Corriere della Sera22 01 2013«Hannah Arendt si adatta al mio modello personale delle donne di importanza storica che ho ritratto»
È piaciuto anche a Edna Brocke, la nipote della filosofa tedesca e continuatrice della sua eredità, il film di Margarethe von Trotta su Hannah Arendt. Brocke ha conosciuto l’autrice di La banalità del male, come ricorda lei stessa in una intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Lo sforzo di Margarthe von Trotta è stato quello di raccontare i pensieri e la vita di Hannah Arendt, senza adoperare l’arma della somiglianza, cercando di «esteriorizzare i momenti della riflessione». Per farlo si è affidata all’attrice che collabora con lei da molti anni, Barbara Sukowa, creando una sorta di doppia immedesimazione intellettuale .
«Hannah Arendt – afferma la regista tedesca – si adatta al mio modello personale delle donne di importanza storica che ho ritratto. “Voglio capire” era uno dei suoi principi-guida. Penso che valga anche per me e per i miei film», è la frase-chiave che ho citato nel mio articolo sul Corriere dedicato a questo ritratto appassionato. Un ritratto di tre persone.
Il nocciolo duro del film consiste anche, non dimentichiamolo, nella lettura da parte di Hannah Arendt del personaggio di Adolf Eichmann (il reportage da Gerusalemme per il New Yorker diventò il libro La banalità del male) e nelle grandi questioni che le sue analisi hanno sollevato. L’organizzatore dello sterminio degli ebrei come un obbediente impiegato del potere.
In ogni caso, Margarethe von Trotta è riuscita ancora una volta ad entrare dentro una persona. Lo aveva fatto con Anni di Piombo, con Rosa L. (per il quale Sukowa vinse la Palma d’oro a Cannes) e in parte nel meno riuscito film “italiano” Paura e amore, dove la protagonista di Hannah Arendt era assente.
Ripensando a questi film, con i loro pregi narrativi e i loro difetti “politici”, ci si chiede se quando una donna racconta una donna ci sia sempre un valore in più di partenza.