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l'Espresso
19 03 2015

Merito. Legalità. Responsabilità. Interesse pubblico. Sono le parole scelte dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso d'insediamento, per indicare a tutti i cittadini un cammino di speranza verso un'Italia migliore. Ma nell'Italia di oggi questa speranza continua ad essere umiliata. Perfino nei settori dove il riconoscimento del merito e della competenza dovrebbe essere assoluto, perché ne va della vita delle persone: quei reparti dei nostri ospedali dove si assistono i malati gravissimi.

Un caso esemplare di meritocrazia alla rovescia in un campo così cruciale della sanità pubblica riguarda il San Camillo - Forlanini di Roma, uno dei più importanti ospedali italiani. Che però, purtroppo, finisce di continuo nelle cronache per vicende di nepotismo, malasanità, disservizi o incidenti pericolosi, come la rottura dei tubi dell'ossigeno nella rianimazione, che si è verificata in gennaio per cause non ancora accertate (guasto, cattiva manutenzione o sabotaggio?) anche perché non funzionava neppure la video-sorveglianza.

Qui al San Camillo, nel 1999, un medico italiano di fama internazionale, il dottor Giuseppe Nardi, ha fondato una struttura di assoluta eccellenza: il “Centro Shock e Trauma”. I risultati sanitari sono oggettivi: già nel primo anno dopo l'arrivo di Nardi, il tasso di mortalità dell'intera rianimazione si è quasi dimezzato. Sotto la sua guida, il San Camillo è diventato il primo centro italiano per la cura degli eventi traumatici, preso a modello dagli ospedali di tutto il paese e anche da molti medici stranieri, che per una volta guardavano a Roma per l'attività di ricerca e sperimentazione di nuovi e più efficaci metodi di cura dei casi disperati.

Nardi infatti è molto conosciuto nella comunità medica internazionale anche come autore di decine di studi di altissimo livello pubblicati sulle riviste scientifiche più prestigiose del mondo, a cominciare da Lancet, per citare la più nota. In un paese civile, un ospedale pubblico dovrebbe tenersi stretto un super medico di questo livello. Invece, nel luglio 2014, la dirigenza del San Camillo ha improvvisamente rimosso il dottor Nardi. Il medico, che svolgeva da 15 anni le funzioni di primario, è stato degradato e ha perso la guida della struttura da lui creata. Il suo “Centro Shock e Trauma” è stato soppresso, l'organizzazione di medici e ricercatori costruita da Nardi è stata smembrata e distrutta.

La cosa più strana è che all'ex primario non è stato mosso alcun addebito. Nessuno ha messo in dubbio le sue capacità, competenze, risultati. Semplicemente, Nardi si è visto sbattere la porta in faccia. E per sostituirlo è iniziato un balletto di nomine e sostituzioni di primari, che ha lasciato sbalorditi i più autorevoli medici italiani, scatenando un moto d'indignazione negli ospedali, nelle università e tra centinaia di pazienti. Che hanno inondato di lettere di protesta la direzione del San Camillo e i vertici politici della Regione Lazio, da cui dipende la nomina degli amministratori degli ospedali pubblici.

Per chiarire l'accaduto, l'Espresso ha chiesto un'intervista al direttore generale dell'ospedale San Camillo, Antonio d'Urso, con domande e risposte scritte. Ora la pubblichiamo integralmente. Nelle domande abbiamo inserito le spiegazioni pratiche che possono rendere più comprensibili alcune risposte un po' burocratiche. Mentre nella parte finale abbiamo omesso il nome del primario nominato al posto di Nardi, perché si tratta di un condannato con sentenza definitiva che ha ormai pagato il suo conto con la giustizia. E che, dopo le prime polemiche, ha volontariamente rinunciato all'incarico.

Dottor D'Urso, la delibera di rimozione del dottor Nardi porta la sua firma di direttore generale del San Camillo: perché ha deciso di rimuovere uno specialista così stimato a livello internazionale?
«Il dottore Giuseppe Nardi è un medico dirigente, non è inquadrato presso questa Azienda Ospedaliera come primario titolare. Dal 2008 ha assicurato, con incarico provvisorio, la direzione della “Struttura Complessa Shock e Trauma” nell’attesa del relativo Avviso Pubblico che, però, non è mai stato bandito. Nel caso di specie, nel mese di luglio 2014, la direzione della struttura è stata affidata ad uno dei quattro Primari di Anestesia e Rianimazione già in servizio in questa Azienda Ospedaliera»

A noi risulta che il dottor Nardi era stato chiamato al San Camillo nel 1999 proprio per creare quel reparto. E che allora era già direttore di una struttura analoga, in gergo Uosd, nel Nord Italia. Fondato il nuovo reparto al San Camillo, lo ha quindi diretto per i primi 8 anni proprio come direttore di Uosd, ottenendo i risultati che lei non dovrebbe ignorare, almeno per quanto riguarda la riduzione dei tassi di mortalità, tanto che nel 2007 la sua struttura è stata promossa a “Unità Complessa”. Poi però la Regione ha bloccato i concorsi per diventare primario. E a quel punto il San Camillo ha soppresso anche il ruolo di direttore della Uosd, a quanto pare per un errore burocratico. Ha qualcosa da obiettare a questa ricostruzione?
«Conosco il curriculum del dottor Nardi per avermene parlato lui stesso. Aggiungo che nel 2008 gli è stato conferito l’incarico di elevata professionalità chiamato “governo clinico per lo shock ed il trauma”. E’, questo, un incarico professionale, classificato come di altissimo livello all’interno dell’Azienda ospedaliera San Camillo - Forlanini. So che le Direzioni dell’Azienda che si sono succedute nel tempo hanno richiesto alla Regione Lazio l’attivazione delle relative procedure per l’individuazione del Direttore, così come per altre strutture previste nell’Atto Aziendale. In alcuni casi le procedure sono state espletate. Non nel caso della Uoc “Shock e Trauma”»

L'Espresso ha raccolto informazioni anche attraverso i sindacati medici e ospedalieri: quello che lei chiama “incarico di alta professionalità” viene da loro definito “una medaglia di cartone”, a cui non corrisponde sostanzialmente nulla. Al San Camillo ci sarebbero un paio di centinaia di medici con questa carica. Uscendo dal burocratese: c'è un dottore straordinario che fonda un centro di eccellenza e lo dirige per 15 anni con il grado di generale, mentre ora si ritrova brigadiere con una medaglia di cartone. Davvero era inevitabile rimuovere e degradare un traumatologo del livello di Nardi?
«Posso dire che comprendo le aspirazioni di quel professionista. E‘ però necessario che, in questo come in altri casi, le aspirazioni di valorizzazione dei diversi professionisti per un incarico di primario siano coerenti con quanto previsto dalle norme in questi casi: posto disponibile nella dotazione, avviso pubblico, eccetera»

A noi risulta che i sindacati interni, con l’accordo del dottor Nardi, avessero chiesto di ristabilire la situazione precedente: sarebbe bastato ripristinare la vecchia “Uosd” per salvare la struttura e permettere al suo fondatore di continuare a dirigerla. Perché non avete scelto questa soluzione?
«La positività dell’esperienza di questi anni della Struttura Complessa Shock e Trauma è stata quella di coniugare le cure intensive con i trattamenti anestesiologici di urgenza ed emergenza in un contesto orientato al miglioramento continuo. Ed è per questo che ho confermato la natura complessa alla Struttura Shock e Trauma, sia pure denominandola diversamente. Ritengo, infatti, che questa connotazione consenta di continuare ad assicurare a questo gruppo di professionisti l’autonomia organizzativa e professionale in ragione del compito assicurato, come peraltro avvenuto sin dalla sua istituzione. Non credo che le aspirazioni dei singoli professionisti possano invero costituire un pregiudizio per l’organizzazione, ma semmai sono un ingrediente positivo se estrinsecato all’interno della stessa organizzazione»

Insomma, lei ci spiega che sarebbe stato legalmente impossibile confermare Nardi. Leggendo la delibera con cui è stato rimosso, però, abbiamo scoperto che avete mantenuto nel loro incarico due radiologi che erano nella stessa situazione: anche loro erano direttori “facenti funzione” da anni. E nella vostra azienda ospedaliera c'erano altri radiologi primari di ruolo. Eppure, in quei due casi, la soluzione l'avete trovata: li avete confermati, come scrivete nella delibera, “perché hanno una expertice”, cioè perché sono bravi. E avete fatto bene. Infatti ci risulta che al San Camillo, in totale, ci siano almeno 18 “facenti funzione”. Ma allora torniamo a chiederle: perché avete rimosso solo Nardi? Lei è a conoscenza del numero e del livello scientifico delle sue ricerche e delle sue pubblicazioni internazionali?
«Conosco il dottor Giuseppe Nardi e ne apprezzo le competenze professionali»

Ed è a conoscenza del livello di mobilitazione del mondo medico e scientifico, non solo italiano, documentata da centinaia di email in nostro possesso, in difesa del “Centro Shock e Trauma” e a sostegno del dottor Nardi?
«Sull‘importanza della “Struttura Complessa Shock e Trauma” concordo, tant'è che è stata confermata nella proposta di Atto Aziendale. Sono convinto che il valore di questa articolazione dell’azienda è il frutto dell’opera di un gruppo di professionisti. So anche del sostegno al professionista manifestato dalla comunità scientifica. Osservo però che l’Avviso Pubblico per l’individuazione del Primario della Struttura Complessa Shock e Trauma fin dalla sua istituzione non è stato effettuato»

Insomma, lei ci dice che c'era un insuperabile problema burocratico che riguardava solo il ruolo di Nardi. Ma allora perché avete deciso di sopprimere anche il Centro da lui creato?
«Come ho evidenziato, la “Struttura Complessa Shock e Trauma” invero è stata confermata nella proposta di Atto Aziendale presentata alla Regione Lazio, sia pure con una diversa denominazione - “Struttura Complessa Anestesia e Rianimazione - Centro di rianimazione e Anestesia Urgenza-Emergenza” - che meglio descrive le attività di anestesia e rianimazione effettuate già adesso»

A noi suona strano anche quello che lei ora definisce un semplice cambio di nome: il “Centro Skock e Trauma” era diventato un marchio di prestigio, utilizzato per anni dalla Rai, ad esempio, per le campagne sulla sicurezza stradale, oltre che un simbolo di ricerca di qualità, conosciuto da tutti gli scienziati. Ma in realtà, oltre al nome, a noi risulta che sia cambiata la squadra, insieme al metodo di cura e al lavoro di ricerca. Ed è proprio quella squadra che ha salvato tante vite in questi anni: il Centro fondato da Nardi aveva ridotto di tre volte la mortalità specifica da trauma. Citiamo dati ufficiali, ricavati dalle vostre tabelle ospedaliere: prima dell'arrivo di Nardi, la mortalità nella rianimazione del San Camillo era del 42 per cento; solo 12 mesi dopo, era già scesa al 27 per cento. Eppure i professionisti erano gli stessi. Di fronte a questi dati, come può negare l'importanza del ruolo di Nardi? Chi organizza e dirige una struttura sanitaria che funziona, non conta niente?
«Osservo solo che la buona gestione di casi così complessi è frutto di un lavoro di professionisti (anestesisti, infermieri, etc.) che quotidianamente operano a letto del malato con passione e competenza, come accade negli altri Servizi di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini e negli altri Ospedali. Per questo li ringrazio»

Stando ai documenti diffusi dal San Camillo, al posto di Nardi è stato nominato il dottor XXX, che però dopo pochissimo ha rinunciato all'incarico, tanto che è già stato sostituito. Abbiamo cercato su Internet quali titoli avesse il dottor XXX, ma non abbiamo trovato alcuna ricerca o pubblicazione scientifica di rilievo internazionale. Abbiamo invece scoperto che un medico con lo stesso nome, cognome, età e residenza è stato condannato con sentenza definitiva come autore di tre gravissimi fatti di criminalità politica. Si tratta della stessa persona o è un caso di omonimia?
«Il dottor XXX è diventato primario più di dieci anni fa, in seguito ad avviso pubblico. In relazione all’episodio da lei citato, riferito a metà degli anni Settanta, ne sono a conoscenza avendomelo riferito lo stesso dottor XXX nel mese di maggio dello scorso anno».

Quell'«episodio» degli anni di piombo consiste in tre ferimenti di nemici politici, che hanno avuto conseguenze molto gravi per le vittime. Insieme al dottor XXX sono stati condannati altri suoi complici che pochi giorni prima, con le stesse modalità, avevano commesso addirittura un omicidio politico. Quella catena di delitti è stata punita con molti anni di ritardo, perché i colpevoli erano riusciti a imporre un clima di omertà. Molti di loro nel frattempo erano diventati medici affermati. Per nominare un primario lei ritiene necessario, utile o quantomeno opportuno controllare la fedina penale dei candidati? Il dottor XXX aveva comunicato alla vostra azienda ospedaliera i propri precedenti penali?
«Il dottor XXX ne aveva fatto doverosamente menzione a suo tempo, nella domanda di partecipazione al concorso. So anche che il professionista è stato completamente riabilitato»

La riabilitazione non è un'assoluzione, anzi può essere concessa solo a chi ha scontato la condanna definitiva: significa solo che, dopo un certo numero di anni, il colpevole ha potuto far cancellare quel precedente dal suo certificato penale. E' questo problema giudiziario la ragione che ha spinto il dottor XXX a non esporsi, rinunciando a occupare il posto che gli avevate assegnato dopo la rimozione di Nardi?
«In relazione alla modifica nella Direzione della Struttura Complessa, osservo che la stessa è stata proposta dai quattro Direttori di Anestesia e Rianimazione in servizio nell’Azienda Ospedaliera in considerazione delle linee di attività previste nel nuovo Atto Aziendale” : è l'atto deliberativo numero 729 del primo dicembre 2014»

Questo non spiega la rinuncia. Fatto sta che al posto di XXX, con quella tornata di delibere, è stato nominato il dottor YYY. Anche nel suo caso, non abbiamo trovato un curriculum scientifico o riconoscimenti di professionalità che siano neppure lontanamente paragonabili, a nostro avviso, a quelli del dottor Nardi. In compenso abbiamo scoperto almeno tre cliniche private per cui il dottor YYY risulta prestare lavoro. E' normale che un primario di un ospedale pubblico lavori contemporaneamente in diverse cliniche private?
«Il dottor YYY è diventato primario in questa azienda ospedaliera dal 1999 a seguito di Avviso Pubblico. Il suo curriculum è visionabile nel sito internet dell’azienda ospedaliera. In relazione all’attività libero professionale, il dottor YYY esercita in forma allargata presso alcune Case di Cura Private convenzionate con il San Camillo Forlanini, così come previsto dalla normativa nazionale sulla libera professione. Molti professionisti della nostra azienda ospedaliera, tra cui anche lo stesso dottor Giuseppe Nardi, effettuano attività libero-professionale con la stessa modalità»

Quest'ultima affermazione impone a l'Espresso due precisazioni. La prima è che Nardi non ha voluto in alcun modo commentare queste parole del direttore generale del San Camillo. Molti altri medici che lo conoscono e lo stimano, però, hanno spiegato che «Nardi è universalmente noto per dedicarsi da sempre a tempo pieno alla sanità pubblica: nella sua vita ha fatto pochissime visite private, in casi eccezionali e disperati». Il nuovo primario YYY, invece, risulta svolgere stabilmente la libera professione in diverse tre cliniche private, in una addirittura come direttore del dipartimento d'emergenza.

La seconda precisazione è che tutte le decisioni prese dai vertici amministrativi e dai primari interessati del San Camillo vanno considerate perfettamente legali, come ha spiegato proprio in questa intervista il direttore generale. Così come è assolutamente conforme alle norme e a tutte le regole burocratiche rimuovere dall'incarico un medico che ha salvato la vita di migliaia di pazienti. Dunque, protestare è inutile: nella sanità i risultati non contano, i meriti non vanno premiati. Benvenuti a Roma, Italia.

Lia Quilici

Abbatto i muri
16 03 2015

Mirta Mattina, del Freedom For Birth Rome Action Group, mi segnala una vicenda che in qualche modo sembra prestare il fianco alle azioni antiabortiste dei no/choice, sempre più agguerriti sul fronte della negazione del diritto alla libertà di scelta delle donne. Un ospedale romano, il San Camillo, riferimento – raro – delle donne che non possono essere trattate da “assassine” se decidono di abortire, dopo la chiusura del reparto dell’Umberto I dove si poteva accedere all’IVG, ora riaperto grazie alle battaglie della rete #IoDecido, annuncia un cambio della guardia alla direzione del reparto di maternità. I candidati sono tutti obiettori. La rete #IoDecido è giustamente preoccupata e chiama alla partecipazione di una serie di azioni che possano risvegliare interesse nella anestetizzata opinione pubblica e nelle persone che amministrano la cosa pubblica in quel territorio. Tra gli altri esempi di latitanza c’è anche il governatore della regione.

Peccato anche non sentire parlare di questo le donne che normalmente sarebbero in prima linea per un generico “diritto delle donne”. Il fatto è che è diventato di uso comune un femminismo monco, di chi pratica solidarietà femminile ma è antiabortista, di chi parla di antiviolenza, ma è omofoba. C’è un cicinino di confusione in quei lidi e dunque io chiedo: dove sono le donne sempre in prima fila quando c’è da parlare di corpi delle donne, donne infibulate, violenze delle donne subite in India o comunque altrove? Negare alle donne il diritto alla contraccezione d’emergenza e ad un aborto assistito è violenza di genere. E per quanto riguarda il PD, sappiamo di quante spaccature lo attraversino e che chiacchierano parecchio su quel che vorranno diventare da grandi. Il fatto è che a me/noi di cosa diventerà il Pd non ce ne frega niente. Importa invece il fatto che parte del Pd, al Parlamento Europeo, ha votato un emendamento del PPE che lascia agli Stati la libertà di decidere se applicare o meno, nella legislazione dei vari paesi, le raccomandazioni contenute nella Risoluzione Tarabella. La risoluzione, ricordo, che parla proprio di riconoscimento di diritti sessuali, riproduttivi, su contraccezione e aborto. Dall’Europa d’altro canto non è la prima volta che tirano le orecchie all’Italia per l’alto numero di obiettori di coscienza. La prossima mossa quale sarà? Incatenare le donne e farle inseminare con la forza?

Vi lascio al contributo che un’amica ha inviato per raccontare per filo e per segno quel che succede a Roma. Buona lettura!

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A Roma sta succedendo qualcosa di molto grave: al San Camillo, ospedale sede del primo reparto per numero di IVG nel Lazio e del coordinamento regionale per la legge 194, sta per essere nominato il nuovo primario di maternità e ostetricia e i candidati sono tutti obiettori. Ciò significa che, se non viene aperta la procedura di selezione ad altri candidati, il prossimo primario del reparto sarà un obiettore di coscienza. L’allarme è stato lanciato dalle ginecologhe che garantiscono l’applicazione della 194, Lisa Canitano (ginecologa e presidente dell’ass. Vita di Donna) ha creato un gruppo facebook che in pochi giorni ha ottenuto tante adesioni, è stata inoltre lanciata una raccolta firme che chiede a Nicola Zingaretti: “di proteggere la laicità dello Stato e i diritti delle donne nominando un Direttore che accetti di applicare le Leggi dello Stato Italiano, quello stesso Stato che lo nomina e che lo retribuisce, e al quale deve rispondere.”

La rete cittadina #IoDecido, che raccoglie collettivi, associazioni, soggettività attive sul territorio, ha raccolto l’appello delle ginecologhe mobilitandosi con due azioni il 13 ed il 16 marzo. Ecco il comunicato:

“Oggi venerdì 13 marzo come rete #iodecido abbiamo deciso di fare incursione con maschere rosa e striscioni all’interno dell’ospedale San Camillo di Roma (QUI video dell’azione), sede del primo reparto per numero di IVG nel Lazio e del coordinamento regionale per la legge 194 È con rabbia e preoccupazione che rispondiamo all’allarme lanciato dalle ginecologhe che operano negli ospedali della Provincia di Roma, circa il rischio che al reparto maternità e ostetricia dell’Ospedale San Camillo venga nominato un primario obiettore di coscienza.

Proviamo rabbia, perchè siamo costrette a constatare che dichiararsi obiettore di coscienza è la condizione irrinunciabile per fare carriera negli ospedali pubblici. Praticare l’IVG sembra infatti incompatibile col dirigere un reparto di maternità e ostetricia: come se garantire alle donne la libertà di scelta fosse in contraddizione con il promuovere una maternità responsabile e desiderata. I diritti delle donne sono calpestati per gli interessi di chi sta distruggendo la sanità pubblica avvalendosi di presunti meriti morali e religiosi e applicando la falsa retorica del taglio agli sprechi.
I danni devastanti già si contano: il ritorno dell’aborto clandestino e casalingo, specialmente tra adolescenti e immigrate, non è più uno spettro del passato ma un orizzonte sempre più prossimo.

Il San Camillo è il centro per l’interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) più importante del Lazio, tra le 4 strutture a Roma a somministrare la RU486 (insieme al Grassi, al Sant’Eugenio e al San Filippo Neri). A fronte di altri 4 reparti IVG chiusi di recente nel Lazio (Monterotondo, Sora, Frosinone e Gaeta) e del faticoso e ancora atteso riavvio del repartino del Policlinico Umberto I, il San Camillo rimane il cuore dell’applicazione della Legge 194 nella regione. La nomina di un obiettore confessionale ci dà la certezza che anche al San Camillo nel giro di poco tempo richiedere un aborto significherà andare incontro a mille ostacoli, dai tempi di attesa agli obiettori di coscienza.

Vogliamo richiamare alle sue responsabilità il governatore della regione Lazio Nicola Zingaretti: oggi garantire l’applicazione della legge 194 significa porre misure di tutela della salute e dell’autodeterminazione delle donne, come di garanzia di trovare medici non obiettori in ogni ospedale pubblico, facendo sì che questa scelta non sia più un limite alle possibilità di carriera di questi medici, evidentemente soggetti a discriminazione.
Chiediamo a Zingaretti di indire un nuovo bando di concorso per il San Camillo in cui tali discriminazioni vengano efficacemente contrastate e i diritti delle donne e dei medici non obiettori rispettati.

Chiediamo infine al Governatore di mettere in atto quanto è in suo potere per garantire il Turn Over del personale medico e la massima qualità e assistenza negli ospedali pubblici così come nei consultori, sempre più poveri di personale qualificato e di risorse.
È altrettanto imprescindibile garantire le risorse necessarie e mettere tra le priorità nella riqualificazione ,la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari in particolare per quanto riguarda l’IVG e la RU486, la prevenzione e la contraccezione.
Alla direzione sanitaria/generale del San Camillo chiediamo l’immediata attivazione di un reparto dedicato alla somministrazione della RU486.

Inoltre, ci batteremo affinchè il reparto IVG non venga scorporato dal reparto Maternità e trasferito in un’altra ala dell’ospedale. Questa scelta potrebbe rappresentare un rischio concreto per la vita stessa delle donne ricoverate, dilatando, in casi di emergenza, i tempi di trasferimento tra i diversi padiglioni.

Diamo appuntamento lunedi 16 marzo h10,30 all’ingresso del San Camillo durante i colloqui per la nomina del nuovo primario, affinché tale nomina venga rinviata al momento in cui siano individuati candidati adeguati che garantiscano i diritti delle donne e che rispondano pienamente alle mansioni richieste nella sanità pubblica”

Lisa Canitano, sul suo profilo facebook, commenta la dichiarazione della consigliera Regionale Marta Bonafoni che propone l’immediata attivazione di un tavolo per l’applicazione della legge 194, dicendo che: “Stavolta le donne ci devono essere…non come con il decreto sui consultori che c’erano solo i primari del territorio…e che alla fine hanno scritto come obiettivo il numero delle donne che rinuncia ad abortire…”.
Imbarazzante e sconcertante il silenzio su questa questione da parte dei principali organi di stampa e del governatore Zingaretti.

Le vicende del San Camillo fanno seguito a quelle dell’Umberto I, dove il “repartino” in cui si eseguono le IVG è stato chiuso per mancanza di medici non obiettori ed è stato riaperto (seppur sotto organico) proprio in seguito alla mobilitazione della rete #IoDecido e di alcune lavoratrici appartenenti ai Cobas.
La rete #IoDecido, invita tutt* ad unirsi a questa importante lotta, dobbiamo essere in tant* domani mattina durante i colloqui di assunzione, per dire forte e chiaro che la libertà di autodeterminazione non si tocca. La rete continuerà a seguire attivamente le vicende di San Camillo e Umberto I.

Vita di Donna
29 06 2014

La lettera di un donna, una delle tante che ogni mattina sono in fila dall'alba presso il servizio di interruzione volontaria della gravidanza dell'Ospedale San Camillo di Roma. Una cronaca fedele e dolorosa di come l'obiezione di coscienza mini la salute e i diritti delle donne. Un grido di dolore rivolto a Zingaretti.

Ospedale San Camillo di Roma
Cara Vita di Donna, ho seguito la battaglia che state conducendo contro l'obiezione di coscienza, e i tentativi di Zingaretti, da me votato, per migliorare l'assistenza alle donne. Vi scrivo dunque, per raccontarvi la mia esperienza di prenotazione di un'interruzione di gravidanza presso l'Ospedale San Camillo. Devo premettere che gli operatori, da me conosciuti in seguito, sono solleciti e gentili, per quando possibile, visto che sono oberati di lavoro (certo! se lavorano solo loro è chiaro che corrono in continuazione e non possono fare di meglio!).

Non è possibile però che nel 2014 le donne siano costrette a questa umiliante routine per vedere rispettato un loro diritto, garantito da una legge. Vi prego di pubblicare la mia lettera, in modo da raggiungere il Governatore, e chiedergli di intervenire, a fianco dei diritti delle donne.
Devo interrompere la gravidanza, non me la posso proprio permettere. Io e il mio compagno viviamo da precari in una provincia del basso Lazio. Tiriamo avanti con poco, un figlio proprio non ci sta.

Al Consultorio del mio paese sono stati gentili, abbiamo raccontato i nostri problemi, hanno cercato garbatamente di farci cambiare idea, e poi ci hanno rilasciato la certificazione dei sette giorni. Mi hanno detto che un ospedale vicino che faccia le IVG non c'è perché sono tutti obiettori di coscienza e che devo andare a Roma, al San Camillo. "Vacci la mattina molto presto, perché c'è sempre la fila e rischi di restare fuori, ne prendono solo cinque al giorno".
Va bene, decido di andare da sola. Il mio compagno non verrà, abbiamo le bollette scadute ancora da pagare, è meglio che lui non perda una giornata di lavoro.

Venerdì 27 giugno, quattro del mattino. Un'alzataccia, un viaggio duro, mi viene da piangere tutto il tempo, mentre guido. Di questa sofferenza se ne è tanto parlato, ma tanto poco è stato fatto. Sono tutti buoni a parlare di sostegno alle donne, di violenza. Non c'è nessuno a cui io possa chiedere un lavoro vero, una casa, per avere il mio bambino.
Arrivo al San Camillo alle 6,30. Mi hanno spiegato che devo scendere vicino alla maternità, è un seminterrato, ci sono le scale che vanno giù. Quando arrivo ci sono già 4 ragazze straniere, si tengono vicine alla porta a vetri del reparto, in modo da essere pronte quando apre. Faccio un rapido conto, se è vero che fanno cinque aborti al giorno allora oggi ce la faccio. La sicurezza aumenta quando scopro che una delle ragazze accompagna la sua amica, quindi sarei la quarta. La donna che ha il primo posto è arrivata alle 5,30 ma lei vive a Roma. Un'altra voleva andare al Policlinico, ma racconta che era pieno.

Poco dopo le sette arriva la quinta donna. Secondo la 'regola del 5' siamo al completo. Poi arriva un'altra, è accompagnata dal suo ragazzo. Ormai abbiamo rotto il ghiaccio e parliamo tra noi. Una delle donne ha già fatto questa esperienza e mi spiega che alle 8,00 la porta si schiuderà, mi apriranno la cartella clinica, farò le analisi di routine e poi vedrò un ginecologo, potrebbero volerci anche delle ore.
Alle sette e mezza arriva la settima donna. Nel frattempo chi ha già dei figli inizia a raccontare del proprio parto. Io ascolto, mi guardo intorno, cerco di non ascoltare, mi sembra un argomento veramente poco adatto. E poi oggi è una bella giornata di sole, ma come si fa quando è inverno e fa freddo? e se poi piove?
Arriva l'ottava donna, la nona. Quest'ultima racconta che il suo Consultorio le ha fissato l'appuntamento. Avrà la precedenza su di noi anche se siamo arrivate prima? ma allora perché viene con noi a quest'ora? E il mio Consultorio non me lo poteva fissare l'appuntamento? Il panico tra quelle che secondo la 'regola del cinque' saranno escluse è visibile. Un'altra cerca di rassicurare: "ma no.. a volte prendono anche le prime dieci". Torna un po' di speranza. Si riprende a chiacchierare, si parla di contraccezione, di spirale o di impianto sottocutaneo. Mi dicono che lo mettono mentre si dorme, che è un buon sistema, io non ne sapevo nulla, e nemmeno il mio consultorio.
Alle otto meno un quarto arriva un altra donna. La decima. E' con il marito e i suoi tre figli.
Ora iniziano ad arrivare più numerose, alle otto meno cinque siamo in 18.

Alzo gli occhi per guardare il cielo, siamo all'ingresso di un sottoscala, da sopra degli uomini e dei bambini ci guardano incuriositi. Le donne parlano. Una dice che deve fare un terapeutico, ha un bambino malato, sta per piangere. Un'altra è alla dodicesima settimana e quindi, anche se arrivata tardi, è sicura che le faranno l'intervento. Un'altra dice che qualche giorno prima quella porta si è aperta, si è affacciato un signore che ha contato fino a dieci ed ha mandato via tutte le altre. Io non ci posso credere che stia davvero succedendo. Che stia succedendo a me. Che stia succedendo a noi. E se ti mandano via torni la mattina dopo? ti metti di nuovo in fila?

Le donne arrivate per prime ora stanno proprio attaccate alla porta, per non farsi prendere il posto da quelle arrivate dopo, io dovrei attaccarmi a loro, già qualche donna arrivata dopo di me tenta di passarmi avanti.
Siamo tutte qui, esposte agli sguardi dei passanti. Qualcuno ci osserva con un'espressione colpevolizzante, altri sguardi, invece, sono di solidarietà. Ma forse mi sbaglio e pensano solo ai fatti loro. Sta di fatto che sto malissimo.

Mi chiama il mio ragazzo, io cedo e scappo. Non gliela faccio proprio ad aspettare che si apra quella porta.

Non ce la faccio a spingermi con altre donne che stanno male come me per non farle passare.

Tornerò domani, ora so cosa mi aspetta. Dormirò qui a Roma da un'amica e domani tornerò da veterana, mi farò accompagnare dalla mia amica. Mentre mi avvio incrocio lo sguardo di altre donne che stanno arrivando.
Sono stanca di stare in piedi, ho sonno e nausea. Vorrei tanto non esistere, addormentarmi e cadere nell'oblio.
Non posso, devo lavorare, devo andare avanti.

Cara Vita di Donna, per favore, fai sì che Zingaretti trovi una soluzione a questa terribile cosa.

Aveva deciso di interrompere la gravidanza dopo aver saputo che la bimba che portava in grembo era affetta da sindrome di Down. Così una donna di 38 anni si è sottoposta a un intervento chirurgico all'ospedale San Camillo per abortire. Era il 16 agosto. A dieci giorni dall'operazione però trascorsi tra stati febbrili e forti dolori addominali - la donna ha avuto un'emorragia mentre faceva la doccia e si è trovata tra i piedi il feto di sei centimetri "nella sua integrità". ...

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