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Rifiuti, prostituzione e caporali: l'inferno di Rosarno

  • Giovedì, 13 Aprile 2017 09:12 ,
  • Pubblicato in REPUBBLICA
Rosarno Ghetto CaporalatoCorrado Zunino, La Repubblica
12 aprile 2017

Viaggio nel ghetto più grande d'Italia. Più di 2500 migranti ammassati nella baraccopoli della Piana di Gioia Tauro. Il rapporto dei Medici per i diritti umani (Medu) si chiama "Terraingiusta" e racconta "le condizioni spaventose" in cui vivono gli ospiti della spianata in provincia di Reggio Calabria.

Nella città informale degli schiavi di Rosarno

  • Venerdì, 10 Giugno 2016 07:17 ,
  • Pubblicato in IL MANIFESTO
Tendopoli migranti RosarnoAngelo Mastrandrea, Il Manifesto
10 maggio 2016

Il bar dov'è stato ucciso Sekine Traorè è stato messo in piedi in una delle tende azzurre con la scritta "Ministero dell'Interno".
Dall'ingresso principale della baraccopoli di San Ferdinando

Rosarno Afro football

  • Martedì, 07 Aprile 2015 12:38 ,
  • Pubblicato in Flash news
Il Manifesto
07 04 2015

Gli undici avversari avevano un nome beneaugurante. Dopo la notte di Paravati, con il buio del razzismo e della discriminazione, affrontare i ragazzi della Nuova Calimera era il presagio che il pomeriggio di una domenica di fine marzo allo stadio Rocco Gambardella dí San Ferdinando sarebbe stato diverso. Il risultato sul campo non contava oggi sotto il sole caldo e accecante
della Piana di Gioia Tauro.
L'importante era esserci, partecipare, dire un secco no al becerume degli stolti. Koa Bosco è anche questo. Una squadra di calcio ma anche un progetto di società.

Rosarno, la giovane sindacalista che sfida i caporali

  • Lunedì, 19 Gennaio 2015 10:27 ,
  • Pubblicato in L'ESPRESSO

l'Espresso
19 01 2015

Ha guidato una manifestazione dei braccianti africani. Ha invitato in Calabria i sindacalisti senegalesi. Col furgone va nei campi alle cinque di mattina e spiega ai raccoglitori i propri diritti. Celeste Logiacco ha 32 anni ed è nata in un paese della zona. Da meno di un anno è segretaria della Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro. Prova a fare una rivoluzione nella stagione agrumicola più difficile di sempre. “Prima o poi le cose cambieranno anche qui”, dice all’Espresso.

Lo scorso 11 dicembre ha organizzato un corteo aperto dallo striscione «lavoratori italiani e immigrati insieme per chiedere diritti». Un percorso breve per unire due luoghi simbolo: la tendopoli e il capannone. Il primo è l’insediamento del ministero dell’Interno. E' ormai al collasso, ci vivono circa mille africani, dieci per tenda. Il secondo è un capannone abbandonato nella zona industriale fantasma. Senza elettricità e bagni, è occupato dai braccianti da qualche settimana. Un edificio senza infissi. Teli neri di plastica impediscono al freddo di entrare. La scala interna non ha ringhiera.

Ma una caduta non è il pericolo più grande. C'è il rischio di incendi, dentro ci sono decine di bombole a gas. Basta una fiammella e cento tende possono diventare torce. Insieme a coperte, cartoni, stivali e valigie.

Da una fontanella i lavoratori prendono l’acqua, ma probabilmente non è potabile. Il rischio sanitario è alto, commentano gli operatori di Emergency. «Ici c’est boutique», hanno scritto gli africani all’ingresso del negozietto che vende di tutto. C’è chi sopravvive con la fede, chi con l’ironia.

Sindacato di strada
Celeste ci introduce nel suo ufficio. Ha ridipinto da sola le pareti della stanza. “Preferisco il giallo vivace, mette allegria”, spiega. Il 12 dicembre circa 150 migranti hanno partecipato a Reggio Calabria allo sciopero generale. «Per la prima volta decine di braccianti non sono andati al lavoro ma a una manifestazione per chiedere i loro diritti». Con lo stesso spirito, fa sindacato di strada. Da queste parti significa prendere un furgone e andare nei campi alle cinque di mattina. In un territorio storicamente dominato dai clan. Poi spiegare ai raccoglitori i propri diritti, sotto l’occhio dei caporali. E dei commercianti che usano i loro servizi, come dimostrano almeno quattro inchieste della magistratura. Il 18 dicembre, per la giornata del migrante, ha inviato Elisabeth Ndaye e Coumba Ndong, sindacalisti senegalesi. Anche questo un modo di globalizzare i diritti. La prossima sfida sarà quella delle vertenze. Far recuperare i soldi dai furbi delle campagne. “Aspetto quello che mi spetta da giorni e ogni volta mi dicono: richiama domani”, ci dice Steven, gambiano, che vive con altri sette compagni in una stanza del capannone.

Rifugiati, operai e napoletani
Boubakar viene invece da Dakar. O, meglio, da Livorno. Faceva l’ambulante e viveva in un normale appartamento. Lo aspettano gli amici alla fine dell’inverno. È vittima di una truffa, quella della sanatoria come colf fittizio. Ma era l’unico modo di avere un permesso di soggiorno. Lo Stato gli sottrae cento euro al mese per un pezzo di carta. Anche lui vive al capannone.

I migranti che arrivano in Calabria possono essere divisi in tre categorie. I “rifugiati”, gli “operai” e i “napoletani”. I primi provengono dall’“emergenza Nord Africa” del 2011. Da anni vivono tra centri d’accoglienza, pratiche burocratiche per l’asilo e lavoro in campagna. Gli operai lavoravano nelle fabbriche del Nord e vivevano in normali appartamenti. Sono stati i primi a pagare la crisi e a cercare nuove opportunità in agricoltura. Infine tutti gli africani che vivono nell’area di Castel Volturno (che chiamano genericamente “Napoli”) e si spostano stagionalmente per le raccolte, ma anche per organizzare negozietti e servizi ai margini dei ghetti. Nel complesso, secondo i dati di Emergency, due migranti su tre hanno il permesso di soggiorno e dunque sono perfettamente regolari.

Effetto domino
Appena arrivati, Rosarno sembra un paese come tanti. Invece è uno dei luoghi dell’economia globale. Collegato con il Brasile, la Russia e l’Africa. Braccia migranti, multinazionali del succo, grandi commercianti sono gli attori di un gioco che rischia di saltare.
La prima questione è l’embargo russo seguito alla guerra in Ucraina. A Rosarno si producono due tipi di agrumi. Clementine per i supermercati e arancia bionda da spremitura, quella che va a finire nelle aranciate industriali.

I mercati dell’Est, da qualche anno, sono uno sbocco importante per il prodotto locale da banco. La chiusura del mercato russo è stato un primo colpo. A questo si sono aggiunte le particolare condizioni climatiche. Un inverno stranamente caldo. I produttori sono esasperati, il Comune ha chiesto lo stato di calamità. Nel frattempo sono più di duemila i braccianti africani arrivati per la raccolta, molti dei quali qui per la prima volta. A loro si sommano bulgari e rumeni, in genere residenti sul territorio.

La catena
“Coca Cola è partner di Expo”, dice Coldiretti. “Usi le arance di Rosarno e le paghi a prezzi equi”. “Quattro anni fa l’amministratore delegato della multinazionale aveva incontrato l’allora ministro dell’Agricoltura Mario Catania”, dice all’Espresso Pietro Molinaro di Coldiretti. “Si era impegnato a potenziare l’attività in Calabria e a remunerare la filiera. Non ha fatto né l’uno né l’altro”.

Come funziona la catena in tutta Italia? Il produttore agricolo raccoglie le arance e le conferisce agli spremitori che, a loro volta, vendono il succo concentrato alle tre multinazionali monopoliste. I segretari della Cgil locale Celeste Logiacco e Nino Costantino evidenziano che il calcolo economico non può ignorare i diritti di chi lavora. Coldiretti si è detta d’accordo e ha coniato lo slogan “Coltiviamo gli stessi interessi”, che unisce italiani e migranti. “Con meno di 15 centesimi la filiera non è remunerativa”, evidenziano i produttori. E chiedono alle grandi aziende il rispetto della legge. Che prevede un minimo di frutta nelle bibite del 20%. Come se non bastasse, nel porto di Gioia Tauro, spesso arriva illegalmente succo brasiliano. Lo usano per “tagliare” quello locale.

Antonello Mangano

Sempre "schiavi" delle agromafie

  • Mercoledì, 10 Dicembre 2014 13:09 ,
  • Pubblicato in IL MANIFESTO
Marco Omizzolo e Roberto Lessio, Il Manifesto
9 dicembre 2014

"Vole­vamo brac­cia e sono arri­vati uomini" era il titolo del dos­sier pre­sen­tato da Amne­sty Inter­na­tio­nal nel 2012. Il 'sistema' chie­deva mano­do­pera da sfrut­tare al costo più basso pos­si­bile. Arri­va­vano invece esseri umani dotati di sto­rie per­so­nali e dignità. Una cosa impen­sa­bile appena due­cento anni fa, quando le navi negriere attra­ver­sa­vano l’Atlantico per tra­spor­tare schiavi dall'altra parte dell'oceano.

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