La Stampa
04 02 2014
La legge russa che dovrebbe tutelare i minori dalla “propaganda omosessuale” ora colpisce i minori che era chiamata a proteggere. Una quindicenne ha rischiato l’incriminazione per essersi dichiarata omosessuale e avere, recita un documento ufficiale della commissione minori comunale, “sistematicamente diffuso informazioni intente a formare nei minori una visione deformata dell’equiparabilità sociale di rapporti sessuali tradizionali e non tradizionali”. In altre parole, la ragazzina ha detto “sono lesbica e non c’è niente di male”.
E’ il caso più clamoroso nella caccia alle streghe aperta dalla famigerata “legge anti-gay” dell’estate scorsa. Della studentessa del nono anno della scuola media della provincia russa non si sa né il nome, né la città, situata nella regione di Briansk, nell’Ovest della Russia. Il suo “orientamento non tradizionale” - eufemismo locale per sottolineare che certe perversioni non sono autoctone, ma importate dall’Occidente degradato – non era noto né a scuola, né in famiglia. E’ stata “stanata” dai gruppi omofobi che vanno a caccia di omosessuali in Internet, nei social network dove la ragazzina si sentiva libera di dichiarare e discutere la sua condizione. I benpensanti hanno telefonato alla sua scuola e a sua madre, costringendola a un outing suo malgrado. Ed è stato l’inizio dell’inferno. Psicologi, insegnanti e burocrati si sono accaniti contro una ragazza la cui unica colpa era di “dichiararsi apertamente persona di orientamento sessuale non tradizionale”. La polizia si è rifiutata di incriminarla con un’accusa penale in quanto è stato stabilito – si presume, nel corso di un interrogatorio degli studenti – che la ragazza non aveva “attentato fisicamente all’incolumità sessuale dei minori”, e la procura ha avuto il buon senso di avviare una verifica contro i funzionari che avevano cercato di fare della giovane una criminale. Ma intanto la ragazza ha ricevuto un ammonimento amministrativo e resta “sotto il controllo” della commissione minori, come se fosse una piccola delinquente. “E’ molto coraggiosa, ma dopo la fine dell’anno scolastico vuole lasciare la città”, dice di lei Elena Klimova, la giornalista degli Urali che gestisce il sito “Bambini-404” che aiuta i ragazzini LGBT.
E che probabilmente non potrà più farlo: oggi la magistratura ha incriminato il sito, sempre in base alla “legge anti-gay”. Klimova è ancora convinta di poterla spuntare in tribunale perché “non facciamo propaganda a favore dell’omosessualità”. Sulla pagina di “Bambini-404” centinaia di ragazzini raccontano di essere stati picchiati, umiliati e perfino abusati sessualmente perché “diversi”: “I miei mi hanno dato calci, ciabattate e cinghiate, mio padre dice che mi picchierà fino a che non divento normale, a costo di rendermi un invalido”, scrive il 17enne Maxim. “Difficile che qualcuno, leggendo queste confessioni, giunga alla conclusione che essere gay è bello”, dice la giornalista, che insieme con i suoi seguaci gestisce l’unica associazione dove i ragazzini possono rivolgersi per un aiuto psicologico e per trovare rifugio.
Nonostante da Mosca siano arrivati dei segnali di distensione alla vigilia delle Olimpiadi, la macchina della persecuzione nella provincia russa prosegue a pieno ritmo. Pochi giorni fa a Khabarovsk un giudice ha multato un giornale locale per aver pubblicato l’intervista con Alexandr Ermoshkin, un insegnante di geografia “stanato” dai soliti cacciatori di gay e licenziato dalla scuola dove insegnava perché omosessuale. L’accusa era basata sulla frase del professore (che ha già subito minacce e aggressioni dei nazionalisti) “la mia stessa esistenza è la prova che l’omosessualità sia una cosa normale”. Ma in Russia oggi si può – per ora – essere gay, ma sentirsi “normali” è un reato.
Il Fatto Quotidiano
30 01 2014
L’associazione “All Out” (Tutti Fuori) lotta per costruire un mondo dove nessuno deve sacrificare la famiglia o la libertà, sicurezza o dignità, per ciò che sente (di essere) o ama. “Our mission is to build a world where no person will have to sacrifice family or freedom, safety or dignity, because of who they are or whom they love.”
Per questo ha creato e lanciato questo bellissimo video virale (con già più di un milione di visualizzazioni) per i giochi invernali di Sochi lanciando l’hashtag #LoveAlwaysWins.
E se vivere il tuo sogno significasse vivere una bugia?
Il Comitato Olimpico internazionale dovrebbe onorare i propri principi e condannare le discriminazioni.
Parla chiaro contro le leggi anti-Gay della Russia.
What if living your dream meant living a lie?
The international Olympic Committee should honor its principles and condemn discrimination.
Speak out against Russia’s anti-gay laws.
Cosa c’è di più bello e normale di un bacio?!
Pierpaolo Balani
Il Fatto Quotidiano
27 01 2014
di Rosaria Iardino
Alle Olimpiadi invernali di Sochi ho deciso che oltre che per l’Italia, tiferò per gli Stati Uniti. Sto parlando dei giochi che quest’anno, più che per le discipline che si alterneranno, più che per i record che si cercherà di battere e più che per la condizione degli impianti sportivi, stanno facendo discutere relativamente all’orientamento sessuale di qualcuno, alla politica discriminatoria di qualcun altro e al diritto della comunità Lgbt di essere rappresentata anche nello sport.
La Russia di Vladimir Putin ha deciso di porsi su un piano di intransigenza e di non accettazione dell’omosessualità; ha optato per un pensiero vecchio e superato, quello che ritiene che chi è gay sia il portatore di una devianza o peggio ancora di una malattia ed ha tentato di boicottare la presenza di atleti di quel tipo ai giochi invernali in programma nel suo paese. Un atteggiamento che naturalmente disapprovo su tutta la linea.
Ammiro invece il coraggio del Presidente degli Stati uniti Barack Obama. Per rispondere alle leggi anti-gay russe ha deciso che della delegazione ufficiale che rappresenterà gli Usa ai Giochi, vi faranno parte due atlete dichiaratamente lesbiche. Per la cerimonia di apertura la scelta è caduta su Billie Jean King, leggenda vivente del tennis, con 39 titoli nel Grande Slam e tra i primi protagonisti nel mondo dello sport a fare coming-out omosessuale. Per quella di chiusura si è scelto invece Caitlin Cahow, paladina dei diritti delle lesbiche, nonché difensore della nazionale femminile di hockey su ghiaccio, vincitrice di ben due medaglie a cinque cerchi, dell’argento a Vancouver 2010 e del bronzo a Torino 2006.
Di fronte a un coraggio di questo tipo e alla voglia di stare al passo coi tempi, noi italiani come abbiamo risposto? Con le parole di Mario Pescante, membro del Comitato olimpico internazionale, ex Presidente del Coni ma soprattutto ex deputato del fu Partito delle libertà. Pescate, lo scorso 15 gennaio, a Milano per presentare la partecipazione della squadra azzurra alle Olimpiadi di Sochi, ha avuto il coraggio di considerare “capziosa” la decisione di Obama, dicendo che il Presidente americano: “Ha fatto iscrivere delle atlete lesbiche solo per uno spirito polemico nei confronti di Putin”.
Ho provato sconcerto e imbarazzo per quelle parole. Vedere solo un fine polemico dentro quel tipo di iscrizione significa non rendersi conto della serietà della battagli in corso all’interno della comunità omosessuale internazionale, in continua lotta per il completo riconoscimento dei propri diritti.
Non tocca certo a un membro dei Comitato olimpico internazionale dire cosa devono fare gli Stati uniti, ma venendo al caso di specie, è molto più potente un gesto come quello della squadra olimpica americana, che approvo, piuttosto che tanti proclami. Esso spazza via qualsiasi fraintendimento sulla posizione degli Usa di fronte all’omosessualità, presentando l’amministrazione Obama per quello che è, ovvero una realtà moderna e attenta ai bisogni di tutti i cittadini. Se l’Italia avesse lo stesso coraggio agirebbe in modo identico.
Dispiace che le parole di Pescante siano state pronunciate, per un puro caso, a Milano, città nella quale la lotta alla discriminazione di genere e la lotta per i diritti, sono costantemente nell’agenda politica della città.