del suo strategic plan può essere licenziato, a differenza dei ruoli della pubblica istruzione italiana difficilmente sottoponibili a valutazioni. Inoltre, il Dean, il preside di facoltà, oltre a essere professore full time, è anche un manager, responsabile del bilancio della facoltà; può assumere docenti, si occupa della ricerca fondi ed è presente in facoltà 10 ore al giorno per 5 giorni la settimana. Il preside non ha contratti a tempo indeterminato, cosa che non succede in Italia, per esempio.
Borea spiega anche che le lingue sono continuamente implementate e valorizzate, soprattutto l'inglese. Anche perché quella in cui Borea insegna è una scuola per sole donne e le sue studentesse studiano l'inglese per scenari di lavoro internazionali, data la difficoltà di emergere in quei Paesi.
Il Sole 24 Ore
04 11 2014
La scienziata italiana Fabiola Gianotti è stata nominata direttore generale del Cern di Ginevra. È la prima volta che una donna è a capo del laboratorio europeo di fisica delle particelle. Cinquantadue anni, nata a Roma, ha studiato Fisica all’università di Milano. Lavora al Cern dal 1987 e dal 1994 è fisico di ricerca nel Physics Department del Cern. È stata fra i protagonisti della scoperta del bosone di Higgs.
Fabiola Gianotti è la prima donna a guidare il Cern nei 60 anni di storia del laboratorio europeo. Succede a Rolf-Dieter Heuer, che ha ricoperto la carica dal 2009, affiancato da Sergio Bertolucci come direttore della Ricerca. È stata nominata dal Director General Search Committee del Cern. Gli altri due fisici in corsa per la direzione erano il britannico Terry Wyatt, dell'università di Manchester, e l'olandese Frank Linde, direttore dell'Istituto nazionale di fisica subatomica (Nikhef) di Amsterdam.
«È con grande emozione e soddisfazione che apprendiamo della nomina di Fabiola Gianotti a direttore generale del Cern», ha commentato Fernando Ferroni, presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Sappiamo che sarà all'altezza di questa alta responsabilità e che guiderà con classe e sicurezza il Cern verso nuovi successi».
«L'Italia ha un rapporto speciale con il Cern – ricorda Ferroni – dal suo inizio, con Edoardo Amaldi tra i padri fondatori, ai successi degli esperimenti LHC, a maggioranza diretti da fisici italiani, suggellati dalla scoperta del bosone di Higgs, passando per il premio Nobel a Carlo Rubbia, anche lui direttore generale, come pure Luciano Maiani». «Ora accogliamo con una gioia immensa l'elezione di Fabiola Gianotti al vertice del grande laboratorio, che così sarà ora diretto da una italiana, figlia della nostra scuola, che dimostra la sua vitalità e visibilità a livello globale. Per l'Italia è un riconoscimento straordinario, e per l'INFN la conferma delle sue scelte scientifiche e formative, e un incoraggiamento a continuare nella direzione dell'eccellenza senza compromessi».
Nata a Roma nel 1962, Fabiola Gianotti ha studiato Fisica all'Università di Milano dove, nel 1989, ha conseguito il dottorato di ricerca in fisica sperimentale subnucleare e, in seguito, è stata borsista INFN. Lavora al CERN dal 1987 e dal 1994 è fisico di ricerca nel Physics Department del CERN. Si è occupata della ricerca e dello sviluppo così come della costruzione di rivelatori, e di sviluppo di software e di analisi di dati. Ha lavorato in vari esperimenti del CERN: UA2, ALEPH e ATLAS, di cui è stata coordinatore internazionale dal 2009 al 20013). E proprio come coordinatore dell'esperimento ATLAS il 4 luglio del 2012 ha annunciato la scoperta del bosone di Higgs, risultato scientifico di immenso valore, che è stato premiato l'anno successivo con il Nobel per la Fisica ai teorici che per primi avevano ipotizzato l'esistenza di questa particelle. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui la nomina da parte del Presidente Giorgio Napolitano nel febbraio 2009 a Commendatore della Repubblica Italiana e nel settembre 2013 a Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. La rivista Time l'ha collocata quinta nella graduatoria delle persone dell'anno 2012.
Huffington Post
08 11 2013
Che succede a Pompei? La notizia dell'ultimo crollo giunge assieme ai rumors sul conflitto in corso tra Massimo Bray e il premier Enrico Letta (che ha smentito). Bray, che avrebbe minacciato le dimissioni, insiste perché nel ruolo di direttore generale (appena istituito dal decreto Valore Cultura) sia chiamata una persona competente in archeologia. Letta invece candida un ex diplomatico in servizio presso la maggiore banca italiana, Giuseppe Scognamiglio.
Già distaccato presso le Nazioni Unite e console italiano a Izmir, in Turchia, Scognamiglio diviene consulente del ministero dell'industria e del commercio estero durante i governi D'Alema e Amato e in seguito capo di gabinetto di Renato Ruggiero alla Farnesina. Vicino a Filippo Patroni Griffi secondo le indiscrezioni, Scognamiglio è attualmente vicepresidente di Unicredit e editore di East, una rivista di geopolitica con cui Unicredit, che la finanzia, si propone (inesplicabilmente?) di fare concorrenza a Limes e Micromega.
Un ex diplomatico è la persona giusta per sottrarre Pompei all'attuale decadenza? Da più parti si levano voci perplesse, tra cui quelle autorevoli di Settis e Stella. Il decreto Valore Cultura prevede che al "direttore generale di progetto" spetti di "definire e approvare i progetti degli interventi di messa in sicurezza, restauro e valorizzazione".
Come interpretare il compito di "valorizzazione"? In termini di cura materiale e accudimento scientifico del sito? Oppure di sbrigativa commercializzazione?
Episodi recenti di "manager-salva-tutto" destano allarme. Nel novembre 2008 l'allora Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale Mario Resca, ex manager di McDonald's Italia imposto al vertice del MiBAC da Silvio Berlusconi, formulò una proposta che gli guadagnò i sarcasmi della stampa anglosassone. A suo avviso Pompei avrebbe dovuto costituire il set per spettacolari operazioni di lancio di prodotti delle multinazionali dell'elettronica. L'ultimo plenipotenziario di Pompei, Marcello Fiori, è finito sotto inchiesta per truffa e frode connessi ai lavori di restauro.
Possiamo impedire che fatuità, incompetenza o peggio producano danni irreversibili a un'area archeologica tra le più importanti del pianeta? Perché escludere, come pare escluda Letta, che a occuparsi di Pompei siano archeologi, storici dell'arte, tecnici competenti? I nomi che circolano sono due, entrambi qualificati: Gino Famiglietti, attuale direttore generale dei Beni culturali e paesaggistici del Molise e autore del codice dei Beni culturali; e Fabrizio Magani, direttore generale dell'Abruzzo oggi impegnato nella ricostruzione dell'Aquila.
Il pregiudizio anticulturale dell'attuale classe politica italiana poggia su basi di temerarietà e arroganza; ed è trasversale. Se l'ex responsabile MiBAC Sandro Bondi ha accondisceso supino ai tagli di Giulio Tremonti, o l'ex ministro del lavoro Renato Brunetta è insorto contro i "parassiti del culturame", D'Alema (nelle vesti di Piccolo Padre) ironizzò a suo tempo contro gli intellettuali "che si rifiutavano di attaccare volantini". L'attuale premier intenderà procedere sulla strada dell'esclusione delle professionalità specifiche negli ambiti della tutela?
Possiamo pensare che l'ex diplomatico possieda salde relazioni internazionali; o che almeno questo sia l'augurio di chi sostiene la sua nomina. Nel caso di Pompei, tuttavia, sono i progetti di ricerca e la solerte attività di manutenzione ordinaria le migliore carte diplomatiche che l'Italia può giocare. Designazioni (che paiono) amicali e sono prive di fondatezza scientifica certo non contribuiranno a migliorare l'immagine internazionale del paese.
Michele Dantini
Il sole 24 ore
30 05 2013
Facebook contro i messaggi offensivi verso le donne: vara un programma anti-discriminazioni. Un programma per affrontare i messaggi offensivi e violenti: Facebook risponde a una vasta campagna che ha acceso i riflettori su pagine e immagini nel social network lesive della dignità delle donne. Ha varato un pacchetto di misure per aumentare il contrasto alle discriminazioni.
Cosa cambia
Facebook ha avviato un aggiornamento delle linee guida: sono utilizzate dagli operatori impegnati nel monitoraggio dei contenuti pubblicati nel social network che violano gli standard della comunità. Saranno sviluppate in collaborazione con esperti di diritto e con organizzazioni dedicate all'eliminazione delle discriminazioni. Inoltre il social network prevede di migliorare la formazione dei team che valutano i materiali condivisi nella rete sociale online.
E si è impegnato anche in tutele aggiuntive rispetto alla soglia di protezione dai contenuti che incitano all'odio (in lingua inglese hate speech): le comunicazioni considerate "crudeli" e "insensibili", spiega Facebook in un post, resteranno nel social network se saranno associate all'identità reale di coloro che hanno deciso di pubblicarle. I progressi ottenuti verranno valutati periodicamente.
Contro le discriminazioni
La risposta di Facebook arriva dopo una campagna lanciata da una rete internazionale che ha avuto tra i principali promotori Women, Action and the Media (Wam), Everyday Sexism Project e l'attivista Soraya Chemaly. L'iniziativa ha portato alla luce pagine del social network dove le donne sono rappresentate in contesti inappropriati, offensivi e violenti. In pochi giorni ha raccolto il sostegno del pubblico online attraverso decine di migliaia di messaggi su Twitter. Una petizione digitale ha ottenuto 225mila firme. E la partecipazione degli utenti ha convinto alcuni inserzionisti a sospendere gli annunci promozionali nella rete sociale digitale.
Il programma per incrementare l'impegno contro le discriminazioni appena messo in atto da Facebook ha incontrato risposte positive. L'associazione Women, Action and the Media ha dichiarato che collaborerà con altre organizzazioni non profit e con Facebook in modo da elaborare procedure più adatte a rispettare gli standard della comunità nel social network. E afferma che il risultato raggiunto stabilisce un punto di partenza in una discussione più ampia nel settore hi-tech.