Cronache di ordinario razzismo
23 10 2015
Ogni giovedì, a partire dal 5 novembre 2015, alle ore 18, si terrà un presidio a Roma in piazza S.S. Apostoli perché migrare sia un diritto e restare in silenzio ci rende tutte/i complici. Ogni giorno migliaia di vite umane di donne e uomini in fuga sono messe a rischio, i diritti umani e civili di profughi e migranti sono calpestati e la libertà di movimento annullata. Si manifesta riprendendo le modalità di protesta delle madri argentine di Plaza de Mayo ed unendosi ai presidi di altre piazze italiane.
La protesta andrà avanti fino al 18 dicembre, giornata mondiale per i diritti dei migranti, per chiedere con forza i necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:
1. certezza di percorsi di arrivo sicuri e legali
2. accoglienza diffusa e rispettosa dei diritti di tutte/i
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti dentro e fuori l’Unione Europea
4. no a respingimenti ed espulsioni forzate
5. trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche per evitare speculazioni mafiose e criminali
6. creazione di un sistema unico di asilo in Europa in grado di superare il regolamento di Dublino
Aderiscono: Casa internazionale delle donne, Comitato Verità e Giustizia Nuovi Desaparecidos, Archivio memorie migranti, Comunità di S. Paolo, Fondazione Nilde Iotti, Centro Riforma dello Stato, Museo della liberazione di Via Tasso, Coordinamento Eritrea Democratica, ADIF – Associazione Diritti e Frontiere, Cittadinanza e Minoranze, Wilpf, Gazzella Onlus, Ass. Altra Mente, UDI nazionale, Senza Confine, Donne contro il razzismo, Rete internazionale Donne per la pace
Il Manifesto
28 10 2015
La legge ancora non c'è, di sentenze invece ce ne sono anche troppe. La Cassazione tre anni fa, la Corte di giustizia europea quest'anno hanno raccomandato al parlamento italiano di riconoscere il diritto delle coppie omosessuali al matrimonio.
Recentemente (a settembre) l'ha fatto anche il parlamento europeo, in una raccomandazione indirizzata all'Italia e agli altri otto paesi che ancora non riconoscono "le unioni di fatto registrate e il matrimonio» alle coppie dello stesso sesso. Come noi solo Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia,Bulgaria e Romania. ...
L'Unità
27 10 2015
Giorgia e Paolo sposi. 10 anni lei, 45 lui: davanti al Pantheon a Roma si è celebrato un "matrimonio forzato", una messa in scena che accende però i riflettori su una pratica diffusa che tocca ogni anno 13,5 milioni di bambine e ragazze in tutto il mondo, 37mila ogni giorno, secondo le stime del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa). ...
Cronache di ordinario razzismo
27 10 2015
In Italia, la questione della eccessiva “tolleranza” di Facebook verso i razzisti è da tempo un leitmotif ricorrente. Per i vertici di Facebook far rimuovere i commenti razzisti è un procedimento molto “complesso” e macchinoso, benché nel suo “statuto”, lo stesso Facebook affermi di non ammettere i contenuti che incitano all’odio e ripudi “la discriminazione di persone in base a razza, etnia, nazionalità, religione sesso, orientamento sessuale, disabilità o malattia”. A tal proposito, esiste un’apposita “finestra” che consente agli utenti di segnalare i commenti e i post di questa natura. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, essi restano visibili e non vengono rimossi. Questa è una querelle che ha ragioni molto profonde, legate ad un’idea molto ampia (e forse distorta?) del concetto di “libertà di manifestazione del pensiero”, che arriva ad includere anche le affermazioni più violente o addirittura false.
E mentre in Germania fa notizia la denuncia da parte di un avvocato nei confronti del gestore di Facebook (nelle persone dei manager della società che gestisce il social network in Germania) per non aver cancellato una sessantina di post e di pagine contenenti messaggi di odio e di violenza razzista, in Italia si parla del post xenofobo di una giovane commessa nei confronti dei cittadini rumeni. Michela Bartolotta, giovane veneta che nell’agosto 2012 arrivò alle finali di Miss Muretto ad Alassio, lavora in un negozio del centro Padova, nella zona delle Piazze. Nel luglio del 2014, appena diciottenne, ha un battibecco con un cliente rumeno che lei definisce “arrogante”.
Poi si sfoga su Facebook: “Io e il popolo rumeno non andremo mai d’accordo: puttane senza pudore, badanti represse ed altri elementi maleodoranti privi di civiltà e di educazione. Prima o poi vi stermino”. La ragazza, nonostante le scuse ed un pubblico pentimento (a nulla sono valsi i gesti di apertura del padre della ragazza e del gestore del centro di telefonia dove Michela lavora), viene accusata e denunciata per “discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” da parte di Ion Leontin Cojocea, presidente del Centro di Assistenza e Servizi dei Cittadini Romeni in Italia. La Giustizia fa il suo corso e sulla giovane pendono oggi pesanti accuse. «Le ingiurie attribuite alle donne offendono, con solo tre parole, la dignità, l’onore e la reputazione di tutta la componente femminile dell’associazione e dell’intera comunità romena» spiega Cojcocea.
Sui social, oramai, è possibile esprimere sentimenti che, tuttavia, spingono a volte azioni inconsulte ed ai limiti (ed oltre) dell’odio e della violenza razzista, come ad esempio la legittimazione a possedere un’arma per “farsi giustizia da soli” (emblematico, in tal senso, lo “show” del leghista Buonanno andato in onda qualche giorno fa su Sky TG 24) o, appunto, la pubblicazione di post pesantemente offensivi e stigmatizzanti contro un’intera popolazione (quella rumena in questo caso).
Ma l’indagine aperta ad Amburgo potrebbe segnare una svolta in Europa per il fatto stesso di aver coinvolto per la prima volta le altre cariche dei social network, tralasciando i singoli autori dei post. Si sale di livello quindi.
E la cosa non sarebbe male, se venisse fatta anche in Italia, al fine di creare un’azione condivisa e simultanea che obblighi i social ad agire una volta per tutte. E dall’alto. L’hate speech, come abbiamo ribadito più volte, necessita di regole chiare e valide a livello europeo. Non ci si può fermare al singolo post segnalato. E l’ultima frontiera, che si è aperta di recente, è quella che insinua il sospetto che all’origine di questa sorta di “lassismo” e di laisser-faire nei confronti di post violenti, carichi di odio e alle volte anche bugiardi, non ci sia solo un’idea molto ampia (e ambigua) di libero pensiero, ma piuttosto un’idea che i discorsi d’odio vengano “tollerati” perché “producono” visualizzazioni, like, condivisioni. Ovvero, business virale.