Il Manifesto
25 03 2015
Basta con le materie. Non si andrà più a lezione di matematica, storia, inglese e così via. Si studierà per argomenti interdisciplinari come «Il tempo in Europa», in cui le lingue straniere e la geografia si imparano nella stessa ora.
Dove succederà? In Finlandia, la «solita» Finlandia. Ormai nelle scuola la chiamano così. Perché ogni volta che si discute di come migliorare le nostre scuole, c’è sempre qualcuno che cita il paese di Babbo Natale come modello da seguire. Da anni, gli alunni finlandesi si piazzano ai primi posti delle classifiche mondiali per livelli di apprendimento, mentre i nostri arrancano nelle posizioni medio-basse. Le scuole finlandesi sono diventate meta di pellegrinaggio per gli esperti di didattica di tutto il mondo, alla ricerca dell’arma segreta.
I soldi, certo, contano. La Finlandia investe nell’istruzione circa il 7 per cento del Pil, contro il 4 per cento dell’Italia. Ma in termini assoluti non ci sono grandi differenze: se si esaminano gli investimenti per studente escludendo l’università, entrambi i paesi sono allineati nei pressi della media Osce. Se si osserva l’organizzazione del sistema, invece, le distanze aumentano. Le scuole finlandesi sono piccole, gestite in grande autonomia ma con un clima collaborativo tra docenti, presidi, alunni e famiglie. Niente test Invalsi e massima libertà sulla definizione dei programmi di studio.
Dalle conoscenze alle competenze
Talvolta può ricordare la scuola «Marylin Monroe» del film «Bianca» di Nanni Moretti. Per esempio la decisione di abbandonare l’insegnamento della scrittura a mano in favore della tastiera del computer a molti è sembrato un inutile nuovismo. Anche la nuova proposta di abolire le materie non riscuote apprezzamenti unanimi nella stessa Finlandia. Ma il governo non ha fretta: del resto, ogni cambiamento, sin dalla riforma del 1972 da cui è partito il rilancio finlandese, è stato attuato con estrema gradualità e costanza.
In realtà, l’innovazione di cui si sta discutendo oggi non è poi così rivoluzionaria. Persino in Italia, i famigerati programmi ministeriali sono stati aboliti già nel 2010 dalla riforma Gelmini, in favore di più flessibili «indicazioni nazionali». La riforma poneva l’accento sullo sviluppo e la valutazione delle «competenze» degli studenti, più che delle «conoscenze». Non è solo un gioco di parole. Secondo la ricerca didattica contemporanea (che si basa in gran parte sul «costruttivismo» di John Dewey, elaborato anni Trenta del Novecento), le competenze si possono valutare solo quando le conoscenze vengono applicate in contesti autentici, ad esempio nello studio di un problema tecnico concreto. Ma per essere autentico, un contesto deve necessariamente essere interdisciplinare, perché la realtà in genere si presenta simultaneamente sotto diversi punti di vista. Da questa riflessione nasce la proposta di superare la scansione tradizionale delle materie, da rimpiazzare con «unità di apprendimento» interdisciplinari.
A ben guardare, nella lodatissima scuola primaria italiana questo approccio è sempre stato ampiamente adottato, complice anche il ridotto numero di docenti per classe. Le aule dei nostri bambini sono piene di cartelloni su temi come «l’acqua» o «il terremoto», affrontati da diverse angolature e solitamente con lavori di gruppo. Non a caso, quando a Tullio De Mauro (linguista, studioso dei sistemi educativi ed ex-ministro dell’istruzione) è stato chiesto un parere su #labuonascuola, si è limitato a dire: «Renzi copi la primaria».
Agli insegnanti italiani, tuttavia, la riforma Gelmini è risultata indigesta perché qualunque innovazione didattica, accompagnata da tagli pesantissimi al bilancio delle scuole (otto miliardi in meno), è destinata a fallire. Le «unità di apprendimento», dunque, sono ancora poco diffuse e la valutazione delle competenze si limita per lo più a qualche crocetta apposta a fine scrutinio. Le sperimentazioni didattiche, dunque, sono per lo più autogestite dai docenti volenterosi e fanno fatica a diventare sistematiche. In Finlandia, gli insegnanti disposti a tentare nuove strade ricevono aumenti di salario.
Il bluff delle classifiche
Per altro, sull’efficacia di queste innovazioni vi sono anche dubbi legittimi. Lo storico della matematica Giorgio Israel, che pure ha collaborato con Mariastella Gelmini, ha parlato apertamente di «bluff», a proposito delle performance degli studenti finlandesi. «Le classifiche Ocse-Pisa dicono soltanto una verità parziale circa le abilità matematiche dei bambini finlandesi» mentre «le conoscenze matematiche dei nuovi studenti hanno subito un declino drammatico». Gli studenti finlandesi di oggi, infatti, fanno fatica a rispondere ai quesiti che venivano somministrati loro trent’anni fa. Dunque, i risultati sbandierati dipendono da come sono elaborati i test, che invece vengono spacciati per oggettivi. Basta parlare di scuola, e anche la matematica diventa un’opinione.
Dinamo Press
24 03 2015
L’occupazione dell’Università di Amsterdam si rivolge ad una crisi sempre più profonda [...] dell’educazione superiore, non solo in Olanda, ma in tutto il mondo. Per tre settimane, l’Università di Amsterdam (UvA) è stata scossa da un’ondata di proteste studentesche contro la neoliberalizzazione dell’educazione superiore e la mancanza di un controllo democratico sui processi decisionali interni.
La settimana scorsa, docenti e ricercatori dell’uvA si sono uniti alla protesta, dichiarando la propria solidarietà agli studenti e minacciando ulteriori azioni se le loro richieste dovessero rimanere inascoltate. Con il Maagdenhuis, sede degli organi centrali, attualmente occupato dagli studenti, il consiglio direttivo è stato costretto in una posizione scomoda: adempirà alle richieste della comunità accademica per una maggior democratizzazione, o continuerà ad obbedire alla logica neoliberista di una finanziarizzazione burocratica? Mentre la lotta all’UvA ha avuto connotati principalmente locali e nazionali, le tematiche sollevate dai suoi studenti, docenti e ricercatori implicano una spinta che va ben oltre i confini dei Paesi Bassi.
L’istruzione superiore è in crisi in tutto il Primo Mondo. Le università si trovano a essere strutturalmente sottofinanziate, rigidamente ed eccessivamente aziendalizzate e profondamente carenti di processi democratici. Ovunque gli Atenei stanno abbandonando sempre di più la loro importantissima funzione sociale – produrre ricerca di alta qualità ed educare una generazione futura di cittadini preparati e consapevoli – delineandosi sempre più verso modelli di aziende private gestite da elite manageriali completamente estranee al mondo accademico e formativo.
Per rendere il panorama ancora peggiore, questi manager – piuttosto che focalizzarsi sul miglioramento della qualità dell’educazione o sull’ottimizzazione dei processi decisionali interni, così da rendere disponibili il maggior tempo e le maggiori risorse possibili per la trasmissione dei saperi e della ricerca – stanno procedendo a stipendiare sei figure dirigenziali per spingere verso una burocratizzazione abnorme e priva di senso del sistema accademico. Stanno imponendo carichi di lavoro alienanti e standard irrealistici al personale sempre più precario, trattano gli studenti come consumatori acritici o addirittura come dati statistici spersonalizzati e applicano un’immensa pressione sui ricercatori altamente competenti, affinché producano in mera ottica quantitativa, con il mero scopo di soddisfare rigidi sistemi “meritocratici” di quote relative alla quantità di pubblicazioni, che non colgono in minima misura la dimensione sociale e qualitativa del lavoro accademico, bensì si prestano alla semplice competizione con altre università-azienda.
Gli studenti che stanno protestando all’UvA si trovano pertanto sulla prima linea di una battaglia globale contro la mercificazione dell’educazione superiore e la costante riduzione dei saperi e dell’apprendimento ad un bene di consumo che sempre meno studenti potranno permettersi. In molti Paesi, questa logica neoliberista è sfociata in drammatici aumenti delle tasse ed in tagli dei fondi, combinati al cancro di una cultura della gestione applicata dall’alto verso il basso, ad una burocratizzazione spaventosa ed alla sistematica precarizzazione del lavoro accademico. È semplice immaginare tutte le prevedibili conseguenze, quali l’accrescersi dell’indebitamento da parte degli studenti, la proliferazione di un ambiente di lavoro ostile, oltre che depressione ed esaurimento nervoso tra il personale accademico.
E’ interessante notare come siano proprio le nazioni, dove questa neoliberalizzazione dell’educazione superiore è avvenuta per prima, ad aver sperimentato le più spettacolari proteste studentesche degli ultimi anni: dalla “Rivoluzione dei Pinguini” in Cile al movimento della Piazza Rossa in Québec, dalle occupazioni dei campus in California ed il recente sciopero del debito studentesco all’Everest College, agli scontri degli studenti in Regno Unito. I Paesi Bassi, comunque 10 anni in ritardo rispetto alla tendenza, sono stati a lungo ansiosi di colmare il divario con i propri omologhi neoliberisti. Osservando le recenti rivolte studentesche in queste nazioni, avrebbero dovuto probabilmente capire meglio di non poter spingere troppo in là questa logica. Come Polanyi ha notoriamente affermato, c’è un limite fino al quale ci si può spingere nel mercificare i beni comuni.
Ad un certo punto, i cittadini si ribelleranno. In questo senso, il movimento di opposizione che ora si sta svegliando ad Amsterdam potrebbe ben rappresentare un’avvisaglia di ciò che deve ancora accadere. Ewald Engelen, docente di Geografia Finanziaria all’UvA e rinomato oppositore alla finanziarizzazione, non è stato così esagerato quando si è riferito a Maagdenhuis come al “luogo più interessante dell’Europa dell’Ovest.” Dopo anni di sofferti silenzi, la comunità accademica ha finalmente alzato la testa per rivendicare la propria università, vedendo docenti, ricercatori e studenti unire le forze non solo per richiedere un cambiamento radicale nel modo in cui ricerca, insegnamento ed alto apprendimento sono finanziati ed organizzati, ma sviluppando nuovi, stimolanti metodi di auto-governance partecipativa nel processo decisionale.
Finora, l’amministrazione ha rifiutato di muovere alcun passo concreto per soddisfare le richieste di studenti e personale, ma è chiaro che ha già subito una clamorosa sconfitta ideologica. Improvvisamente, la critica alla finanziarizzazione, alla burocratizzazione, alla gestione dall’alto verso il basso ed alla mancanza di processi decisionali democratici si è presa il suo spazio sulle prime pagine dei maggiori quotidiani – non un fatto irrilevante in un Paese profondamente neoliberalizzato e spoliticizzato come l’Olanda. Una manciata di studenti ribelli ha effettivamente scosso i propri insegnanti e li ha spinti all’azione, e la comunità accademica, un tempo frammentata ed apatica, è velocemente emersa e si è evoluta ad uno stato di auto organizzazione collettiva. D’improvviso, c’è resistenza. Coloro che fanno vivere l’università ne hanno rivendicato il cuore amministrativo.
Un grande striscione che reclama democrazia diretta è ora appeso davanti all’ufficio del rettore – l’elite manageriale non si fa vedere da nessuna parte. Mentre questo neonato movimento accresce le proprie forze e si diffonde in altre università del Paese, nuovi orizzonti si stanno rapidamente aprendo per ulteriori proteste altrove. Mentre le prossime settimane saranno cruciali nel determinare quanto lontano il movimento può andare, coloro che sono stati sufficientemente fortunati da poter assistere ad almeno un soffio dei cambiamenti dal basso che aleggiano all’UvA, può essere perdonato se speranzoso. In tutti questi anni, l’università neoliberista ha cresciuto lei stessa quietamente la propria nemesi – ora gioiamo mentre ci uniamo alla ribellione.
tratto da roarmag.org
Quest'anno il 19 marzo trova i padri molto cambiati: hanno metabolizzato la rivoluzione che comporta l'arrivo di un figlio, hanno imparato ad accudire i bambini ma soprattutto a divertirsi con loro, come ci confermano tre testimonianze di "eccezionale normalità". Sorge però un dubbio: non saranno diventati un po' troppo presenti? E come si riposizionano i ruoli all'interno della coppia?
Cristina Lacava, Io Donna ...