Comune - info
16 06 2015
di Monica Di Sisto
C’è chi cinguetta e chi telefona. Poi valanghe di e-mail, ma soprattutto un monitoraggio congiunto e continuativo dei negoziati del Trattato transatlantico (T-tip) e di quello transpacifico (Tpp), accomunati dalla volontà di egemonizzare il governo del commercio globale proprio quando la crisi economica, ambientale e sociale globale richiedere, invece, un governo condiviso e ragionevole della cosa pubblica globale. È il lavoro che le campagne stop T-tip, Ceta e Tisa, su entrambe le sponde dell’Atlantico, portano avanti insieme da oltre due anni per bloccare la deregulation verticale di servizi, commerci e soprattutto standard e normative di sicurezza e qualità che questi trattati comporterebbero.
La rilevanza dell’operazione di rafforzamento della democrazia e della trasparenza dei negoziati lo dimostrano gli ultimi risultati ottenuti da queste campagne, che vedono al lavoro insieme associazioni, ong, sindacati, ma anche consumatori e piccole imprese, presenze inedite in azioni come queste. Aver tenuto sotto tiro per dieci giorni su Twitter, via email e su Facebook tutti quei parlamentari europei che sostenevano la versione peggiorativa della Relazione Lange sul T-tip, licenziata dalla Commissione per il commercio internazionale del Parlamento Ue, chiedendogliene conto motivato e invitandoli a cambiare posizione, ha portato il Parlamento a non approvare il testo in quella versione e a riaffidarlo alla Commissione competente. I parlamentari della maggioranza, per di più, hanno votato secondo coscienza se discutere o no della scelta del rinvio, mostrando chiaramente agli elettori chi, a prescindere dagli schieramenti, avesse a cuore le loro ragioni o no.
Dall’altra sponda dell’Atlantico c’è chi ha organizzato addirittura dei “call in” – ossia delle giornate coordinate di telefonate a tappeto ai congressisti eletti nel proprio stato – per invitarli a non concedere al presidente Obama la “corsia preferenziale” (fast track) per negoziare i trattati commerciali, che li sottrarrebbe al controllo democratico del Congresso. E i centralini di Washington sembra siano stati messi a dura prova dall’azione, se non fossero bastati i leaks di Assange, che hanno rivelato ampi stralci dei testi negoziali del Tpp che puntano all’attacco dei servizi sanitari ed essenziali di molti paesi ricchi e poveri dell’area pacifica.
Il punto, ribadiamo, non è promuovere una sterile polemica sul ruolo del commercio internazionale per il benessere condiviso, che pur si presta a letture molto diverse. Le campagne rivendicano, a una voce, il cui prodest. Guadagni commerciali risicati, riduzioni potenziali della sovranità nazionale e regionali ingenti, ma soprattutto la subordinazione di regole, standard, privacy e diritti, basi del patto sociale e della sostenibilità ambientale alle ragioni del commercio: sono questi i temi di cui oggi, finalmente, si discute in Europa e negli Usa, non solo tra i “secchioni” del commercio internazionale e dello sviluppo, ma sempre più tra persone che si percepiscono come cittadini, consumatori, elettori, produttori, lavoratori, soggetti e non solo oggetti di politiche distanti quanto invasive.
Il prossimo appuntamento per il movimento stop T-tip è il 13 luglio, quando i negoziatori europei e statunitensi si incontreranno a Bruxelles per un nuovo round di negoziati transatlantici. E il 10 ottobre, quando le capitali europee torneranno a rivendicare il diritto dei cittadini ad avere un ruolo nella governance globale. Verso un governo delle persone: più democratico, inclusivo, ridistribuivo e sostenibile.
Il Fatto Quotidiano
10 06 2015
Oltre al danno, la beffa: la Commissaria al Commercio Cecilia Maelstrom si burla del Parlamento Europeo. Si perché stamattina a Strasburgo si doveva votare la Risoluzione parlamentare sul Ttip. Non un atto vincolante, ma un modo per spiegare proprio alla Commissaria e al suo team che cosa il Parlamento pensi sia giusto negoziare e che cosa no con gli Usa nel tavolo del Trattato transatlantico su scambi e investimenti, meglio conosciuto come TTIP.
Ieri nel tardo pomeriggio, però, arriva la notizia bomba: il presidente del Parlamento, il socialdemocratico Martin Schulz, ha trovato un cavillo nel regolamento per rimandare il voto, e per rinviare il testo della Risoluzione alla Commissione Commercio Internazionale (INTA) per un supplemento d’esame. Troppi gli emendamenti, si legge nella motivazione della decisione presa senza passare dall’aula, ma con l’accordo dei capigruppo di maggioranza. In realtà le nostre fonti in Parlamento ci confermano da subito che il gruppo socialdemocratico è spaccato, l’europresidente teme i franchi tiratori, e ne sono spaventati anche i popolari e i liberal.
Troppo forte il tam tam dell’opinione pubblica e pesano quantità e qualità di tweet, telefonate e email ricevute dai parlamentari da migliaia di cittadini di tutta Europa che chiedono loro di ripensare i pilastri del negoziato in corso: arbitrato privato per proteggere i diritti degli investitori, cooperazione regolatoria fuori controllo, nessuna tutela per etichettature e standard dei prodotti, sicurezza alimentare, indicazioni geografiche e servizi pubblici.
Temono che la Risoluzione attuale – in effetti una pacca sulla spalla alla Commissaria Maelstrom, accanita liberalizzatrice che vuole le mani più libere possibili da possibili paletti imposti dal Parlamento – possa essere bocciata o, orrore orrore, addirittura migliorata nell’interesse dei cittadini.
Quindi Schulz mette opposizione interna ed esterna davanti al fatto compiuto e stamattina alle 8, in un’aula tramortita e – si vocifera – con tanti, troppi, assenti illustri, il presidente dell’assemblea Antonio Tajani annuncia non soltanto che il volo sulla Risoluzione è rimandato, ma che pone in votazione, a voto palese, addirittura una mozione d’ordine di maggioranza per rinviare il dibattito. Di lì scoppia il putiferio. Gli interventi che si susseguono mostrano non soltanto lo scontento di sinistra, destra, verdi e anche di parte dei liberal e S&D dissidenti per lo spostamento del voto, ma lo sconcerto per la sottrazione del dibattito, che molti di loro volevano si trasformasse in un dibattito di merito sui problemi che il TTIP presenta dal punto di vista pratico e politico.
strasburgomep5Molti dei “dissidenti” indossano la maglietta Stop TTIP della Campagna italiana, che nelle ore precedenti li ha raggiunti via aereo come incoraggiamento delle associazioni nazionali a sostenere la posizione condivisa, ormai, da milioni di cittadini europei: la petizione popolare che chiede la sospensione delle trattative viaggia ormai, da molte ore ben speditamente oltre i 2 milioni di firme e la campagna è in azione coordinata da 32 Paesi dell’Unione. Altri chiedono la parola e sventolano cartelli. Si vota, la scelta di non discutere passa per soli due voti e la seduta viene sospesa in fretta e furia da Tajani mentre molti parlamentari, persino in centro, restano seduti ai banchi per un bel po’, in segno di dissenso. La Commissaria si gode lo spettacolo e su twitter dileggia con un emoticon sorridente il Parlamento, che decide di spostare la votazione e poi discute se discuterci su. Scatenando, come era ovvio, la reazione stizzita di movimenti dei consumatori, pacifisti, parlamentari stessi che ne sanzionano la leggerezza.
Per la Campagna Stop TTIP questa è una doppia vittoria: perché si è fermata una pessima relazione, e perché la mobilitazione intensa delle scorse settimane ha portato molti eurodeputati a pensarci su e a votare, alla fine, secondo coscienza e oltre le famiglie politiche. Il voto era palese, d’altronde, quindi sarà facile capire chi ha fatto la cosa giusta e chi no.
Fuori dal Parlamento europeo, a Strasburgo ma anche a Bruxelles, gli attivisti festeggiano la vittoria politica. La raccolta firme va avanti, come d’altronde tutte le attività di sensibilizzazione e informazione della Campagna in tutta Europa, tanto che per sostenerla si lanciano iniziative di crowdfunding, dibattiti, cene, feste estive e banchetti lungo tutta l’estate.
Occhi puntati a Bruxelles dove a luglio, dal prossimo 13 luglio, la Commissaria Maelstrom accoglierà i negoziatori Usa per il nuovo ciclo di negoziati TTIP, e i cittadini cercheranno di far pesare questa vittoria politica anche in quella riservata sede.
Il Manifesto
10 06 2015
È stato rinviato il voto sul Ttip previsto oggi a Strasburgo. La motivazione? Se la grande coalizione non è d’accordo, non si vota. Le larghe intese tra Socialisti, Popolari e Liberali che costituiscono la maggioranza nel Parlamento europeo rischiavano di vacillare in aula. Di fronte al «rischio» di una crisi della grande coalizione, il Presidente Schulz ha scelto (forzando il suo ruolo) di rinviare sine die il voto a seguito del grande numero di emendamenti arrivati in aula: oltre 60 quelli presentati come Gue/Ngl, tra cui uno, di cui sono prima firmataria, che avanza la richiesta di abbandonare i negoziati.
Abbiamo redatto gli emendamenti consultandoci con le reti di attivisti ed esperti (tra queste, il network Stop-Ttip Italia) che da tempo fanno informazione su quello che non è un «semplice» accordo di commercio bilaterale tra Ue e Usa, bensì una ulteriore e radicale trasformazione in chiave neoliberista della costituzione materiale e formale dell’Ue. L’alternativa è tra Ttip e democrazia: il Ttip è un tassello fondamentale nel processo globale di deregolamentazione che mira a sancire il primato dei diritti degli investitori sui diritti delle cittadine e dei cittadini, su ogni residuo di sovranità popolare. Non a caso uno degli esiti dello scorso G7 è stata la sollecitazione a una rapida approvazione del Ttip.
Tra le cause del «rischio» di una maggioranza diversa dalla grande coalizione, il voto in aula su uno dei punti più critici del trattato: la clausola Isds che istitituirebbe la possibilità di ricorso a corti private di arbitrato internazionale per risolvere le controversie fra investitori e Stati. Il 28 maggio la votazione in Commissione Commercio Estero sul Ttip si era conclusa con una riaffermazione della maggioranza tra socialisti e popolari e con un accordo proprio sulla clausola Isds. L’Isds rischia di dividere la maggioranza ma non è l’unico strumento attraverso cui il Ttip agisce sulla democrazia: ad esempio, attraverso il meccanismo della cooperazione regolatoria, lobby e multinazionali saranno legittimati a incidere sulla produzione normativa per allineare gli standard tra Ue e Usa.
Il Ttip è un cavallo di troia che consentirebbe alle multinazionali di influire sul processo legislativo ex-ante ed ex-post, istituzionalizzando il potere delle lobby nel processo democratico. Abbiamo più volte segnalato come il Ttip mini alla base il principio di precauzione, aumentando i rischi per la salute alimentare. Ancora, come dimostrano diversi studi di impatto (tra cui quello di Jeronim Capaldo) causerebbe la perdita di circa 600mila posti di lavoro in Europa.
Forse è questa la ragione per cui il governo Renzi è fortemente a favore del Ttip. Chiediamo, dopo questo ennesimo strappo agito ai danni del Parlamento e della sovranità popolare, che si sospendano le negoziazioni, almeno finché non vi sarà un pronunciamento democratico. È della massima importanza che a partire da oggi si intensifichino le mobilitazioni contro il Ttip. La sinistra politica, per darsi unità può partire dal darsi contenuto: la lotta contro il Ttip è sicuramente un contenuto fondamentale.
*Parlamentare Europea — Altra Europa con Tsipras — Gruppo GUE/NGL
Comune - info
08 06 2015
di Alberto Zoratti
Tutti gli occhi sono puntati su Strasburgo: mercoledì 10 giugno il parlamento europeo in seduta plenaria dirà la sua sul T-tip, approvando o rigettando la Risoluzione Lange, dal nome del Rapporteur del gruppo dei Socialisti e Democratici, che il 28 maggio è stata approvata dalla Commissione commercio internazionale Inta a Bruxelles. Non sarà un atto conclusivo, nè la fine dei negoziati, ma una tappa importante di ridefinizione della cornice negoziale della Commissione europea che fa parte del ruolo, decisamente limitato, che il parlamento europeo può giocare nel campo dei negoziati commerciali, competenza esclusiva del Commissario al Commercio. Se avrà potere di ratificare a trattato concluso, in itinere non può emendare nulla, ma solo inviare raccomandazioni e votare risoluzioni, non formalmente vincolanti anche se politicamente rilevanti.
È in questo campo che si sta giocando lo scontro tra interessi e visioni. Con un quadro in continuo cambiamento che vede il patto scellerato trovato tra Partito popolare europeo e socialdemocratici in Commissione Inta che rischia di saltare su alcuni punti di sostanza, come l’Isds, l’arbitrato internazionale che consentirebbe alle aziende di portare in giudizio gli Stati a causa di politiche non rispondenti alle loro aspettative. Nonostante gli equilibrismi della Commissaria Malmstrom, e le posizione ambigue degli europarlamentari che hanno sostenuto un Isds riformato nella prima stesura della Risoluzione, la proposta è entrata al centro dello scontro politico tra i gruppi. I rischi sono molti, non ultimo quello di ritrovarsi un testo volutamente ambiguo che, se esclude l’arbitrato privato, prevede comunque un organismo di ulteriore tutela del privato, oltre le corti convenzionali accessibili a tutti, rispetto ai comuni mortali.
Le reti Stop T-tip hanno posto una red line insuperabile. No all’Isds, in qualsiasi modo venga cucinato, perchè ridondante per due continenti con una giurisprudenza avanzata come Stati uniti e Unione europea. Un punto fermo necessario ma non sufficiente, perchè il T-tip è questo e molto altro, come il rischio di privatizzazione dei servizi, l’impatto della liberalizzazione dell’agricoltura sulla produzione italiana ed europea, gli appalti pubblici.
Piuttosto che una pessima risoluzione, meglio nessuna risoluzione, è il refrain. Con la consapevolezza che un buon lavoro di pressione politica capace di modificare al meglio il testo è solo un argine, un modo per non rendere le cose peggiori, mantenendo l’obiettivo che questo trattato non s’ha da fare. Per questo la Campagna Stop T-tip Italia, in coordinamento con le reti internazionali, ha lanciato un mailbombing sugli europarlamentari di area popolare e socialdemocratica, di quei gruppi che fin dall’inizio si sono detti favorevoli al trattato transatlantico. Centinaia di e-mail e di tweet per dare una scossa a una politica, soprattutto italiana, volutamente distratta su un negoziato tra i più importanti degli ultimi anni. Nonostante la retorica del viceministro Carlo Calenda, l’Italia è agli ultimi posti come tasso di conoscenza e di consapevolezza sul T-tip, con buona parte della discussione pubblica stimolata dalla società civile e dai movimenti che chiedono un confronto aperto, trasparente e democratico.
In questi giorni, in contemporanea con l’invio email e tweet, in decine di città italiane si svolgeranno iniziative, incontri pubblici, presidi per dimostrare che esiste un’opposizione crescente a un negoziato disconosciuto anche da personalità d’Oltreoceano come quel Paul Krugman che dalle pagine del New York Times ha evidenziato i limiti e i rischi di un trattato progettato a uso e consumo dei gruppi privati. Un’opposizione che nel Vecchio Continente sostiene la petizione europea ormai sulla dirittura di arrivo dei due milioni di firme e che coinvolge sempre più settori della società civile, dai sindacati ai piccoli produttori agricoli. Dimostrando, ancora una volta, che la lotta contro il T-tip non è solo contro un modello economico imposto, ma per una reale partecipazione democratica dei cittadini alle scelte che incideranno sulle nostre società.