Flash news

RaiNews
14 10 2015

Con una decisione senza precedenti il governo israeliano decide di isolare i quartieri arabi della Città santa dopo l'escalation di attentati culminata con la giornata di terrore di ieri. I corpi degli attentatori uccisi non saranno restituiti alle famiglie. Il ministro del Governo locale palestinese, Hussein Al-Araj "diciamo no a una terza Intifada, no alle armi, vogliamo la pace. Netanyahu vuole la pace solo a parole".

Dopo l'escalation di violenza dei giorni scorsi il governo israeliano ha deciso di di sigillare e isolare i settori arabi di Gerusalemme e di indire il coprifuoco su questi quartieri. La notizia, senza precedenti, è stata comunicata con una nota dall'ufficio del premier Benjamin Netanyahu al termine di una riunione sulla sicurezza. Il governo ha inoltre deciso di non consegnare alle rispettive famiglie i cadaveri degli attentatori rimasti uccisi negli attacchi dei giorni scorsi.

È stato inoltre disposto un rafforzamento delle misure di protezione non solo a Gerusalemme ma anche nelle maggiori città israeliane dove l'esercito ha inviato sei compagnie di soldati "per rafforzare il senso di sicurezza". Intanto le forze di sicurezza israeliane hanno sventato un attacco con il coltello alla Porta di Damasco a Gerusalemme, uccidendo l'aggressore. Secondo quanto riferisce il Jerusalem Post, l'uomo si è lanciato verso una guardia di sicurezza che stava scortando una famiglia alla porta della Città Vecchia ma è stato fermato dagli agenti che lo hanno neutralizzato prima che accoltellasse qualcuno.

Le violenze di ieri
Per la capitale israeliana la giornata di ieri, ribattezzata "giornata della rabbia" dai palestinesi, è stata una delle più difficili per via della cosiddetta Intifada dei coltelli. In città ci sono stati quattro attentati in simultanea, tre morti e una ventina di feriti. Tra le vittime anche il rabbino Yeshaye Krishevsky di 59 anni. Una giornata di sangue iniziata da due terroristi che hanno aperto il fuoco su un autobus, nel quartiere di Armon Hanatziv. Nell'attacco sono morti due uomini, mentre altre quattro persone sono state portate in ospedale. Una di queste è grave. In totale sono state ferite sedici persone. I due attentatori sono stati neutralizzati, uno è stato ucciso, l'altro ferito. Poco dopo un altro drammatico episodio a Malkei Israele Street, sempre a Gerusalemme, quando un uomo al volante ha puntato l'auto contro una fermata d'autobus. Quest'ultimo è poi sceso dall'auto e ha cominciato a ferire i presenti, che però sono riusciti a fermare l'attentatore. Negli scontri è morto il rabbino Yeshaye Krishevsky di 59 anni e altre cinque persone sono rimaste ferite.

Netanyahu: useremo "ogni mezzo possibile" contro la violenza
Per affrontare l'ondata di violenze il primo ministro di Israele Netanyahu ha convocato una riunione urgente del gabinetto di sicurezza. Abbandonando momentaneamente la riunione, Netanyahu ha annunciato alla Knesset, il Parlamento israeliano, che verrà utilizzato "ogni mezzo disponibile" per contrastare la violenza. "A chi alza la mano contro di noi", ha aggiunto "quella mano sarà tagliata". Il primo ministro ha anche diffidato il presidente dell'Anp, Abu Mazen, dall'incitare i palestinesi alla rivolta in qualunque modo, sottolineando che in caso contrario sarà ritenuto responsabile dell'aggravamento della situazione. Stando a quanto trapelato, Netanyahu sta pensando a misure di sicurezza addizionali: il governo potrebbe optare per la decisione senza precedenti di chiudere i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est, così da impedire che i residenti abbiano accesso alle zone ebraiche, e decidere di allentare le regole sul porto d'armi per difesa personale.

L'Autorità palestinese: non è in corso una terza intifada, Netanyahu vuole la pace solo a parole
Dal canto suo, il governo palestinese nega che sia in corso una terza intifada per liberare Gerusalemme. Secondo il ministro degli Esteri palestinese, Riad al Malki, intervenuto a Ginevra durante la cerimonia all'Onu in cui è stata issata la bandiera palestinese, è piuttosto "il premier Netanyahu che sta cercando di istigare una nuova intifada, spingendo i palestinesi allo scontro. Noi vogliamo evitarlo e non dare (a Israele) quella soddisfazione". "L'unica soluzione per placare l'escalation di violenza - ha aggiunto - è chiedere l'intervento del Consiglio di sicurezza dell'Onu".

Al-Malki ha poi annunciato che a breve sarà convocata una sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, per prendere posizione contro l'escalation di attacchi tra israeliani e palestinesi. Il ministro del Governo Locale palestinese, Hussein Al-Araj a margine del Forum mondiale dello sviluppo locale in corso a Torino, ha ribadito la posizione palestinese "Invitiamo alla calma e diciamo no a una terza Intifada, no alle armi, vogliamo la pace". Poi ha aggiunto "Non vogliamo vedere l'Intifada e non siamo noi a chiederla, ma vediamo che purtroppo non sta succedendo la stessa cosa da parte di Israele. Il primo ministro Netanyahu dice di essere a favore della pace, ma solo a parole e non nei fatti e assistiamo a provocazioni giornaliere nei nostri confronti".

Mediazione a stelle e strisce
Dopo le violenze di ieri in Medio Oriente, il Segretario di Stato americano John Kerry ha riproposto la mediazione diplomatica del governo statunitense: "Presto sarò nella regione e cercherò di vedere se esiste la possibilità di reimpegnare le parti in un negoziato che eviti il precipizio", ha detto Kerry. "La violenza", ha aggiunto il capo della diplomazia americana, "arriva perché è in crescita il sentimento di frustrazione tra gli israeliani, che non vedono passi avanti". Infine Kerry ha assicurato l'impegno americano per la ricerca di una via d'uscita entro i prossimi "16 mesi" dell'amministrazione Obama.

Il Fatto Quotidiano
13 10 2015

Per la legge italiana le dilettanti hanno battuto le professioniste 1-0. L`Acf Brescia femminile ha infatti sconfitto in casa le "Reds" del Liverpool nell`andata dei sedicesimi di finale di Champions League, in attesa della gara di ritorno in programma domani in Inghilterra. ...

Elisabetta Reguitti
No Ombrina
14 10 2015

CENTINAIA DI MANIFESTANTI CONTRO OMBRINA DA ABRUZZO, MARCHE, MOLISE, LAZIO E CAMPANIA AL PRESIDIO PROMOSSO DAL COORD. NO OMBRINA

RINVIO TECNICO, ORA VOTARE SUBITO IL PARCO MARINO, NIENTE SCUSE DALLA REGIONE.

In centinaia dall'Abruzzo e da altre regioni italiane al presidio organizzato dal Coordinamento No Ombrina oggi a Roma per contestare lo scellerato progetto petrolifero lungo le coste abruzzesi.

In un clima anti-democratico, con i sindaci che non hanno potuto avvalersi di tecnici ed avvocati come avrebbero voluto, con i cittadini, consiglieri regionali e deputati dell'opposizione tenuti fuori dai luoghi delle decisioni che riguardano i territori in cui abitano, vi è stato un mero rinvio tecnico di alcune settimane.

A questo punto vi è tutto il tempo per approvare in sicurezza la legge regionale di istituzione del Parco marino Trabocchi del Chietino davanti a S.Vito chietino e Rocca S.Giovanni. Niente scuse, il governo regionale deve assolutamente presentarsi al prossimo appuntamento con tutte le carte necessarie per bloccare o almeno rallentare il progetto. Noi cittadini in ogni caso lotteremo fino all'ultimo secondo per difendere l'Adriatico.

Coordinamento No Ombrina

Il Manifesto
13 10 2015

Il congresso straordinario di Syriza si terrà ad febbraio, in modo da ufficializzare la nuova linea del partito, dopo la scissione di agosto e la vittoria elettorale nelle elezioni di tre settimane fa. Una decisione che mira anche a favorire il rafforzamento organizzativo della Coalizione della Sinistra Radicale, dopo la decisione di alcuni responsabili di seguire Panajotis Lafazanis nella nuova esperienza politica di Unità Popolare. ...

Teodoro Andreadis Synghellakis
Corriere della Sera
14 10 2015

Il cucciolo in fasce vale meno del nonno? Sì, almeno secondo il Fisco. Chi si fa aiutare da una badante nella cura del genitore anziano può contare su deduzioni (sull'imponibile) e detrazioni (sul conto finale delle tasse). Chi affida il proprio bimbo a una tata deve accontentarsi di deduzioni fiscali inferiori. E in ogni caso modeste. ...


Il Manifesto
14 10 2015

Attesa da oltre venti anni, la riforma della cittadinanza è stata approvata ieri da un'aula della Camera inizialmente deserta. Uno spettacolo desolante, che però non ha tolto ai tantissimi giovani figli di stranieri che vivono nel nostro paese la gioia di vedere diventare realtà una provvedimento che seppure con tutti i suoi limiti attendevano da troppo tempo. ...

Carlo Lania
Rifondazione
07 10 2015

Loris De Filippi, oggi Presidente di Medici Senza Frontiere in Italia è una persona nota a chi segue da noi tanto le tematiche internazionali quanto alcune questioni di disagio in Italia. Più di 11 anni fa denunciava la violenza degli allora Cpt (oggi Cie) per migranti e poi le condizioni di sfruttamento nei campi, sempre dei lavoratori immigrati, soprattutto nel Meridione. Impegnato direttamente in numerose aree di crisi, da Haiti all’Indonesia dello Tsunami, alla Siria alla Repubblica Centrafricana, oggi coordina un po’ tutte le attività dell’organizzazione premiata con il Nobel per la Pace nel 1999. Lo raggiungo che è ancora sconvolto e indignato per il criminale bombardamento effettuato da mezzi della Nato sull’ospedale afgano di Kunduz e che è costato la vita a 22 persone, numerosi i feriti, praticamente distrutto il complesso ospedaliero. E ovviamente è di questo ma non solo che vuole parlare.

«Il danno è stato enorme. Non solo i morti e i feriti ma si è cancellata l’esistenza dell’unico ospedale traumatologico del nord dell’Afghanistan, del solo ospedale a Kunduz in grado di fare interventi chirurgici. Parliamo di una città di 300 mila abitanti, grande come Bologna. In queste settimane di guerra era invaso da feriti tanto che il 1 ottobre avevamo diramato un comunicato per parlarne. Quando è iniziato il bombardamento c’erano 185 persone, di questi 40 bambini di cui 3 erano in terapia intensiva. Sono morti tutti e 3. E poi si è distrutta ogni risposta sanitaria, il direttore dell’ospedale, medici, infermieri, tecnici, anche i guardiani e i farmacisti. Irreparabile».

Il governo di Kabul ha dichiarato all’inizio che ospitavate talebani
«Quando arrivano feriti non domandiamo con chi stanno. Potevano esserci anche talebani ma erano feriti e disarmati perché negli ospedali non entrano armi e noi curiamo ovunque le persone a prescindere dal loro ruolo».

Lo definirebbe un attacco casuale?
«Mi è già capitato di utilizzare una parola forte e di dire che era premeditato. Riflettendoci a mente fredda come si potrebbe definire un attacco che dura per più di mezz’ora condotto con Hercules AC130 (detto fortezza volante), hanno bombardato più volte pur conoscendo il nostro Gps, e potendo vedere bene che si trattava di una grande struttura sanitaria, peraltro conosciuta da tutti. Noi vogliamo capire per dare un giudizio sereno ma ci è difficile credere nell’errore. Si era anche in una fase cruciale del conflitto per il controllo della città, era in atto uno scontro forte fra governativi e talebani. Di fatto la violazione della Convenzione di Ginevra è inequivocabile, si tratta di un crimine di guerra vigliacco. Per noi il 3 ottobre resterà un sabato nero. Quando ci è giunta la notizia stavamo celebrando un altro 3 ottobre orrendo, quello di Lampedusa, molti di noi erano a Ferrara per ricordare quell’altro massacro».

Avete deciso di lasciare Kunduz ma restate in Afghanistan?
«Restiamo nel sud del Paese, a Lashkar Gah e Kabul ma torneremo a Kunduz non appena sarà possibile. Dobbiamo rimettere in piedi la struttura ma torneremo. Abbiamo stretto un patto con quella gente, con i civili che vivono in quella situazione assurda da quando abbiamo deciso di “esportare la democrazia”. Torneremo ma i nostri operatori e le persone che curiamo debbono essere messe in sicurezza».

Quale è stata la reazione dei civili?
«Al momento è ancora difficile da capire. C’è il coprifuoco nella zona e non abbiamo in questo momento interlocutori. Ma per tutti, anche per i talebani, si tratta di un fatto molto grave. Ora non abbiamo basi, solo un patto da mantenere».

E fuori dall’Afghanistan?
«La società civile e tante organizzazioni sono state commoventi. Ci hanno dato aiuto e ci spingono ancora di più a voler andare a fondo per conoscere le responsabilità. Nel mondo si dice che stavolta gli americani se la sono presa con il nemico sbagliato. Questo ci convince ancora di più dell’importanza di avere una Commissione Internazionale Indipendente che valuti l’accaduto. Lo dobbiamo alle 22 vittime, alle loro famiglie e non ci accontenteremo di indagini unilaterali. In Italia anche c’è stata forte attenzione, a cominciare da Emergency che si è fatta carico dei nostri feriti fino a tante piccole associazioni e singoli che hanno voluto mostrarci solidarietà. C’è un risveglio da noi provocato anche da altri fattori, che ci fa ben sperare. Con questo attacco non hanno colpito Msf, ma tutti e non si può parlare di errore o, come si è detto all’inizio di “danni collaterali”. Ripeto ci sono 22 famiglie che oggi sono a terra e anche per loro va combattuta una battaglia di civiltà».

Sono mancate le istituzioni
«Lo dico con franchezza. Non ho avuto il tempo di andarmi a cercare tweet e comunicati stampa con accuratezza ma mi sembra che dal governo italiano non sia giunto nulla. Non dico per Msf ma neanche il cordoglio per le vittime da parte di Renzi e del ministro Pinotti. Il silenzio».

Tra l’altro, ed è un paradosso, operazioni come quella su Konduz, aumentano l’instabilità e costringono le persone a fuggire. Col risultato che poi in Europa giungono altri profughi
«Si è il primo dei paradossi, ma ce ne sono altri, altrettanto drammatici e grotteschi. Ce ne stiamo accorgendo con la campagna Milionidipassi (http://milionidipassi.medicisenzafrontiere.it/) con cui stiamo affrontando la questione. Da mesi, anche nel centro destra, sta passando la logica per cui si capisce l’importanza di dare protezione ai cittadini siriani – ed è giusto sia chiaro – ma si dimentica di cosa accade a chi esce da 14 anni di guerra mai terminata e da decenni di disordini violenti. Quelli che arrivano dall’Afghanistan cosa sono ora? Si tratta di transumanze umane importantissime ma costoro, come chi proviene da altri paesi, saranno discriminati in quanto non siriani. Noi sempre in Afghanistan nel 2004 abbiamo perso 5 colleghi, condividiamo con gli afghani la tragedia, l’abbiamo condivisa fisicamente, capiamo sulla nostra pelle di cosa si tratti. Nella mia città Udine ce li siamo trovati sulle panchine, senza un minimo di accoglienza dignitosa. E c’è chi tranquillamente parla di rispedirli al loro paese perché lì la guerra è finita».

Intanto Msf continua ad operare in molte aree di conflitto
«Si abbiamo ripreso ad operare nella Repubblica Centrafricana, dove la situazione peggiora e in Yemen. Due posti di cui si parla poco. Ma stiamo anche attuando una riflessione per come aiutare il desk che segue l’Afghanistan, rafforzandolo. Stiamo richiamando del personale in un continuo dialogo fra Kabul e Bruxelles. E poi prosegue, almeno fino al 31 dicembre il lavoro di salvataggio con la task force che opera in Italia, Grecia e area balcanica. In pratica gran parte del Mediterraneo, Macedonia, Serbia e Croazia».

Siete fra i pochi che continuano i soccorsi in mare
«Si con la nave principale, la Bourbon Argos, e poi con la Dignity I e la My Phoenix, in collaborazione con un privato, MOAS. Ma vediamo il rischio di istituzionalizzazione del nostro operato. Anche su questo stiamo ragionando. Non vorremmo finire con l’essere rassicurati da un Ministero dell’Interno che ci dice di non aver più bisogno di noi e poi venire a sapere di altri naufragi e altre vittime. Vogliamo essere certi che non solo verranno impiegati fondi e messe a disposizioni capacità ma essere certi che ci saranno vie sicure e legali per entrare in Europa. Altrimenti ci sentiremmo colpevoli per ogni ulteriore vittima».

Ci sarà ancora molto lavoro da fare allora temo
«Si e lo faremo. Ma vorrei concludere aggiungendo un ringraziamento. Nel silenzio di molti abbiamo assai apprezzato il sostegno che ci è giunto da Paolo Ferrero e dal vostro partito. Lo avete fatto immediatamente e in maniera limpida. Avete interpretato il sentimento di molti italiani che vogliono partire con le nostre missioni in Afghanistan. Uno dei nostri, italiano, era appena tornato prima della strage. Speriamo che anche altri si facciano sentire come voi, per fare quello che non ha fatto il governo. Un governo che non ha trovato il tempo per assumere una posizione. Questo invece fa molto male». 
Corriere della Sera
13 10 2015

Una specie di corsa a ostacoli. Una mediazione continua fra quello che dovrebbe essere e la realtà. Si potrebbe riassumere così il mondo del lavoro visto dalle donne dei Paesi del G20. Perché questo dice, in sintesi, il rapporto sui cinque problemi chiave che il popolo femminile deve fronteggiare ogni santo giorno sui luoghi di lavoro. ...

Giusi Fasano-Viviana Mazza
La Repubblica
13 10 2015

Fumata nera dopo l`incontro tra Matteo Renzi e Angelino Alfano. Le parti non hanno trovato un accordo sulle unioni civili. Ma l`inquilino di Palazzo Chigi non ci sta e decide di accelerare ugualmente. D`altro canto, avrebbe confidato al leader di Ncd, «da mesi si parla di unioni civili e io devo almeno portarle in aula. Poi si vedrà...». Un ragionamento in realtà che non preclude alcuna possibilità. ...
Il Sole 24 Ore
13 10 2015

Divieto di fumo in auto, se ci sono bambini o donne incinte, stop ai pacchetti da 10 e alle mini-confezioni di tabacco, regolamentazione delle sigarette elettroniche con divieto di vendita ai minori. Ma anche tracciabilità di ogni singolo pacchetto e immagini choc su ogni confezione per scoraggiare dall'acquisto. ...

La Repubblica
12 10 2015

Michela Marzano, filosofa e deputata Pd, domani voterà contro la nuova legge. «Introduce una grave discriminazione tra i bambini. Era meglio non arrivare al voto e continuare a migliorare il testo». Parla dell`esclusione delle coppie di fatto e dei singoli? "Certo, questa legge mette per iscritto che in Italia ci saranno bambini di serie A e bambini di serie B." ...

Maria Novella De Luca

Corriere della Sera
12 10 2015

"Era alto, con gli occhi neri, e calvo sulle tempie. Indossava una lunga tunica bianca e una sciarpa nera sulla testa. È arrivato con suo figlio, un ragazzo sui 14 anni, e con un amico di nome Mansur. Ha preso nove di noi e ci ha portate a casa sua a Raqqa. Ha detto di chiamarsi Abu Khaled, ma era Abu Baia al Baghdadi, l'ho riconosciuto dalle foto". ...

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