TristezzaUn ragazzo a volto scoperto, torso nudo con addosso un reggiseno che inginocchiato sembra invocare pietà. Dietro di lui due giovani travisati con sciarpa, cappuccio e coltello in mano che inscenano la sua decapitazione. Altri coetanei osservano, scattando con il telefonino il selfie d'ordinanza che, come da copione, viene diffuso via Whatsapp e Instagram diventando virale e finendo poi per arrivare anche alla preside.
Elisabetta Reguitti, Il fatto Quotidiano ...

Per la scuola l’orizzonte sono le unità di apprendimento

  • Mercoledì, 25 Marzo 2015 14:41 ,
  • Pubblicato in IL MANIFESTO

Il Manifesto
25 03 2015

Basta con le mate­rie. Non si andrà più a lezione di mate­ma­tica, sto­ria, inglese e così via. Si stu­dierà per argo­menti inter­di­sci­pli­nari come «Il tempo in Europa», in cui le lin­gue stra­niere e la geo­gra­fia si impa­rano nella stessa ora.

Dove suc­ce­derà? In Fin­lan­dia, la «solita» Fin­lan­dia. Ormai nelle scuola la chia­mano così. Per­ché ogni volta che si discute di come miglio­rare le nostre scuole, c’è sem­pre qual­cuno che cita il paese di Babbo Natale come modello da seguire. Da anni, gli alunni fin­lan­desi si piaz­zano ai primi posti delle clas­si­fi­che mon­diali per livelli di appren­di­mento, men­tre i nostri arran­cano nelle posi­zioni medio-basse. Le scuole fin­lan­desi sono diven­tate meta di pel­le­gri­nag­gio per gli esperti di didat­tica di tutto il mondo, alla ricerca dell’arma segreta.

I soldi, certo, con­tano. La Fin­lan­dia inve­ste nell’istruzione circa il 7 per cento del Pil, con­tro il 4 per cento dell’Italia. Ma in ter­mini asso­luti non ci sono grandi dif­fe­renze: se si esa­mi­nano gli inve­sti­menti per stu­dente esclu­dendo l’università, entrambi i paesi sono alli­neati nei pressi della media Osce. Se si osserva l’organizzazione del sistema, invece, le distanze aumen­tano. Le scuole fin­lan­desi sono pic­cole, gestite in grande auto­no­mia ma con un clima col­la­bo­ra­tivo tra docenti, pre­sidi, alunni e fami­glie. Niente test Invalsi e mas­sima libertà sulla defi­ni­zione dei pro­grammi di studio.

Dalle cono­scenze alle competenze
Tal­volta può ricor­dare la scuola «Mary­lin Mon­roe» del film «Bianca» di Nanni Moretti. Per esem­pio la deci­sione di abban­do­nare l’insegnamento della scrit­tura a mano in favore della tastiera del com­pu­ter a molti è sem­brato un inu­tile nuo­vi­smo. Anche la nuova pro­po­sta di abo­lire le mate­rie non riscuote apprez­za­menti una­nimi nella stessa Fin­lan­dia. Ma il governo non ha fretta: del resto, ogni cam­bia­mento, sin dalla riforma del 1972 da cui è par­tito il rilan­cio fin­lan­dese, è stato attuato con estrema gra­dua­lità e costanza.

In realtà, l’innovazione di cui si sta discu­tendo oggi non è poi così rivo­lu­zio­na­ria. Per­sino in Ita­lia, i fami­ge­rati pro­grammi mini­ste­riali sono stati abo­liti già nel 2010 dalla riforma Gel­mini, in favore di più fles­si­bili «indi­ca­zioni nazio­nali». La riforma poneva l’accento sullo svi­luppo e la valu­ta­zione delle «com­pe­tenze» degli stu­denti, più che delle «cono­scenze». Non è solo un gioco di parole. Secondo la ricerca didat­tica con­tem­po­ra­nea (che si basa in gran parte sul «costrut­ti­vi­smo» di John Dewey, ela­bo­rato anni Trenta del Nove­cento), le com­pe­tenze si pos­sono valu­tare solo quando le cono­scenze ven­gono appli­cate in con­te­sti auten­tici, ad esem­pio nello stu­dio di un pro­blema tec­nico con­creto. Ma per essere auten­tico, un con­te­sto deve neces­sa­ria­mente essere inter­di­sci­pli­nare, per­ché la realtà in genere si pre­senta simul­ta­nea­mente sotto diversi punti di vista. Da que­sta rifles­sione nasce la pro­po­sta di supe­rare la scan­sione tra­di­zio­nale delle mate­rie, da rim­piaz­zare con «unità di appren­di­mento» interdisciplinari.

A ben guar­dare, nella loda­tis­sima scuola pri­ma­ria ita­liana que­sto approc­cio è sem­pre stato ampia­mente adot­tato, com­plice anche il ridotto numero di docenti per classe. Le aule dei nostri bam­bini sono piene di car­tel­loni su temi come «l’acqua» o «il ter­re­moto», affron­tati da diverse ango­la­ture e soli­ta­mente con lavori di gruppo. Non a caso, quando a Tul­lio De Mauro (lin­gui­sta, stu­dioso dei sistemi edu­ca­tivi ed ex-ministro dell’istruzione) è stato chie­sto un parere su #labuo­na­scuola, si è limi­tato a dire: «Renzi copi la primaria».

Agli inse­gnanti ita­liani, tut­ta­via, la riforma Gel­mini è risul­tata indi­ge­sta per­ché qua­lun­que inno­va­zione didat­tica, accom­pa­gnata da tagli pesan­tis­simi al bilan­cio delle scuole (otto miliardi in meno), è desti­nata a fal­lire. Le «unità di appren­di­mento», dun­que, sono ancora poco dif­fuse e la valu­ta­zione delle com­pe­tenze si limita per lo più a qual­che cro­cetta appo­sta a fine scru­ti­nio. Le spe­ri­men­ta­zioni didat­ti­che, dun­que, sono per lo più auto­ge­stite dai docenti volen­te­rosi e fanno fatica a diven­tare siste­ma­ti­che. In Fin­lan­dia, gli inse­gnanti dispo­sti a ten­tare nuove strade rice­vono aumenti di salario.

Il bluff delle classifiche
Per altro, sull’efficacia di que­ste inno­va­zioni vi sono anche dubbi legit­timi. Lo sto­rico della mate­ma­tica Gior­gio Israel, che pure ha col­la­bo­rato con Maria­stella Gel­mini, ha par­lato aper­ta­mente di «bluff», a pro­po­sito delle per­for­mance degli stu­denti fin­lan­desi. «Le clas­si­fi­che Ocse-Pisa dicono sol­tanto una verità par­ziale circa le abi­lità mate­ma­ti­che dei bam­bini fin­lan­desi» men­tre «le cono­scenze mate­ma­ti­che dei nuovi stu­denti hanno subito un declino dram­ma­tico». Gli stu­denti fin­lan­desi di oggi, infatti, fanno fatica a rispon­dere ai que­siti che veni­vano som­mi­ni­strati loro trent’anni fa. Dun­que, i risul­tati sban­die­rati dipen­dono da come sono ela­bo­rati i test, che invece ven­gono spac­ciati per ogget­tivi. Basta par­lare di scuola, e anche la mate­ma­tica diventa un’opinione.

Un'immersione di una settimana per i bambini delle scuole elementari, che invece della maestra incontreranno un rappresentante della comunità ebraica, cristiana, buddista, islamica e induista. In cinque scuole pilota parte "Incontriamo le religioni del mondo", per favorire il dialogo religioso partendo dai più piccoli, che dal prossimo anno potrebbe essere estesa a tanti altri istituti.
Tiziana De Giorgio, La Repubblica ...

Dinamo Press
24 03 2015

L’occupazione dell’Università di Amsterdam si rivolge ad una crisi sempre più profonda [...] dell’educazione superiore, non solo in Olanda, ma in tutto il mondo. Per tre settimane, l’Università di Amsterdam (UvA) è stata scossa da un’ondata di proteste studentesche contro la neoliberalizzazione dell’educazione superiore e la mancanza di un controllo democratico sui processi decisionali interni.

La settimana scorsa, docenti e ricercatori dell’uvA si sono uniti alla protesta, dichiarando la propria solidarietà agli studenti e minacciando ulteriori azioni se le loro richieste dovessero rimanere inascoltate. Con il Maagdenhuis, sede degli organi centrali, attualmente occupato dagli studenti, il consiglio direttivo è stato costretto in una posizione scomoda: adempirà alle richieste della comunità accademica per una maggior democratizzazione, o continuerà ad obbedire alla logica neoliberista di una finanziarizzazione burocratica? Mentre la lotta all’UvA ha avuto connotati principalmente locali e nazionali, le tematiche sollevate dai suoi studenti, docenti e ricercatori implicano una spinta che va ben oltre i confini dei Paesi Bassi.

L’istruzione superiore è in crisi in tutto il Primo Mondo. Le università si trovano a essere strutturalmente sottofinanziate, rigidamente ed eccessivamente aziendalizzate e profondamente carenti di processi democratici. Ovunque gli Atenei stanno abbandonando sempre di più la loro importantissima funzione sociale – produrre ricerca di alta qualità ed educare una generazione futura di cittadini preparati e consapevoli – delineandosi sempre più verso modelli di aziende private gestite da elite manageriali completamente estranee al mondo accademico e formativo.

Per rendere il panorama ancora peggiore, questi manager – piuttosto che focalizzarsi sul miglioramento della qualità dell’educazione o sull’ottimizzazione dei processi decisionali interni, così da rendere disponibili il maggior tempo e le maggiori risorse possibili per la trasmissione dei saperi e della ricerca – stanno procedendo a stipendiare sei figure dirigenziali per spingere verso una burocratizzazione abnorme e priva di senso del sistema accademico. Stanno imponendo carichi di lavoro alienanti e standard irrealistici al personale sempre più precario, trattano gli studenti come consumatori acritici o addirittura come dati statistici spersonalizzati e applicano un’immensa pressione sui ricercatori altamente competenti, affinché producano in mera ottica quantitativa, con il mero scopo di soddisfare rigidi sistemi “meritocratici” di quote relative alla quantità di pubblicazioni, che non colgono in minima misura la dimensione sociale e qualitativa del lavoro accademico, bensì si prestano alla semplice competizione con altre università-azienda.

Gli studenti che stanno protestando all’UvA si trovano pertanto sulla prima linea di una battaglia globale contro la mercificazione dell’educazione superiore e la costante riduzione dei saperi e dell’apprendimento ad un bene di consumo che sempre meno studenti potranno permettersi. In molti Paesi, questa logica neoliberista è sfociata in drammatici aumenti delle tasse ed in tagli dei fondi, combinati al cancro di una cultura della gestione applicata dall’alto verso il basso, ad una burocratizzazione spaventosa ed alla sistematica precarizzazione del lavoro accademico. È semplice immaginare tutte le prevedibili conseguenze, quali l’accrescersi dell’indebitamento da parte degli studenti, la proliferazione di un ambiente di lavoro ostile, oltre che depressione ed esaurimento nervoso tra il personale accademico.

E’ interessante notare come siano proprio le nazioni, dove questa neoliberalizzazione dell’educazione superiore è avvenuta per prima, ad aver sperimentato le più spettacolari proteste studentesche degli ultimi anni: dalla “Rivoluzione dei Pinguini” in Cile al movimento della Piazza Rossa in Québec, dalle occupazioni dei campus in California ed il recente sciopero del debito studentesco all’Everest College, agli scontri degli studenti in Regno Unito. I Paesi Bassi, comunque 10 anni in ritardo rispetto alla tendenza, sono stati a lungo ansiosi di colmare il divario con i propri omologhi neoliberisti. Osservando le recenti rivolte studentesche in queste nazioni, avrebbero dovuto probabilmente capire meglio di non poter spingere troppo in là questa logica. Come Polanyi ha notoriamente affermato, c’è un limite fino al quale ci si può spingere nel mercificare i beni comuni.

Ad un certo punto, i cittadini si ribelleranno. In questo senso, il movimento di opposizione che ora si sta svegliando ad Amsterdam potrebbe ben rappresentare un’avvisaglia di ciò che deve ancora accadere. Ewald Engelen, docente di Geografia Finanziaria all’UvA e rinomato oppositore alla finanziarizzazione, non è stato così esagerato quando si è riferito a Maagdenhuis come al “luogo più interessante dell’Europa dell’Ovest.” Dopo anni di sofferti silenzi, la comunità accademica ha finalmente alzato la testa per rivendicare la propria università, vedendo docenti, ricercatori e studenti unire le forze non solo per richiedere un cambiamento radicale nel modo in cui ricerca, insegnamento ed alto apprendimento sono finanziati ed organizzati, ma sviluppando nuovi, stimolanti metodi di auto-governance partecipativa nel processo decisionale.

Finora, l’amministrazione ha rifiutato di muovere alcun passo concreto per soddisfare le richieste di studenti e personale, ma è chiaro che ha già subito una clamorosa sconfitta ideologica. Improvvisamente, la critica alla finanziarizzazione, alla burocratizzazione, alla gestione dall’alto verso il basso ed alla mancanza di processi decisionali democratici si è presa il suo spazio sulle prime pagine dei maggiori quotidiani – non un fatto irrilevante in un Paese profondamente neoliberalizzato e spoliticizzato come l’Olanda. Una manciata di studenti ribelli ha effettivamente scosso i propri insegnanti e li ha spinti all’azione, e la comunità accademica, un tempo frammentata ed apatica, è velocemente emersa e si è evoluta ad uno stato di auto organizzazione collettiva. D’improvviso, c’è resistenza. Coloro che fanno vivere l’università ne hanno rivendicato il cuore amministrativo.

Un grande striscione che reclama democrazia diretta è ora appeso davanti all’ufficio del rettore – l’elite manageriale non si fa vedere da nessuna parte. Mentre questo neonato movimento accresce le proprie forze e si diffonde in altre università del Paese, nuovi orizzonti si stanno rapidamente aprendo per ulteriori proteste altrove. Mentre le prossime settimane saranno cruciali nel determinare quanto lontano il movimento può andare, coloro che sono stati sufficientemente fortunati da poter assistere ad almeno un soffio dei cambiamenti dal basso che aleggiano all’UvA, può essere perdonato se speranzoso. In tutti questi anni, l’università neoliberista ha cresciuto lei stessa quietamente la propria nemesi – ora gioiamo mentre ci uniamo alla ribellione.

tratto da roarmag.org

L'inarrestabile evoluzione del papà

Quest'anno il 19 marzo trova i padri molto cambiati: hanno metabolizzato la rivoluzione che comporta l'arrivo di un figlio, hanno imparato ad accudire i bambini ma soprattutto a divertirsi con loro, come ci confermano tre testimonianze di "eccezionale normalità". Sorge però un dubbio: non saranno diventati un po' troppo presenti? E come si riposizionano i ruoli all'interno della coppia?
Cristina Lacava, Io Donna ...

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