IL SOLE 24 ORE

SULLE PENSIONI DELLE DONNE E' ANCORA BRACCIO DI FERRO

il sole 24 ore
26 10 2011
 
di Marco Rogari
Braccio di ferro sull'anticipo dal 2014 al 2012 della stretta sulle pensioni rosa nel settore privato. Fino a tarda notte Silvio Berlusconi e Umberto Bossi hanno cercato di trovare un'intesa sul pacchetto previdenza da presentare oggi a Bruxelles, che conferma il progressivo innalzamento a 67 anni nel 2026 della soglia di vecchiaia per tutti i lavoratori.
Un innalzamento dovuto a tutti gli interventi adottati negli ultimi anni, a cominciare dall'aggancio all'aspettativa di vita del momento dell'effettivo pensionamento e del ricorso alle finestra unica per le uscite, che a regime fanno lievitare di fatto di due anni il limite di vecchiaia dei 65 anni fissato dal nostro sistema previdenziale. Nessuna novità invece sulla "anzianità", anche se fino a tarda notte si è cercata una mediazione sul ripristino dello scalone Maroni o, in alternativa, su un meccanismo di incentivi (e possibilmente disincentivi) per favorire il rinvio dei trattamenti anticipati. Sulle anzianità la Lega ha imposto il suo stop. Nella lettera di intenti destinata alla Ue, che il premier ha limato fino a tarda notte, non sarebbero stati esplicitati nuovi interventi sulla previdenza, anche se sarebbe stata lasciata aperta la porta a qualche correttivo, come ad esempio quello sulle pensioni rosa. Anche in questo caso però la Lega ha continuato a resistere. Bossi ha cercato in tutti i modi di bloccare il tentativo, proposto da Palazzo Chigi e dal Pdl, di anticipare al 2012 il meccanismo previsto dall'ultima manovra estiva per far salire gradualmente (dal 2014) a 65 anni (nel 2026) la soglia di pensionamento delle donne del settore privato. Il ministro Mariastella Gelmini ha anche parlato in tv di un intesa su un percorso graduale tra il 2012 e il 2025 per allineare i pensionamenti di vecchiaia di tutti i lavoratori (uomini e donne) pubblici e privati. Questo "limite" per effetto del meccanismo sull'aspettativa di vita e della finestra unica salirebbe a 67 anni, ovvero allo stesso livello già fissato, in parte sempre con un percorso graduale, da Spagna e Germania. Proprio gli interventi per alzare l'età di vecchiaia e per rafforzare la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, più volti apprezzati dalla Commissione europea, verrebbero sottolineati nella lettera d'intenti del premier.
Tutto fermo invece sulle anzianità, anche se la questione, dopo i ripetuti no pronunciati da Bossi, è stata nuovamente affrontata in ultimo vertice notturno a palazzo Grazioli.
Per tutta la giornata di ieri Silvio Berlusconi ha provato a convincere lo stato maggiore leghista della necessità di mettere nero su bianco misure per giungere all'abolizione dei pensionamenti anticipati. Ma Bossi ha rinnovato il suo stop all'ipotesi di giungere rapidamente a quota 100 (somma tra età anagrafica e contributiva), ovvero al superamento dei trattamenti anticipati. E ha anche bloccato il tentativo di ripristinare almeno parzialmente lo scalone Maroni anticipando quota 97, vincolata al pensionamento con meno di 62 anni di età, al 2012. Il Carroccio ha ripetuto la sua assoluta contrarietà a toccare gli assegni di anzianità raggiunti con il solo canale dei 40 anni di contribuzione.
L'unica disponibilità concessa dalla Lega è stata quella ad affrontare il capitolo degli incentivi per favorire il rinvio dei trattamenti anticipati, ed eventualmente di vecchiaia, rispolverando di fatto il bonus ideato da Roberto Maroni quando era ministro del Welfare. Nel tardo pomeriggio, però questa opzione è stata scartata per il timore di una bocciatura della Ue e anche per l'incertezza su eventuali sovracosti. Non a caso Bossi in serata ha garantito che non ci sarebbe stato alcun intervento sulle anzianità. Non tutte le porte sarebbero però state chiuse dalla Lega. Qualche chance, se proprio dovesse essere necessario, potrebbe averlo l'anticipo al 2012 del dispositivo riguardante l'aggancio all'aspettativa di vita dell'effettivo momento del pensionamento.
Il Carroccio ha caldeggiato una stretta decisa sugli assegni di reversibilità e invalidità e si è di mostrata pronta a dare il via libera ad un eventuale prelievo (di solidarietà) sulle circa 500mila baby pensioni ancora in pagamento. Dalla Lega sarebbe arrivata anche una cauta disponibilità a discutere di un eventuale estensione del metodo contributivo, a discapito del retributivo, per il calcolo delle pensioni anche se senza penalizzare i trattamenti di anzianità.

il sole 24 ore
20 10 2011

Il gip del tribunale Elvira Tamburelli ha deciso che nove sui 12 manifestanti fermati sabato scorso durante gli incidenti avvenuti a Roma durante la manifestazione degli indignati resteranno in carcere, due invece verranno messi ai domiciliari e uno rimesso in libertà. Il reato contestato dalla procura è quello di resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale.
A restare in carcere sono: Giovanni Caputi, 22 anni di Terlizzi (Bari), Giuseppe Ciurleo, 20 anni di Roma, Alessandro Venuto,24 anni di Subiaco (Roma), Giovanni Venuto, 30 anni di Tivoli (Roma), Lorenzo Giuliani, 19 anni di Genzano (Roma), Robert Scarlett, 21 anni, romeno, per il quale Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha firmato ieri il decreto di allontanamento, Ilaria Ciancamerla, 21 anni di Sora (Frosinone), Valerio Pascali, 21 anni di San Pietro Vernotico (Brindisi), e Stefano Conigliaro, 22 anni di Catania. Ai domiciliari vanno Alessia Catarinozzi, 26 anni di Alatri (Frosinone), e Alessandra Orchi, 29 anni di Roma. L'unico a tornare in libertà è il romano Leonardo Serena, 21 anni, per il quale il pm aveva già chiesto, a differenza degli altri, gli arresti domiciliari.La decisione è stata presa dopo 7 ore di camera di consiglio seguite alla lunga giornata di interrogatori di ieri nel corso dei quali tutti i ragazzi hanno respinto le accuse. Intanto proseguono le indagini per identificare altri responsabili dei disordini . In particolare, gli accertamenti si starebbero concentrando anche su alcuni esponenti dei gruppi ultras di Lazio e Roma che potrebbero essere tra coloro che hanno dato l'assalto al blindato dei carabinieri dato alle fiamme e degli atti vandalici nella chiesa di San Marcellino.
Parola alla difesa
«I ragazzi fermati rischiano di essere capri espiatori, in carcere ci sono degli innocenti, vivono male e soffrono il sovraffollamento - ha commentato l'avvocato Fabrizio Gallo, legale di Caputi - il mio assistito non ha sfondato vetrine, non ha saccheggiato, solo rimandato indietro un fumogeno». Dello stesso parere anche l'avvocato Francesco Ricciardi, legale del romeno Scarlet per il quale il ministro Roberto Maroni ha firmato oggi il decreto di allontanamento «per motivi di pubblica sicurezza». «È innocente - ha dichiarato - si è avvicinato troppo alla linea del fuoco. Io non vedo la necessità di esigenze cautelari. I veri black bloc si sono saputi difendere e sono scappati». «Il mio assistito ha dimostrato la sua estraneità ai fatti - ha spiegato l'avvocato Antonio Miriello, difensore di Stefano Conigliaro - è un ragazzo assolutamente pacifico».
Tra gli arrestati anche tre ragazze e la prima ad essere interrogata è stata Ilaria Ciancamerla con l'assistenza dell'avvocato Cesare Antetomaso: «Ilaria -ha dichiarato il difensore - ha ricostruito con estrema lucidità tutti gli eventi di sabato, dimostrando la sua estraneità». Nel corso degli interrogatori sono stati depositati dagli avvocati filmati e foto a sostegno, hanno detto, delle dichiarazioni di innocenza. Compreso un video che già da alcuni giorni gira su internet e che mostra quattro dei fermati mentre vengono bloccati dalla polizia. Nel video si sente anche la voce di una donna che urla agli agenti «lasciateli andare loro non c'entrano nulla con le violenze.
Intanto la procura ha chiesto la convalida dell'arresto di Fabrizio Filippi, 24 anni, detto «Er Pelliccia», immortalato con un estintore in mano durante gli scontri. Domani l'interrogatorio di garanzia.

AFFONDO DELLA CEI: ARIA DA PURIFICARE

il sole 24ore
27 09 2011
 
di Carlo Marroni
Il nome non lo fa mai, ma è chiaro che il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha parlato soprattutto del premier Berlusconi. «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l'aria e appesantiscono il cammino comune» ha detto ieri il porporato nella prolusione al Consiglio Permanente. E ha rincarato: «C'è da purificare l'aria, perché le nuove generazioni, crescendo, non restino avvelenate».
Naturalmente il discorso è di carattere generale. Ma l'appello che arriva a metà discorso sembra contenere una richiesta abbastanza chiara: «Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto. Solo comportamenti congrui ed esemplari infatti, commisurati alla durezza della situazione, hanno titolo per convincere a desistere dal pericolo gioco dei veti e degli egoismi incrociati».
Quella di Bagnasco è una presa di posizione attesa, specie dopo che Benedetto XVI (che nei giorni precedenti ha visto il cardinale), giovedì scorso in un telegramma al presidente Napolitano aveva auspicato un "rinnovamento etico". In passato i vertici della Cei erano più volte intervenuti ma il discorso di ieri segna uno spartiacque. Intanto oggi Bagnasco incontrerà il sottosegretario Gianni Letta in un evento a Palazzo Borromeo organizzato dall'ambasciatore presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, dove sarà presente anche il nuovo "numero tre" della Curia, Giovanni Angelo Becciu.
«Colpisce la riluttanza a riconoscere l'esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie – ha proseguito il cardinale – amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l'impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità. Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, poiché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico. Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui». Mentre «si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica», Bagnasco è tornato a richiamare «la misura, la sobrietà la disciplina, l'onore» a cui è tenuto chi «sceglie la militanza politica».
E tanto per non tralasciare nulla, ha aggiunto: «La questione morale non è un'invenzione mediatica». Con punzecchiature anche a magistratura e stampa: «Colpisce l'ingente mole di strumenti di indagine. E colpisce la dovizia delle cronache a ciò dedicate». Con richiami bipartisan: la «questione morale» non è «una debolezza esclusiva di una parte soltanto» e «non riguarda i singoli». Poi l'economia. A partire dalla finanza. Le agenzie di rating «hanno continuato a far valere la loro autarchica e misteriosa influenza, imponendo ulteriori carichi alle democrazie». E la richiesta di un patto tra generazioni che sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come volano un'efficace politica per la famiglia. E la denuncia di due gravi mali italiani: la corruzione («una piovra») e l'evasione fiscale («cancro sociale»). Infine una mano testa al centro-destra, con l'auspicio di approvazione in Senato della legge sul fine vita.

MONTA LA PROTESTA DEI SINDACATI

 il sole 24 ore
31 8 2011

 


Claudio Tucci
ROMA ?I sindacati attaccano il Governo e le proposte di modifica alla manovra di Ferragosto concordate dalla maggioranza lunedì nel vertice fiume di Arcore. Un summit, ha aperto ieri a Roma il valzer delle proteste la numero uno della Cgil, Susanna Camusso, che ha avuto un effetto ben preciso: Quello di «confermare e rafforzare» le ragioni dello sciopero generale indetto dal sindacato di corso d'Italia per il 6 settembre prossimo. Giornata in cui da Milano a Palermo si fermeranno per otto ore bus, treni, aerei e traghetti. Sul piede di guerra anche Cisl e Uil che annunciano iniziative di mobilitazione se non arriveranno in fretta modifiche specie sul pubblico impiego, il settore, sostengono, maggiormente colpito dalla manovra di Tremonti. Sulla graticola è finita soprattutto la norma che esclude dal calcolo dell'età contributiva per chi va in pensione con 40 anni di contributi gli anni (riscattati) del corso di laurea e del servizio di leva. Si tratta, ha spiegato Susanna Camusso, di un vero e proprio «golpe, della cui gravità ancora non ci si è resi conto» e che, è facile prevedere, porterà «a un contenzioso infinito» perché produce una doppia discriminazione, di genere e di condizione. E in più si manda ai giovani un chiaro messaggio: «Che dello Stato non ci si può fidare». Si pensi per esempio, ha sottolineato la sindacalista della Cgil, ai laureati che hanno speso risorse e sottoscritto un "contratto" con lo Stato sul riscatto dei loro anni di studio e ora (se le disposizioni entreranno in vigore) si troveranno a lavorare da quattro a otto anni in più (a seconda della specializzazione posseduta) senza avere in cambio una crescita dei rendimenti pensionistici. Ma la misura è criticata anche dalla Cisl: «La partita non può chiudersi così», ha commentato il numero uno Raffaele Bonanni. Che ha aggiunto: «Mentre si salvano i giocatori di calcio e i redditi alti dal contributo di solidarietà è sbagliato penalizzare chi ha riscattato con i propri soldi la laurea e il servizio militare». Una posizione condivisa pure dalla Uil, guidata da Luigi Angeletti, che considera la norma sulle pensioni «un nuovo colpo al pubblico impiego» e preannuncia che il 16 settembre verrà decisa la data di uno sciopero generale nella pubblica amministrazione. «Basta interventi sulle pensioni per far cassa», ha commentato invece Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl. Tra le norme criticate dai sindacati anche quella sul taglio delle agevolazioni fiscali per le cooperative: «Dopo le rinnovabili si colpiscono gli unici due settori in crescita nel Paese», ha ricordato Camusso, che ha bocciato pure l'eliminazione del contributo di solidarietà ma solo per i lavoratori privati. «Si è scelta una strada ingiusta che discrimina e penalizza i lavoratori del pubblico impiego». Camusso ha rimarcato la «sottovalutazione» di Cisl e Uil sull'impatto negativo di una manovra «iniqua» e su norme «ignobili» e «incostituzionali» come quelle sulla contrattazione. Ed è sbagliato pensare, ha concluso la leader della Cgil replicando a Raffaele Bonanni, che in un secondo momento la riforma fiscale e assistenziale verrà incontro a lavoratori e pensionati: «Significherà piuttosto tagliare quattro miliardi il primo anno e 20 il secondo. E a pagare dazio saranno sempre i soliti noti. Ovvero, lavoratori e famiglie».?

LA POLITICA CHE SI NUTRE DI RENDITE

il sole 24 ore
28 7 2011



di Giacomo Vaciago
I problemi del Paese si capiscono anche dai suoi maggiori scandali che spesso sono la deformazione, illegale, di quanto è già un problema economico e sociale, da risolvere comunque nell'interesse del Paese.
A ben guardare, che cosa accomuna i recenti scandali relativi a personaggi che fanno mercimonio di incarichi, gare ed appalti pubblici; o ancora che si occupano di varianti urbanistiche relative ad aree industriali dismesse? In ambedue i casi, il sociologo pensa anzitutto al ruolo della "casta", cioè del politico disonesto che fa i suoi affari.?Ma per l'economista, ciò che conta è qualcosa di ancora più grave. È l'ennesima conferma che la nostra mancata crescita è spiegabile – come avrebbero detto Ricardo e Marx – in termini di teoria del valore e della distribuzione: le rendite si mangiano ciò che in un moderno paese industriale dovrebbe spettare alla somma di profitti e salari.
Ma andiamo con ordine, e ricordiamo anzitutto come viene di solito spiegata la nostra mancata crescita degli ultimi quindici anni. Quando il 5 novembre scorso, Mario Draghi venne in Ancona a tenere la lezione Fuà su "Crescita, benessere e compiti dell'economia politica", ricordò – citando gli studi di Carlo M. Cipolla – che la decadenza dell'Italia nel Seicento fu «dovuta al dominio di una casta di possenti proprietari agrari che avevano ricacciato in secondo piano gli operatori mercantili, manifatturieri e finanziari».
A questi – cioè all'investimento in innovazione dei loro profitti – era attribuibile la grande crescita economica e sociale del Rinascimento. Che verrà poi spenta dal prevalere delle rendite, nel corso del Seicento. Chi sono oggi i "possenti proprietari agrari" di quattro secoli fa? Ovviamente, non dobbiamo pensare agli agricoltori, ma piuttosto all'intreccio tra rendite di vari tipi e "interessi corporativi" (come li chiama Draghi al termine delle ultime Considerazioni Finali) cioè al mancato prevalere delle regole di un'economia di mercato basata su concorrenza e merito.?Come è noto, la crisi di cui stiamo ancora soffrendo, ha avuto origine, nei Paesi anglosassoni, negli eccessi di una bolla immobiliare agevolata dalla speculazione finanziaria. Da noi, è stata minore la bolla e quindi il boom and bust dell'attività edilizia, ma in compenso è stata relativamente maggiore la speculazione immobiliare, anch'essa molto aiutata dal credito.
L'accondiscendenza – non sempre rispettosa della legalità – dell'ente locale che ha la sovranità urbanistica era parte di questo gioco. Con tutta la miopia politica di credere che varianti urbanistiche a volte illegali, e piani regolatori spesso sovradimensionati, aiutassero a finanziare i servizi sociali e quindi a meritare l'applauso degli elettori. O peggio, che la speculazione immobiliare potesse confondersi con la crescita, come temporaneo sostegno all'attività edilizia. ?Un po' diverso è tornare alla crescita, spiegava anni fa un economista come Kaldor, che esplicitamente si richiamava alla teoria classica (Ricardo-Marx) della rendita.
Se perforiamo il "velo" della moneta e della finanza, la crisi la spieghiamo meglio in termini reali, cioè in termini di teoria classica del valore: una parte va alla rendita (e relativa spesa in consumi opulenti); un minimo va ai salari (e relativa spesa per beni di sussistenza), e quanto resta va ai profitti (e relativa spesa per investimenti e innovazione). Risulta così più chiaro che si torna a crescere solo se e quando si riducono le tante rendite che ci opprimono e ci impoveriscono. E per quanto riguarda l'urbanistica, vale l'auspicio di Draghi (è il punto delle ultime Considerazioni finali che è stato meno citato!) di «un serrato controllo di legalità» sugli enti locali.

LA DONNA CHE SIEDE SU 30 MILIARDI D'ORO

il sole 24ore
26 7 2011

 


Giovanni Vegezzi
Sono ormai lontani i tempi in cui era Rupert Murdoch a rappresentare l'Australia nella classifica delle persone più ricche del mondo. Complici i problemi del suo impero mediatico - ma anche il fatto che dagli anni Ottanta "lo squalo" è ormai cittadino americano - sulla ribalta delle ricchezze del Pacifico si sono affermati altri nomi. Uno su tutti quello di Gina Rinehart, la signora delle miniere che sulla corsa delle materie prime sta costruendo la propria scalata alle classifiche dei paperoni del pianeta. Arrivata in poco tempo a essere la donna più ricca d'Australia, adesso la Rinehart, a 57 anni, potrebbe puntare a diventare la persona più ricca del mondo.?La rincorsa parte da lontano: dopo aver ereditato dal padre la società Hancock Prospecting, Mrs Rinehart l'ha trasformata nella quinta impresa mineraria del mondo gareggiando con giganti come Vale o Rio Tinto. E l'ha fatto difendendola con i denti, non solo dai concorrenti, ma anche dagli attacchi del fisco locale: negli ultimi anni ha condotto un'accesa battaglia contro la tassa su ferro e carbone imposta dal Governo australiano e, per difendere la propria azienda, non ha esitato a salire su un camion gridando slogan anti-tasse. Le imposte comunque non sono riuscite a frenarla più di tanto: nel 2010 la regina delle miniere ha portato il proprio patrimonio da 2 a 9 miliardi di dollari, una crescita esponenziale che ora viene accentuata dalle ottime prospettive del settore estrattivo e che potrebbe portarla dal 100imo posto della classifica di Forbes fino alla vetta. ?I calcoli sono stati fatti da media australiani su dati Citigroup: se si applica alla Hancock la stessa valutazione che la Borsa australiana dà alla concorrente Rio Tinto (pari a un rapporto prezzo/utili di 11 volte) si scopre che la fortuna su cui siede la Rinehart è ben più alta e vale circa 30 miliardi di dollari. Una cifra di per sé già considerevole che farebbe figurare la signora fra le 10 persone più ricche del mondo; ma non basta. Hancock, infatti, che è totalmente nelle mani della figlia del fondatore, sta facendo interessanti lavori di esplorazione in altre tre miniere. Se questi giacimenti si rivelassero interessanti come la miniera di Hope Dows, la più redditizia fra quelle del gruppo australiano, gli utili dell'azienda di casa Rinehart schizzerebbero facilmente a 10 miliardi di dollari. E così applicando al gruppo i multipli a cui è valutata Rio Tinto si arriva presto alla cifra record di 100 miliardi, una fortuna capace di far ombra ai 74 miliardi di Carlos Slim o ai 56 di Bill Gates.?© RIPRODUZIONE RISERVATA

PARI IN PENSIONE MA I RISPARMI ACCORCINO IL GAP

il sole 24 ore
13 7 2011
 
di Alessandro Casarico e Paola Profeta
Quattro miliardi. Questi i risparmi stimati derivanti dall'innalzamento dell'età pensionabile delle donne del pubblico impiego destinati a confluire nel «Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale», con l'intenzione scritta nero su bianco d'investire la somma in misure di welfare e conciliazione.
Questa la cifra di cui si riduce, gradualmente, ma complessivamente, il Fondo stesso, secondo gli ultimi documenti sulla manovra in corso. Insomma, i 4 miliardi risparmiati dalle donne più anziane che dovevano tornare alle donne più giovani sotto forma di aiuti alla conciliazione della vita lavorativa e familiare saranno in realtà destinati ad altro.
Il promettente patto intergenerazionale sta saltando. Eppure il patto era ben fondato. Lavoro e pensioni sono infatti strettamente legati: nei trattamenti pensionistici si riflettono le condizioni del mercato del lavoro. I tassi di sostituzione pensionistici delle donne, tipicamente inferiori a quelli degli uomini, perpetuano i divari di genere esistenti nel mondo del lavoro. I periodi d'inattività non sempre coperti da contributi previdenziali e le discontinuità che caratterizzano molte carriere femminili rendono la posizione pensionistica delle donne in media più sfavorevole di quella degli uomini in termini di generosità della pensione. È dal mercato del lavoro che occorre partire per eliminare i divari di genere nel pensionamento, ancora di più in un Paese che ha adottato un sistema pensionistico contributivo.Come sono andate le cose? La vicenda è nota: una sentenza della Corte di giustizia europea richiedeva all'Italia di equiparare l'età di pensionamento di uomini e donne nella Pa, portando anche per le donne, gradualmente, l'età di pensionamento dai 60 anni previsti ai 65 anni degli uomini. La Corte Ue riteneva che l'uscita anticipata dal mondo del lavoro delle donne rispetto agli uomini discriminasse le donne. A seguito di questa sentenza si è sviluppato un acceso dibattito nel nostro Paese, che ha diviso i favorevoli all'aumento dell'età pensionabile delle donne, che condividevano l'argomentazione europea, e i contrari, convinti che fosse se non altro singolare cominciare dal sanare le differenze di genere nell'ultima fase, quella delle pensioni, e non dall'inizio dell'attività lavorativa. Su un punto tutti d'accordo: la parità nelle pensioni doveva essere almeno un'occasione per promuovere la parità nel lavoro con misure concrete.
Certo il momento è critico: un debito pubblico elevatissimo, le eredità di una profonda crisi economica, la disoccupazione giovanile a livelli preoccupanti possono far ritenere che la parità di genere e la promozione di misure di conciliazione siano questioni di secondo piano. Ma non dovrebbe essere così. Le misure a favore della conciliazione rappresentano un'opportunità di sviluppo del lavoro delle donne: un motore essenziale e prioritario per la crescita del Paese. In un Paese come il nostro dove il tasso di occupazione femminile è fermo al 46,1%, con il Sud bloccato al 30,5%, l'occupazione femminile rappresenta una risorsa non sfruttata, uno spreco di talenti. Ma come fare per aumentarla e utilizzare a pieno il lavoro delle donne come risorsa produttiva per il Paese? Le misure di conciliazione e condivisione sono una risposta.
L'Italia soffre di una profonda carenza di servizi alla prima infanzia, come gli asili nido, particolarmente accentuata nelle regioni del Sud, e di servizi alla cura degli anziani. L'Italia ha la spesa per trasferimenti alle famiglie più bassa d'Europa, pari a circa 1,36% del Pil, contro il 3% della Francia. Numerosi studi mostrano che, dove le misure per la conciliazione sono maggiori e la spesa di welfare a favore delle famiglie è più rilevante, l'occupazione femminile è maggiore. Senza considerare che anche la fecondità aumenta. Un altro risultato importante per il nostro Paese, dove il tasso di fecondità fermo a 1,41 figli per donna è un ulteriore freno alla crescita economica. Quattro miliardi da investire in questa direzione rappresentavano davvero un'occasione unica. Un'opportunità ?(a quanto pare) mancata.
il sole 24 ore
4 7 2011
 
Almeno 188 feriti tra le forze dell'ordine, cinque fra i manifestanti e un operaio. Questo il bilancio ufficiale degli scontri che si sono registrati ieri in Val di Susa, intorno ai cantieri della Tav, assediati a lungo dai dimostranti. Chiusa tutto il giorno per motivi di sicurezza l'autostrada A32 nel tratto Bardonecchia-Avigliana ovest, con enormi disagi per la circolazione; bloccate anche tutte le strade della zona. Si è purtroppo trasformata in una vera guerriglia, con violenti scontri tra Black bloc e forze dell'ordine, la manifestazione di protesta indetta dal movimento dei No Tav contro la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Frange di No Tav hanno raggiunto da più lati il cantiere della Maddalena obbligando le forze dell'ordine, che hanno messo in sicurezza gli operai, a disporre l'interruzione dei lavori per evitare il peggioramento della situazione; per respingere le centinaia di manifestanti sono stati utilizzati idranti e sparati numerosi lacrimogeni. Solo in serata la situazione è tornata relativament tranquilla, con molti manifestanti che sono andati via. E per domani è stata annunciata la riapertura del cantiere.
I cortei
Erano partiti intorno alle 10 i due cortei di protesta contro la Tav in Val di Susa, per giungere attraverso i sentieri nei boschi nella zona recintata del cantiere, a Chiomonte, dove lunedì scorso sono iniziati i lavori preliminari per il cunicolo della Maddalena, dopo lo sgombero del presidio anti-Tav. Dalle prime ore di stamattina sono affluite centinaia di persone, con numerosi i pullmann, nei due pounti di ritrovo: Giaglione, vicino Susa, ed Exiles, ai piedi del forte. Da registrare il solito balletto delle cifre: seimila i manifestanti secondo la questura, mentre gli organizzatori parlano di 50mila persone. In testa ai cortei anche bambini che con palloncini colorati che reggono striscioni; in uno di questi lo slogan "Giù le mani dalla Val di Susa" e sotto la foto di Falcone e Borsellino.
Gli scontri
La manifestazione si è svolta in modo tranquillo e pacifico fino a quando i due corteni hanno raggiunto il cantiere. Qui sono iniziai gli scontri, attorno alla recinzione e ei boschi circostanti. Una parte di uno dei due cortei si è arrampicata su montagna e ha cercato di scendere dal bosco al cantiere: sono partiti i primi fumogeni delle forze dell'ordine per disperdere i manifestanti, molti a volto coperto. Lanciati anche in aria dei bengala dalla polizia per segnalare il punto di richiesta di rinforzi. Intanto il corteo in partenza da Giaglione ha rioccupato la baita No Tav. Attorno al cantiere, in mezzo al fumo dei lacrimogeni, sono stati notati dei fuochi artificiali, segnale che i No Tav hanno preso delle parti del sito.

IL CASO STRAUSS-KAHN DIETRO LE QUINTE

il sole 24 ore
7 6 2011


Ecco le strategie dell'accusa e i colpi proibiti della difesa

dal nostro corrispondente Mario Platero


 L'incontro di lunedì mattina fra l'ex direttore del Fondo Monetario Internazionale Dominque Strauss-Kahn e il giudice Michael Obus è stato soltanto, per quanto drammatico, un atto formale. Colpevole? Ha chiesto il giudice recitando i sette capi d'accusa – stupro, violenza, sequestro etc. – ai danni di una cameriera immigrata dall'Africa di 32 anni. Non colpevole, ha ripetuto sette volte di fila DSK. L'ex direttore del Fmi è poi uscito quasi subito in un elegante vestito blu, accompagnato dalla moglie Anne Sinclair, impeccabile in tailleur nero. Tornerà per un'altra apparizione formale il 18 di luglio.
La partita a questo punto è aperta. E si gioca già nel suo terreno più avanzato, tutta dietro le quinte degli atti formali, come quello di ieri. Le mosse e contromosse di uno dei più complessi casi giuridici degli ultimi anni, che ha letteralmente ipnotizzato l'opinione pubblica mondiale, stanno già prendendo forma secondo gli ingredienti classici del libro giallo: quale parola vale di più? Non essendoci prove di altro genere - video, registrazioni - vale l'affermazione della donna - violenza e stupro – o quella di Strauss-Kahn, sesso consensuale?
Al centro dello scontro legale c'è la personalità del capo procuratore di New York, Cyrus Vance, al suo primo caso di altissimo profilo, deciso ad andare avanti fino in fondo, con la richiesta di una condanna e di anni di prigione per l'ex direttore del Fondo. «Qui non si possono fare compromessi....Vance si è esposto troppo per chiudere il tutto con un accordo extragiudiziario», ci dice una fonte informata. Possibile che ci sia una "distorsione da notorietà"? Che Vance sia determinato per aspirare a quella notorietà e quel successo che ancora gli manca? Possibile, visto che la maggioranza di casi simili si chiudono con accordi extragiudiziali. In questo caso, come abbiamo visto, non ci saranno compromessi. Ognuno si giocherà il tutto e per tutto: Strauss-Kahn non potrà mai accettare un riconosciemnto parziale di colpa. Questo tra l'altro gli aprirebbe il fianco a un'accusa civile per richiesta di danni da milioni di dollari, un procedura separata da quella penale.
Questo significa che al di là degli aspetti procedurali, si dovrà aspettare l'avvio formale del processo, l'apparizione della cameriera e i primi interrogatori da parte della difesa. Ed è proprio attorno alla strategia della difesa che si è spostata l'attenzione degli addetti ai lavori. Una strategia agguerrita guidata da Benjamin Brafman, una celebrità fra i penalisti che interrogano alla sbarra, al punto da aver messo sul mercato un video in cui si danno istruzioni per la migliore strategia di "cross examination", di confronto incrociato. Intanto Brafman, grazie alle tasche profonde della moglie di DSK, ha già ingaggiato una delle più agguerrite agenzie di investigazione in America, Guidepost Solutions, guidata da Bart Schwarts, un sua volta ex procuratore di successo.
Schwarts sta ricostruendo ogni dettaglio della vita della cameriera. L'obiettivo: minarne la credibilità. Gli investigatori privati di DSK hanno fatto sopralluoghi nel paesino di origine della cameriera, recuperato conti e dettagli bancari, ricostruito posizioni debitorie e storie di sesso che la giovane ha avuto nel suo passato per dimostrare l'ovvietà che una strategia di difesa vorrà dimostrare in un caso simile: la cameriera ha agito per interesse. E qui gli aspetti tecnici si intrecciano alla psicologia. Dire solo che l'ha fatto per soldi può essere controproducente. E dunque, secondo gli insegnamenti di Brafman, che deve convincere la giuria senza alienarla, capendo fino a che punto si può spingere con l'aggressività, si agirà su altri aspetti oltre alla motivazione dei soldi: l'accusatrice potrebbe essersi sbagliata, può essere confusa o più semplicemente ha mentito, non necessariamente per soldi, ma per vendetta o per rimorso. Le tesi enunciate in passato da Schwartz sono illuminanti: «Non si deve necessariamente portare alla rottura il testimone, è più efficace renderlo meno credibile, non credibile o mettere in dubbio quel che ha enunciato...questo risultato è conseguenza di un ottimo interrogatorio incrociato».
Ed è possibile, con un gesto di raffinatezza giuridica, che Brafman non partecipi direttamente all'interrogatorio per non dare l'impressione di infierire su una vittima. Istruirà dunque a dovere il suo partner, meno conosciuto di lui.
L'accusa, invece, porterà la testimonianza diretta della donna, inerme, immigrata, vulnerabile. Porterà le prova del Dna, che dimostrano senza ombra di dubbio che un atto sessuale di qualche genere si sia compiuto nella lussuosa suite dell'albergo Sofitel. Soprattutto cercherà di portare a sua volta testimoni del passato aggressivo di DSK dal punto di vista sessuale. Porterà la donna. E la difesa? Respingerà l'ammissione di vecchie avventure di DSK. E sembra che abbia già pronta una complessa dimostrazione secondo cui è impossibile per un uomo non munito di un'arma costringere una donna a fare sesso orale. Il vero colpo di scena ci sarebbe se la donna dovesse ritirare le accuse. Per soldi, visto che si parla di offerte di pagamenti segreti, per paura, o perché non vuole affrontare una storia pubblica di fatti che preferirebbe tenere nascosti. Ma sono in pochi a credere a questa ipotesi. La donna è protetta dalle forze della procura. E l'intero pianeta aspetta il confronto in tribunale, con il semplice obiettivo di poter scegliere in modo informato fra colpevolisti e innocentisti.

PLEBISCITO DI SI AL RILANCIO DELLA EX BERTONE

il sole 24 ore
4 5 2011


Il piano Fiat per il rilancio della ex Bertone incassa il pieno dei consensi tra i lavoratori delle Officine automobilistiche Grugliasco: il 93% dei dipendenti è andato a votare, i sì sono stati 886 (88%), i no 111, le schede nulle 10, le bianche 4.
La Fiat con un comunicato esprime «apprezzamento per il grande senso di responsabilità dimostrato dai dipendenti», e conferma che «in presenza della firma di un accordo e dell'esistenza delle condizioni applicative necessarie provvederà a dare il via libera al piano di investimenti». Per effettuare l'investimento di oltre 500 milioni necessario per produrre il nuovo modello Maserati del segmento E alle Oag della ex Bertone – dove da sei anni i circa 1.100 lavoratori sono in cassa integrazione o trasferiti in altri impianti –, la Fiat ha chiesto l'applicazione dal prossimo 1° gennaio del contratto di primo livello oggetto dell'intesa dello scorso 29 dicembre, applicato a Pomigliano, bersaglio della Fiom che ha presentato un ricorso al tribunale di Torino. In quel contratto è contenuta la clausola di responsabilità che secondo l'azienda serve a garantire la governabilità dello stabilimento, poiché vincola i sindacati al rispetto delle intese sottoscritte prevedendo sanzioni economiche a carico di sindacati e provvedimenti disciplinari per i singoli lavoratori in caso di violazione degli accordi, oltre alle misure di contrasto dell'assenteismo come il mancato pagamento della quota di malattia a carico dell'azienda in caso di picchi anomali.
A differenza delle precedenti vertenze, a Grugliasco la novità è arrivata dalle Rsu – che avevano sollecitato il referendum – in particolare dai 10 dei 16 rappresentanti Fiom che hanno detto sì alla proposta Fiat per salvare l'investimento. A differenza della Fiom che ha confermato la linea tenuta a Mirafiori e Pomigliano: considera la consultazione «un ricatto dell'azienda» e non si sente vincolata dall'esito del referendum. Incassato il sì, i sindacati che hanno ottenuto il pieno mandato dai lavoratori nei prossimi giorni dovranno chiedere il tavolo per formalizzare l'accordo con l'azienda e firmare l'intesa.Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi «il buon senso ha prevalso sull'ideologia», il programma Fabbrica Italia «segna un altro significativo passo avanti che a questo punto nemmeno i percorsi giudiziari possono mettere in discussione». Alla leader della Cgil che ha scelto di non commentare la vicenda – in Corso d'Italia si dice per «evitare di sparare sulla croce rossa» – ha fatto riferimento il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni: «È una sconfitta clamorosa per la dirigenza della Fiom. Se la Cgil saprà trarne le conseguenze sarà una vittoria per l'unità sindacale. La nostra collega Camusso vedo che è contenta di questa sconfitta». Per il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, Grugliasco «é la dimostrazione più chiara che la Fiom ha preso strada di separarsi dal mondo in cui vive e dai propri iscritti, abbandonandoli a decidere da soli». Soddisfatto il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota: «Mi auguro adesso che tutta la concentrazione e le energie siano rivolte agli investimenti da fare e che i modelli prodotti abbiano successo».
La Fiom ha convocato il comitato centrale il 9 maggio per riflettere sulla vicenda: l'ala di Giorgio Cremaschi ha contestato la posizione dei delegati Fiom della Rsu. Per Giuseppe Farina (Fim-Cisl) «alla caduta di credibilità del gruppo dirigente della Fiom c'è una sola alternativa: la firma degli accordi Fiat». Per Rocco Palombella (Uilm) «la Fiom dovrebbe firmare l'intesa e ritirare il ricorso giudiziario per Pomigliano». Per Federico Bellono (Fiom) «hanno vinto i lavoratori che seguendo la linea della Rsu e pur dissentendo con Fiat hanno restituito a Fiat la responsabilità di fare l'investimento». L'attenzione è rivolta alla riunione odierna delle Rsu della ex Bertone convocata per decidere sulla verifica del mandato.
I NUMERI ?Per il rilancio delle Officine ?Automobilistiche Grugliasco, rilevate dall'amministrazione controllata nel 2009, si prevede un investimento di 550 milioni di euro per produrre da fine 2012 un nuovo modello Maserati del segmento E
A regime ?si prevede una produzione fino a 50mila vetture l'anno con il reimpiego dei 1.100 dipendenti da sei anni in cassa integrazione
Fiat ?applicherà lo stesso contratto di Pomigliano, con il graduale passaggio ai 18 turni, con la clausola di garanzia per la governabilità dello stabilimento

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