l'Espresso
11 06 2015
Il rientro di
Cristoforetti, che ha battuto il record di permanenza spaziale per un'astronauta donna, è previsto per oggi. Ecco su cosa ha lavorato in orbita. Dalla fabbricazione di oggetti tridimensionali alla meccanica dei fluidi
L'astronauta italiana più famosa al mondo lascia la sua casetta spaziale per rientrare sulla Terra (l'atterraggio è previsto per oggi). Una volta salutata la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) sarà scioccante riprendere le abitudini terrestri, e non solo per la gravità. Samantha Cristoforetti in questi sei mesi era dappertutto, stracciando i suoi predecessori dal punto di vista della comunicazione e non solo nei “social”.
Era costantemente a “Che tempo che fa”, è stata vista, anche se in differita (all’insaputa del pubblico), al Festival di Sanremo, le sue piroette su Repubblica tv hanno fatto il giro del Web, come anche il video di lei che canta “Imagine” di John Lennon.
Per non parlare delle istituzioni: il presidente Mattarella si è collegato con lei durante la sua visita a Parigi, ha avuto un colloquio con il Presidente del Consiglio in collegamento da Palazzo Chigi, ha parlato con il ministro Stefania Giannini e centinaia di ragazzi collegati dalla sede dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Quello che però sfugge ai più è che Samantha Cristoforetti è prima di tutto un’astronauta. E un astronauta è un ricercatore ma anche una cavia. Non fosse altro perché ha dovuto assaggiare il primo caffè espresso nella storia dello spazio. Un esperimento italiano Argotec-Lavazza, ufficialmente per lo studio della dinamica dei fluidi. Sappiamo che lei l’ha bevuto, il fluido, non sappiamo però se le sia piaciuto. Ma al di là del sapore del caffè, gli obiettivi scientifici si focalizzano sul comportamento dei fluidi e delle miscele in condizioni di microgravità, ma anche sul mistero della formazione della schiuma del caffè (chiedere al barista domattina se lo sa…). E questo è stato solo uno dei nove esperimenti che compongono la missione Futura.
Se parliamo di cavia non è tanto per dire. Uno degli esperimenti più importanti della missione è stato “Drain Brain”: Samantha ha indossato i sensori che misurano il flusso del sangue ed ha fatto gli esercizi muscolari e di respirazione previsti dal protocollo scientifico. Poi si è fatta una ecografia vascolare, sotto la guida remota di Paolo Zamboni dell’Università di Ferrara. Aveva già fatto simili esami mesi prima, per controllare effetti a lungo termine.
Giunto sulla Iss ai primi di aprile è l’esperimento di biologia “Cytospace”, realizzato dalla Kayser Italia S.r.l. e dal Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare dell’Università La Sapienza di Roma. Studia l’influenza della microgravità sull’espressione genica, attraverso la modificazione della forma cellulare, per capire se si possa determinare il destino dei sistemi biologici complessi attraverso stravolgimenti di forma e altre reazioni che interessano pressoché tutte le funzioni cellulari. Il progresso nelle conoscenze di questi meccanismi si tradurrà in un progresso nella terapia di patologie del connettivo, l’osteoporosi, il cancro.
Altro esperimento della missione è “Nanoparticles and Osteoporosis” (Nato), appunto sulla osteoporosi. Il progetto è stato realizzato dalle Università di Pavia e di Milano, dall’Istituto di Cristallografia del Cnr e dalla Kayser Italia S.r.l. per vedere se l’impiego di alcune nanoparticelle sulle cellule ossee possa riattivare la formazione di tessuto osseo e ridurne il processo di riassorbimento. L’assenza di peso in orbita favorisce questa patologia anche in soggetti sani (come Samantha) rendendo la Iss un ambiente ideale per il suo studio. Le ricadute di questo esperimento sono nuove misure di contrasto alla riduzione di massa minerale ossea, indotta dalla permanenza nello spazio come dall’invecchiamento sulla Terra.
“Bone/Muscle check” è un esperimento simile, che userà la raccolta e il congelamento a intervalli temporali prefissati di campioni di urina e saliva a bordo della Iss. Questi campioni saranno poi analizzati nei laboratori dell’Università di Salerno e correlati con altri campioni prelevati agli stessi soggetti durante test svolti prima e dopo il volo.
Importante anche lo studio dei meccanismi di adattamento sensori-motorio alla condizione prolungata di assenza di gravità. In particolare sono da capire le nuove strategie e i nuovi criteri di pianificazione ed esecuzione del movimento. Fondamentale per quando ci si muove nella Iss, magari affollata di colleghi intorno alla macchina del caffè.
C’è stato anche un esperimento, realizzato dal San Raffaele di Roma, per studiare contromisure basate sull’esercizio fisico per prevenire problemi di salute dopo i voli spaziali, quali l’intolleranza ortostatica, che rappresenta uno dei più frequenti sintomi che gli astronauti presentano dopo i voli di lunga durata. L’esperimento prevede l’esecuzione da parte dell’astronauta in volo di un programma di allenamento personalizzato, determinato in base ad una nuova metodologia fondata sul carico di lavoro interno che il singolo individuo sperimenta durante l’attività fisica piuttosto che sulla spesa energetica indotta dall’attività fisica. Ma Samantha è molto sportiva ed è una alpinista, non ha certo problemi.
In microgravità la qualità del sonno è ridotta, con conseguenze negative nelle ore di veglia. Ci pensa una Maglietta Sensorizzata, con sensori tessili per la rilevazione dell’elettrocardiogramma e del respiro, una Unità Elettronica Portatile (Peu) per la raccolta dei dati e la misura del battito cardiaco, un termometro per la misura della temperatura cutanea e una Unità Batterie (Bu) per l’alimentazione del dispositivo. L’astronauta indossa la maglietta sensorizzata prima di dormire, collega Peu e batterie, attiva il monitoraggio, poi va a nanna. Il sistema registra i parametri biologici durante il sonno. Al risveglio, i dati memorizzati nella Peu vengono trasferiti ad un laptop di bordo per la trasmissione a Terra e le analisi.
Tra gli esperimenti che hanno suscitato più curiosità, il “Pop3D” è un dimostratore per un processo di produzione automatizzato della realizzazione di oggetti (3D) in polimero termoplastico in assenza di gravità. L’esperimento consiste in una sessione automatizzata per la produzione di un piccolo oggetto di plastica. L’intero dimostratore o l’oggetto fabbricato vengono riportati a terra per l’analisi. Chissà se nello spazio vengono bene le copie 3D.
La qualità dell’aria in un ambiente chiuso come la Iss è assai importante. Gli ambienti della Iss possono ospitare batteri e funghi. Tale biocontaminazione coinvolge sia le superfici interne dei moduli sia l’aria della Iss. Il monitoraggio è complicato ma necessario per assicurare una buona qualità della vita agli astronauti e per garantire adeguata manutenzione per apparecchiature a bordo.
E per una Samantha che torna a Terra, ce n’è una destinata a non farlo, o almeno ci si augura. Si tratta dell’asteroide Samantha Cristoforetti, scoperto dal Gruppo Astrofili di Montelupo Fiorentino e da poco formalmente battezzato dall’Unione Astronomica Internazionale. È un asteroide orbitante tra Marte e Giove, con un periodo di rivoluzione di circa 5 anni e mezzo: chissà che un giorno Samantha ci sbarchi sopra.
Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto
Nazionale di Astrofisica
La Stampa
03 04 2015
«La vita vince su tutto. Nessuno più di me può capire la gioia della maternità e la scienza è lo strumento per realizzare i nostri sogni». Laureata in biologia con specializzazione in embriologia, Alessandra Abbisogno, 32 anni, è la prima italiana nata con la fecondazione assistita. Il Censis attesta che le famiglie nel nostro paese pensano troppo tardi a un figlio, con il rischio di trovarsi di fronte a problemi di fertilità che le portano sempre più spesso nei centri per la fecondazione assistita, con i bimbi nati in provetta quasi triplicati in pochi anni. «Non c’è nulla di più appagante che far nascere quei bimbi che senza un aiuto medico non sarebbero mai nati», assicura. Vive a Bologna e due anni fa è diventata mamma di Andrea.«Per vie naturali». 32 anni dopo, il boom della procreazione assistita rende universale la sua storia personalissima.
Da bambina le è mai capitato di sentirsi una «marziana»?
«No. E’ come aver sempre saputo come sono nata. I miei genitori avevano 40 e 38 anni. Mi hanno detto tutto fin da quando avevo ho potuto capire. Avevo quattro, anni. Grazie alla mamma non ho mai subito traumi: ha sempre parlato della mia nascita come di un evento del tutto normale. Adesso che sono io stessa madre capisco compiutamente la radicalità dell’esperienza. Per essere genitori si percorre qualunque strada. Il cuore ci guida, la scienza ci aiuta».
Per questo è embriologa?
«Sì. E’ stata un po’ una vocazione scritta già nella mia origine. E’ maturata presto in me l’esigenza di approfondire, di tornare alla radice, di capire come funziona la procreazione medicalmente assistita. Quando sono venuta al mondo io fu un evento mai visto in Italia, oggi è prassi diffusa. In questo momento sono al parco con mio figlio e ho una certezza: molti bambini che giocano qui sono nati attraverso la fecondazione in vitro. Non è stato così per me ma molte ragazze non sanno da giovani cosa vogliono davvero. Gli anni passano. Quando si inizia a dare il giusto valore agli affetti, alla famiglia l’età biologica è avanzata».
Sulla sterilità incide lo spostamento del momento in cui si decide di fare il primo figlio?
«Si fanno figli troppo tardi. La maggior parte delle coppie va dallo specialista dopo un anno di tentativi. Purtroppo in Italia restano resistenze culturali alle nascite in provetta. Il dibattito sulla legge 40 lo dimostra. Io sono assolutamente contraria all’aborto e mi addolora vedere donne che negano il valore assoluto della vita. Molte di loro interrompono volontariamente la gravidanza da giovani e poi dopo parecchi anni decidono di fare la fecondazione. Se Dio dona una gravidanza, occorre accettarla. Un figlio è una benedizione. Mio figlio è una benedizione per me come io lo sono stata per mia madre».
Sua madre si è sottoposta a tecniche all’epoca avveniristiche. Lo avrebbe fatto anche lei?
«Non ne ho avuto bisogno. Ma è giusto e comprensibile chiedere alla scienza di fare tutto ciò che può. L’essere tanto desiderata dai miei genitori si è concretizzato in un amore immenso, persino eccessivo. Lentamente il desiderio di maternità di mia madre è diventato il mio. Non mi è servita la procreazione assistita però non ho preclusioni. Anzi ho dedicato la mia vita d aiutare le persone a realizzare il loro sogno. Nei limiti del possibile, certo. Non ti puoi accorgere a 50 anni di volere un figlio. Ma la medicina deve essere al servizio della vita».
Giacomo Galeazzi