Il Manifesto
27 10 2015
Maggioranza. Il senatore lascia Ncd anche perché «ora ci troviamo con una parte del partito che vuole allearsi stabilmente con il Pd». Sel e M5S: bene, ora sulle unioni civili il governo non ha più alibi.
«Mi trovo l’imposizione del matrimonio gay, della liberalizzazione della cannabis, della teoria dei gender nelle scuole, ma io lì che ci sto a fare?». No, per Carlo Giovanardi «i gender» sono davvero troppo. Quindi il dado è tratto, il senatore lascia Ncd e la maggioranza, anche perché «ora ci troviamo con una parte del partito che vuole allearsi stabilmente con il Pd». Non ci sta a farsi prendere a «frizzi, lazzi e pernacchie» da Matteo Renzi, che «governa con i nostri voti» e poi «fa passare tutto ciò che a noi non piace con i voti del M5S». Il riferimento è a quello che lui chiama «matrimonio gay» che però ancora non è passato nemmeno nella versione Cirinnà. Ma comunque «uno avrà il diritto di restare nel centrodestra?». In Forza Italia? No, «con Berlusconi ero in ottimi rapporti, ero nell’ufficio di presidenza del Pdl, mai in Fi non ci sono mai stato. Nei prossimi giorni decideremo con gli altri…».
Gli altri sono i coordinatori provinciali dell’Ncd di Piacenza, Reggio Emilia e Modena, il sindaco di Monzuno Marco Mastacchi, un paio di consigliere comunali e i presidenti di 31 circoli in Emilia Romagna. Hanno preso la decisione al termine di un’assemblea regionale che ha approvato un documento contro «una vera e propria rivoluzione antropologica» che sarebbe il «matrimonio gay», l’«insistente campagna per la legalizzazione della cannabis» che «il sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova che sta portando avanti» e, ovviamente, «il gender».
Dunque Giovanardi lascia, ma dal suo ormai ex partito nessuno lo prega di ripensarci. Angelino Alfano, che almeno per Gaetano Quagliariello, dimessosi da coordinatore di Ncd e avviatosi verso l’uscita, aveva pronunciato un lapidario «non trattengo nessuno», con Giovanardi nemmeno quello.
Invece si felicita Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center: «Ora Giovanardi potrà capeggiare le Sentinelle in piedi. Mentre siamo lieti di apprendere da lui che il percorso delle unioni civili avrà seguito». Se lo augura anche Peppe De Cristofaro, senatore di Sel: «Sulle unioni civili il governo non ha più alibi». E così il 5 Stelle Alberto Airola che, come De Cristofaro, invita anche a andare «avanti spediti sui programmi scolastici antidiscriminazione e sul potenziamento dell’Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni razziali istituito presso la presidenza del consiglio».
Giornalettismo
16 07 2015
Duecentodiciotto parlamentari hanno sottoscritto un disegno di legge per la legalizzazione della cannabis. È partito così il lungo iter per la regolarizzazione della vendita e del consumo delle cosiddette droghe leggere. A presentare la proposta un centinaio di grillini, l’intero gruppo Sel, sessantacinque dem, alcuni centristi e due berlusconiani. Inevitabili le polemiche del Nuovo centrodestra che ha definito «inaccettabile procedere con maggioranze trasversali».
LA LEGGE
Come spiega Tommaso Ciriaco su La Repubblica, il disegno di legge prevede il possesso casalingo di 15 grammi di cannabis per uso ricreativo e solo cinque grammi al di fuori delle mura domestiche, ovviamente solo per i maggiorenni. Sarà possibile coltivare fino a cinque piante per uso personale previo comunicazione all’ufficio dei Monopoli. Via libera anche alla vendita al dettaglio e ai “Cannabis social club”, associazioni no profit sul modello spagnolo che potranno detenere duecentocinquanta piantine ogni 50 associati. Vietato il consumo in pubblico, l’import-export della sostanza e la guida in stato di alterazione. Un provvedimento che punta ad incentivare la prescrizione dei farmaci a base di cannabis e che vedrebbe il 5% dei proventi destinati a finanziare il Fondo nazionale per la lotta alla droga.
LE CRITICHE
Di traverso il Nuovo centrodestra che fa sapere tramite Maurizio Lupi: «La legalizzazione? Per quanto mi riguarda se la possono scordare», il capogruppo Ncd continua poi con un vecchio clichè: «Nessuno ci assicura che l’accesso facile alle sostanze cosiddette “leggere” scongiurerebbe il salto verso le droghe più pesanti». No alle maggioranze trasversali quindi, perchè «Non è pensabile che su tematiche che hanno evidenti implicazioni sociali ed etiche si proceda a strappi, cercando maggioranze trasversali che non saranno mai quella che sostiene il governo». Contrari anche Fratelli d’Italia e Salvini che non perde occasione per ribadire: «Personalmente sono favorevole alla legalizzazione della prostituzione. Fino a prova contraria il sesso non fa male, la cannabis sì».
Linkiesta
02 07 2015
Parla Niccolò Vecchioni, avvocato del rapper Noyz Narcos: « C’è molta impreparazione, anche tra gli addetti ai lavori»
«I processi per stupefacenti sono quelli che intasano di più le aule dei Tribunali. Tra di essi un numero non indifferente riguarda le droghe cosiddette “leggere”». Niccolò Vecchioni, avvocato penalista, difensore di Noyz Narcos, il rapper arrestato nelle scorse settimane in casa per meno di 12 grammi di hashish e marijuana, ha un’esperienza consolidata nel settore della lotta contro le droghe da parte delle forze dell’ordine. Sta dall’altro lato della barricata. Difende chi viene beccato con sostanze stupefacenti, districandosi in quella selva normativa che si chiama legge Fini-Giovanardi, giudicata incostituzionale dalla Consulta nel 2014, ma tutt’ora un problema fino a quando il legislatore non deciderà di mettere mano alla materia, creando distorsioni non da poco. In un’epoca in cui negli Usa diversi stati hanno deciso di legalizzare la cannabis, mentre in Italia un gruppo di parlamentari sta provando a portare avanti una legge per depenalizzare le droghe leggere e l’Antimafia ha certificato il fallimento della lotta al traffico di droghe leggere, c’è ancora chi marcisce in carcere per pochi grammi di stupefacenti.
Complici una parte nella fiction sul gruppo rap Club Dogo su Mtv e un’intervista a Vice, Vecchioni è tra i legali più noti e stimati, perché i processi li vince e spesso riesce a far scagionare i suoi clienti. «Una volta ho difeso un ragazzo a cui erano stati sequestrati un chilo e mezzo di marijuana in una coltivazione domestica. Dai verbali risultava che le forze dell’ordine avevano determinato il peso complessivo inserendo anche gli steli delle piante, le foglie secche, la terra contenuta nei vasi: alla fine in giudizio – dopo una consulenza tecnica - si è accertato che lo stupefacente “netto” era di soli 20 grammi. Accade, per esempio, che si formulino capi di imputazione nei quali rientrano anche condotte non penalmente rilevanti come la detenzione di semi di marijuana che non contengono principio attivo drogante e sono esclusi dalla nozione legale di cannabis. C’è molta impreparazione, anche tra i cosiddetti “addetti ai lavori”. Il problema è per chi resta impigliato nelle maglie del sistema, magari senza essere un narcotrafficante. Perché questi reati sono sanzionati aspramente nel nostro ordinamento e il discrimine tra uso personale e illecito penale è pericolosamente labile».
Laurea all’Università Statale di Milano, già collaboratore di un noto studio di diritto penale milanese, Vecchioni si è fatto le ossa difendendo ragazzi, adulti o semplici consumatori di cannabis, che in questo Paese sono almeno quattro milioni di persone. «L’attuale normativa lascia eccessivi margini di discrezionalità al giudice che, in assenza di parametri applicativi ben definiti, decide caso per caso con risultati spesso disomogenei. C’è troppa schizofrenia, disparità di trattamento, da città a città, da soggetto a soggetto. Basti pensare al concetto di lieve entità del fatto o all’aggravante dell’ingente quantitativo che il legislatore ha descritto in maniera estremamente generica con conseguenze pratiche spesso paradossali.
Può accadere, per esempio, che la detenzione di due chilogrammi di marjiuana accertata a Udine dia luogo alla contestazione dell’aggravante dell’ingente quantitativo e che a Milano la stessa aggravante non venga contestata per quantivi anche cinquanta volte superiori. Analogamente possono trovarsi giudici che riconoscono la destinazione ad uso personale anche in casi di detenzione di sostanza in quantitativi superiori ai “cosiddetti valori-soglia” ed altri che, sulla base del solo dato ponderale, trattano come spacciatori soggetti che magari non hanno mai ceduto droga in vita loro».
Non sono leggende metropolitane le storie di stranieri che finiscono dentro per pochi grammi di hashish, mentre altri con lo stesso quantitativo, ma italiani, riescono a sfangarla con una semplice sanzione amministrativa. «Il consumo delle sostanze è già depenalizzato in Italia, viene perseguita la detenzione ai fini di spaccio» spiega Vecchioni. «Ma la legge ha troppe lacune e rende difficile individuare i casi nei quali una condotta integra reato». Del resto, dopo l’abolizione della Fini Giovanardi, è ritornata in vigore la vecchia Iervolino-Vassalli del 1990. Problemi che si aggiungono a problemi, perché le sanzioni previste per la detenzione di droghe cosiddette leggere erano inferiori (di molto) rispetto a quelle della Fini-Giovanardi e si deve (doverosamente) procedere a un ricalcolo delle pene già comminate.
Non solo. «Ora, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del febbraio 2014, ha ripreso vita la differenza tra droghe leggere e pesanti. Ma a livello politico è mancata la volontà di riformare in maniera organica la disciplina in materia di sostanze stupefacenti. Nonostante la decisione della Consulta costituisse un momento ottimale per ripensare gli interventi legislativi sul tema, si è preferito limitarsi ad alcuni “restyling” della previgente normativa, optando per l’adozione di provvedimenti “tampone” dettati più dalla necessità di adeguarsi alle indicazioni della Corte EDU in tema di sovraffollamento carcerario che da quella di modificare le precedenti scelte di politica criminale».
Secondo il libro Bianco dell’associazione Antigone del 2015 la popolazione carceraria è ancora formata per la maggior parte da individui che hanno violato l’art. 73 DPR 309/90. C’è stato un calo rispetto al 2006, quando fu introdotta la legge poi giudicata incostituzionale, erano 25mila su 90mila, ma ancora adesso le percentuali sono alte: nel solo 2014 erano 14mila su un totale di 50mila. Una legge degli anni ’90, una miriade di incertezze normative, lacune e la vita di persone in mano alle semplici decisioni di un giudice. «L’attuale disciplina determina una situazione di incertezza del diritto», afferma Vecchioni. Che ricorda pure come il mondo della droga sia cambiato negli ultimi trent’anni. «I dati sul consumo di stupefacenti in Italia certificano il fallimento delle politiche repressive che non hanno raggiunto il loro obbiettivo primario, ovvero la tutela della salute pubblica, ma hanno purtroppo favorito un altro fenomeno di elevato costo sociale: l’ipertrofia carceraria».
Alessandro Da Rold
Corriere della Sera
02 04 2015
Caro direttore, nelle scorse settimane sono state promosse in Parlamento due iniziative parallele, entrambe su questioni ruvidamente controverse. La prima ha portato alla costituzione di un intergruppo parlamentare favorevole alla legalizzazione della cannabis; la seconda è finalizzata alla depenalizzazione delle fattispecie che variamente, nel codice penale, si riferiscono all’eutanasia. Nel primo come nel secondo caso, le adesioni hanno raggiunto un numero consistente, pur rappresentando solo una minoranza rispetto al totale di deputati e senatori.
Ma l’anomalia che emerge è, piuttosto, un’altra. Scorrendo l’elenco dei sottoscrittori, un dato balza agli occhi: tra chi aderisce alla prima iniziativa e chi aderisce alla seconda risultano solo parlamentari appartenenti al centrosinistra e alla sinistra (se si considerano in qualche modo all’interno di quest’area anche quelli del Movimento 5 stelle). Con due sole e isolatissime eccezioni: all’appello per depenalizzare l’eutanasia aderisce Daniele Capezzone (Forza Italia), all’intergruppo per la legalizzazione della cannabis Antonio Martino (Forza Italia).
Dunque, risulta una sovrapposizione quasi perfetta tra schieramento di centrosinistra e sinistra e domanda di diritti di libertà e di autodeterminazione. In altre parole, la frattura destra/sinistra in Italia, nella sfera politico-parlamentare, sembra collocare tutti i fautori di più libertà civili e sociali in un campo e tutti i critici di quelle stesse libertà civili e sociali nel campo opposto. E, infatti, poco più movimentata appare anche la situazione dei due schieramenti intorno alla tematica delle unioni civili.
Ovvio che si tratta di problematiche, per così dire, estreme: ma non c’è dubbio che rimandino a un principio di autonomia individuale e di indipendenza del cittadino dallo Stato: ovvero due capisaldi del pensiero liberale. Ma così non sembrano pensarla i parlamentari di centrodestra.
Una prima spiegazione, assai semplice, è che non sia scontata l’appartenenza del centrodestra a una cultura liberale (se non, appunto, con rare eccezioni); e non è scontato nemmeno che la cultura liberale, quando pure vi sia, si riconosca pienamente nell’affermazione dei diritti civili. Esiste, ad esempio, una cultura liberale di ispirazione cattolica che sul tema esprime una posizione di massima prudenza quando non di forte avversione.
Non solo: alcuni segmenti del centrodestra, scopertisi privi di un sistema di valori che ne definisse l’identità e ne rafforzasse la capacità di attrazione, si sono rivolti al cattolicesimo e al suo codice morale, come l’unico capace di tenere insieme («laicamente») ciò che resta delle tradizionali culture andate in pezzi. Ne è derivato un liberalismo che guarda al cattolicesimo, o che si dice cattolico, di netta fisionomia conservatrice.
D’altra parte, liberalismo non corrisponde immediatamente a libertarismo, anzi. E, dunque, è immaginabile anche un liberalismo tutto concentrato sulla sfera dell’economia e delle istituzioni e scarsamente attento ai diritti individuali, se non a quelli propri dell’impresa e dell’autonomia individuale nei confronti dello Stato e della sua pretesa di ingerenza nella vita dei cittadini. Anche in questo caso, pertanto, si avrebbe un liberalismo estraneo o comunque non sensibile alla tematica dei diritti civili. O, se si preferisce a quei diritti civili così radicali e, come si è detto, così ruvidamente controversi.
Ma anche una simile risposta non può soddisfare. La nuova generazione di diritti impone l’esigenza di affrontare dilemmi etici laceranti, sui quali in tutti gli altri Paesi anche i liberali, e spesso soprattutto i liberali, si interrogano con coraggio e razionalità. In Italia, non accade quasi mai.
E la spiegazione potrebbe essere ancora meno rassicurante. Potrebbe darsi, cioè, che sia proprio il tema dell’autonomia individuale e delle garanzie a sua tutela che è rimasto estraneo allo sviluppo delle idee liberali in Italia. Quasi che tali idee siano state sempre monche, sempre limitate a una interpretazione economicistica o formalistica della libertà e sempre preoccupate della stabilità delle relazioni sociali più che della loro trasformazione nel segno della pluralità dei diritti.
Ne potrebbe conseguire un’ulteriore e ancora più allarmante implicazione. Quell’orientamento schiettamente conservatore — e, per certi versi, fin autoritario — delle culture di destra potrebbe aver finito per abbracciare l’intero sistema politico, coinvolgendo anche quelle di sinistra e spiegando in tal modo la sostanziale inerzia di queste ultime. E non si tratta, forse, di una interpretazione così temeraria.
Luigi Manconi