×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 415

l'Espresso
23 07 2015

Se atterrasse a Punta Raisi, chissà a quale amaro calice Wolfgang Schäuble costringerebbe la Sicilia. Tuttavia non è necessario essere l'inflessibile ministro dell'Economia tedesco, super-falco nella trattativa con la Grecia, per rendersi conto che il debito accumulato dall'isola in decenni di finanze allegre, collusioni, clientelismi e favoritismi vari non è più sostenibile. Nei giorni scorsi lo ha messo nero su bianco anche la Corte dei conti con un allarme che - al di là delle frasi (e delle giustificazioni) di circostanza - non pare aver smosso granché le coscienze: ci sono "gravi e diffuse criticità gestionali", tutti i saldi di bilancio "presentano consistenti valori negativi", sono oggetto di un "generalizzato e significativo deterioramento" e i dati sono "in deciso peggioramento rispetto al 2013". E la situazione è talmente grave che ormai i valori negativi riguardano pure "quelle poste che avevano realizzato risultati positivi". Dunque "i conti pubblici regionali vanno al più presto sottoposti ad adeguati percorsi di risanamento concordati con il livello centrale" attraverso "un piano pluriennale di rientro".

Insomma, se non è default poco ci manca. E, a Palermo come ad Atene, è necessario ristrutturare il debito, pena il tracollo economico. Così, mentre la politica, sia nazionale che locale, si divide sul destino del governatore Rosario Crocetta, la Sicilia affonda sotto il peso di un disavanzo che a fine 2015 arriverà a 8 miliardi di euro: grosso modo quanto assorbe la spesa sanitaria, che in un solo anno ingoia la bellezza di 9 miliardi e mezzo e che non a caso - come hanno mostrato gli interessi e gli ostacoli che hanno spinto alle dimissioni l'assessore Lucia Borsellino - rappresenta il fulcro di appetititi di ogni tipo.

Eppure, malgrado il deficit aumenti senza sosta, all'opposizione c'è chi sembra gioirne. Come Toti Lombardo (Mpa), figlio dell'ex governatore Raffaele, che a 24 anni ha preso il posto di papà in Assemblea regionale e che ne approfitta per un parallelo non proprio felice: «Dal 2008 al 2012 il debito della Regione ha avuto un incremento medio annuo inferiore al 30 per cento. Dal 2012 al 2015 (con Crocetta, ndr) ha avuto un incremento medio di quasi il 50 per cento annuo», come se le performance del babbo, anziché comunque negative, fossero quelle del boom economico degli anni Sessanta. Tanto più che il confronto è in parte ingeneroso, perché se le casse sono a secco le responsabilità non sono tutte di Crocetta, al quale la Corte dei conti riconosce le "norme ispirate a rigorose politiche d’intervento" introdotte con l'ultima legge di stabilità.

Soltanto nel 2014, per risanare il debito pubblico, il governo ha tagliato infatti alla Regione Sicilia oltre un miliardo di trasferimenti, mentre l'Agenzia delle entrate ha trattenuto altri 600 milioni di tasse senza neppure darne una comunicazione formale. Da anni d'altronde fra Roma e Palermo si è innescato un braccio di ferro sulla ripartizione delle risorse, che dall'inizio dell'anno ha già portato a due pronunce della Corte costituzionale. Il punto però resta: la luce in fondo al tunnel appare sempre più lontana, se non irraggiungibile. Anche perché nessuno sembra all'altezza dello sforzo richiesto: per contenere la spesa nel 2011 una legge stabilì di redigere un piano di riordino della normativa regionale entro due anni. Ne sono trascorsi quattro e quella previsione è rimasta lettera morta.

Nel frattempo a pagare il conto ci pensano i cittadini siciliani, che hanno già visto schizzare le addizionali regionali su Irap e Irpef. Funzionerà? I magistrati contabili sono scettici. Forse non a torto, considerato che negli anni passati i soldi, che dovevano servire a pagare banche e fornitori delle aziende sanitarie, sono stati utilizzati come un bancomat per le emergenze varie: il trasporto pubblico, il collegamento con le isole minori, perfino la riorganizzazione della forestale.

La somiglianza con la Grecia arriva anche alla mancanza di liquidità con cui pagare stipendi e fornitori. Risultato: proprio come accaduto ad Atene, aumenta l'indebitamento con le banche e il ricorso ai prestiti, in un circolo vizioso sempre più micidiale. L'ultimo mutuo chiesto al ministero dell'Economia è di 1,8 miliardi, porterà l'esposizione verso via XX Settembre a quasi due miliardi e mezzo e costringerà a pagare rate da un centinaio di milioni fino al 2045. E a che cosa serviranno i soldi?
Prevalentemente a pagare l'arretrato delle Aziende sanitarie con gli istituti di credito, che ormai sfiora il miliardo.

La conseguenza è che fioccano gli espedienti per trovare il denaro necessario alla sopravvivenza. L'anno scorso i soldi per le spese correnti sono stati presi dal fondo per gli investimenti, quest'anno la Regione ci ha riprovato ma il governo si è opposto. Alla fine, quanto meno per consentire di chiudere il bilancio, due settimane fa Matteo Renzi si è rassegnato a staccare un assegno da 300 milioni. Non che il malumore di Palazzo Chigi sia del tutto infondato: solo per gli stipendi dei 20 mila dipendenti e le pensioni d'oro di ex lavoratori e "deputati" (come tengono a essere definiti i consiglieri dell'Assemblea regionale), la Sicilia spende un miliardo e mezzo l'anno. Esattamente quanto costano Camera e Senato.

Del resto i privilegi negli uffici non mancano. Mediamente alla Regione c'è 1 dirigente ogni 9 dipendenti, il rapporto più alto di tutta Italia, ma in alcuni dipartimenti la proporzione è ancora maggiore e sfiora l'incredibile. All’Urbanistica ad esempio ci sono 31 "capi" per appena 80 sottoposti, al Credito 25 superiori per 63 impiegati e alla Pesca 18 responsabili e 44 subordinati: in media, un dirigente ogni due dipendenti e mezzo.

E non è nemmeno tutto. Per svolgere l'Audit dei programmi europei la proporzione è ancora più bassa: 27 dipendenti e ben 15 dirigenti. Fino al caso dell'Ufficio speciale per la chiusura delle liquidazioni, dove un dirigente opera in assoluta solitudine senza alcun sottoposto. Proprio come un generale senza esercito.

Paolo Fantauzzi

la Repubblica
16 07 2015

Il medico di Crocetta al telefono: la Borsellino va fatta fuori come suo padre. Renzi le telefona: "Solidale con lei"

Lucia Borsellino «va fatta fuori. Come suo padre». Ovvero come Paolo Borsellino, il giudice assassinato il 19 luglio 1992. Le parole, di impatto potentissimo, sarebbero state intercettate pochi mesi fa. A pronunciarle – secondo quanto rivela l’Espresso in un’anticipazione - non sarebbe stato un capomafia, ma il medico personale di medico di Crocetta: Matteo Tutino, primario dell’ospedale palermitano Villa Sofia, arrestato nei giorni scorsi per truffa, falso e peculato. All’altro capo del telefono c’è proprio il governatore della Sicilia Rosario Crocetta, che – a quanto riferisce l’Espresso - ascolta e tace. Nessuna reazione di fronte a quel commento macabro nei confronti dell’assessore della sua giunta, scelto come simbolo di legalità in un settore da sempre culla di interessi mafiosi. Nei giorni scorsi le voci di una intercettazione shock erano circolate con insistenza, giungendo all’orecchio della stessa Borsellino, che si è dimessa dal ruolo di assessore alla Salute all’indomani dell’arresto di Turino. Dicendo, in un'intervista a Repubblica, che in dissenso nei riguardi dell'antimafia di facciata non avrebbe partecipato alle cerimonie per la commemorazione della strage di via d'Amelio.

Crocetta nega di aver sentito. Ma Crocetta dice di non aver mai sentito quella frase: "Giuro di non averla mai udita, forse ero in viaggio, in autostrada, in una zona d'ombra. Ma se l'avessi sentita davvero avrei reagito come un dannato, avrei tolto la parola a Tutino. Lui parlava male della Borsellino, è vero, ma ripeto non l'ho sentito dire quella frase. Purtroppo - conclude il presidente - siamo tutti vittime delle telefonate altrui", Basterà questa precisazione a placare il ciclone in arrivo alla vigilia delle commemorazioni del 19 luglio?

Il commento gelido dell'ex assessore. Lucia Borsellino commenta la frase ai microfoni del Gr di Rai Sicilia: "Mi sento intimamente offesa e provo un senso di vergogna per loro". Sulla giustificazione data da Crocetta ha risposto glaciale: "Non spetta a me fare commenti al riguardo". Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo e punto di riferimento del movimento "Agende Rosse" attacca: "Quelle intercettazioni tra il medico di Crocetta e lo stesso Presidente in cui Matteo Tutino dice che bisognerebbe fare fuori mia nipote Lucia sono semplicemente gravissime, incredibili e vergognose". "Lui non dice che bisogna farla fuori dall'assessorato ma che bisogna farla fuori come suo padre - dice Salvatore Borsellino - e siccome mi risulta che suo padre è stato ucciso in maniera particolare, è gravissimo. E non perché l'abbia detto Tutino ma perché il presidente Crocetta non l'ha mai reso noto, né ha estromesso Tutino dal suo entourage. Io chiederò conto a Crocetta di questo". Quando viene a sapere che Crocetta sostiene di non avere mai sentito quella frase, replica: "Vuol dire che è stato colpito da una sordità improvvisa e temporanea...". "Fare fuori Lucia come suo padre significa solo una cosa- dice - e trovo assurdo che Crocetta non ne abbia tratto le necessarie conseguenze. Gliene chiederò conto".

La telefonata di Matteo Renzi. La giunta Crocetta traballa come non mai. Anche il premier Matteo Renzi, stamattina, ha telefonato a Lucia Borsellino per esprimerle solidarietà. Un gesto che, com'è evidente, ha anche un valore politico, visto che uno dei due interlocutori della conversazione incriminata sarebbe stato Crocetta. Ovvero un presidente della Regione del Pd. Fonti di Palazzo Chigi sottolineano che la chiamata a Lucia Borsellino è stata "la prima telefonata della giornata del premier".
La chiama anche Alfano. Il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha chiamato Lucia Borsellino per esprimerle "sdegno, affettuosa vicinanza e solidarietà per quelle parole che pesano in modo gravissimo e incancellabile sulla coscienza di chi le ha pronunciate". Il ministro Alfano auspica che sia vero quanto affermato dal Presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, e cioè che non ha sentito la "irripetibile frase pronunciata dal suo medico" sull'ex assessore alla Sanità.

Il Pd chiede le dimissioni. Il sottosegretario Davide Faraone non ha dubbi: "Inevitabili dimissioni Crocetta e nuove elezioni. Quelle parole su Lucia Borsellino una vergogna inaccettabile". Nel Pd si apre il fronte che porta alle dimissioni del governatore.
Il nuovo assessore: "licenziare Tutino". Il neo assessore alla Salute Baldo Gucciardi, intanto, chiede il licenziamento di Tutino: "Pur nell'assoluto rispettodelle indagini dell'autorità giudiziaria, è di tutta evidenza che le parole pronunciate dal dottor Tutino e riportate oggi da organi di stampa lo rendono, fra l'altro, incompatibile con qualsiasi rapporto giuridico e professionale con un'Azienda sanitaria pubblica. Il direttore generale dell'Azienda Villa Sofia-Cervello svolga le tempestive verifiche del caso - dice Gucciardi - e ponga immediatamente in essere i provvedimenti consequenziali".

Emanuele Lauria

Arance rosso sangue, campi lager e caporali

schiavitùUn pulmino all'alba. Un'intera famiglia, un bambino e una bambina. È la stagione della raccolta delle arance nelle campagne di Paternò e si fa anche così. Con i minori. Dall'altro lato della strada, gli italiani stanno a guardare. [...] Qui, come raccontato nel rapporto realizzato da Terrelibere, Terra Onlus e DaSud, oltre alla manodopera africana cresce il numero degli "schiavi" dell'Europa dell'Est.
Virginia Della Sala, Il Fatto Quotidiano ...
La grande partita dei beni sottratti alla mafia: chi li gestisce e come, quanto valgono, il sistema economico-criminale, i fallimenti e le ricadute occupazionali. I passi falsi dello Stato e il ricatto di Cosa Nostra. I documenti di denuncia arrivati in procura. Storie di potere, cordate familistiche e milioni di euro da distribuire. Soprattutto in terra di Sicilia.
Giuseppe Pipitone/Sandra Rizza, Il Fatto Quotidiano ...
Il mare davanti alla Libia brulica di uomini, donne e bambini in fuga dalla Siria e dall'Eritrea. Sono 1.700 i profughi raccolti tra ieri e venerdì sui barconi in avaria nel Canale di Sicilia e trasportati in Sicilia. Cargo, mezzi della Marina militare, motovedette: tutti impegnati in questa ennesima operazione di soccorso che - secondo le previsioni del Viminale - segna l'avvio di una massiccia stagione di sbarchi.
La Stampa ...

facebook