Huffington Post
23 07 2015
Diritti umani agli animali, la decisione di un sindaco spagnolo: "Voglio esserci per tutti i cittadini, umani e non"
Il consiglio comunale di Trigueros del Valle, un paese di circa 330 anime nella regione di Castiglia e Léon, ha deliberato nei giorni scorsi che gli animali dovranno avere dei diritti simili a quelli degli uomini, rendendoli di fatto dei "cittadini non umani".
"Gli animali hanno vissuto insieme a noi per più di 1000 anni e il sindaco deve esserci per tutti i cittadini, quelli umani e anche gli altri" afferma Pedro Pérez Espinosa, il sindaco socialista del paese. Non è tuttavia ben chiaro come la legge sarà applicata agli animali anziani o malati che vengono addormentati.
Festeggiano la decisione tutti i gruppi animalisti: "Dimostriamo oggi di essere più umani grazie all'intelligenza e la sensibilità dimostrati dal consiglio comunale di Trigueros del Valle. Questo è un grande giorno per tutti i cittadini, umani e non" si legge in un comunicato dell'associazione per la difesa dei diritti degli animali Rescate 1.
La decisione coinvolge anche la Corrida, vietando "ogni azione che causa mutilazioni o morte di cittadini non umani." Questa scelta si inserisce in un atteggiamento generalizzato di numerose comunità locali e regionali che hanno già reso illegale la Corrida, anche se il governo centrale di Madrid sta valutando di renderla ufficialmente patrimonio tradizionale della nazione, inibendo così di fatto i regolamenti locali.
la Repubblica
09 07 2015
Nell'elegante quartiere di Chamberì pochi ormai ci fanno caso. E i più giovani ignorano del tutto quei nomi incisi in caratteri bianchi sulle targhe azzurre del Comune.
A una manciata di isolati dal Paseo del la Castellana, c'è una Calle del General Yague che fa angolo con la Calle del General Varela.
E' il doppio tributo in un colpo solo a due criminali protagonisti della lunga notte della dittatura: il primo; Juan Yague, soprannominato come "il macellaio di Badajoz" per il massacro di migliaia di civili durante l'assedio alla città dell'Estremadura, il secondo, José Enrique Varela, ministro dell'Esercito, scomparso nel 1951, ma comunque imputato post-mortem dal giudice Garzòn per crimini contro l'umanità. ...
Cronache di ordinario razzismo
06 07 2015
Il Parlamento catalano ha approvato la mozione, presentata dalla Commissione giustizia e diritti umani, con cui si richiede all’esecutivo nazionale di “iniziare nel tempo più breve possibile un processo di chiusura dei Cie (Centros de Internamiento de Extranjeros)”, in linea con un concreto cambiamento delle politiche migratorie. Tutti i gruppi parlamentari hanno appoggiato la proposta, eccetto il PP e Ciutadans.
Concretamente, il Parlamento ha sottolineato l’urgenza di sostituire la detenzione nei Cie con misure alternative al trattenimento, sulla base della legislazione europea – nello specifico la Direttiva 2008/115/CE – che insiste sulla necessità di prevedere misure amministrative piuttosto che di detenzione. Inoltre, la mozione approvata sollecita il governo centrale a interrompere immediatamente le “deportaciones exprés”, ossia i rimpatri coatti effettuati entro 72 ore di detenzione: una pratica che impedisce alla persona interessata di avere qualsiasi tipo di assistenza o possibilità di informarsi sui propri diritti. E’ stata inoltre sottolineata la necessità di fermare il cosiddetto “racial profiling” – di fatto una schedatura su base etnica – sulla base del quale le forze dell’ordine fermano e identificano le persone. La mozione reclama infine l’apertura di indagini sulle denunce di maltrattamenti e tortura all’interno del Cie di Barcellona.
Sul caso specifico del Cie catalano dell’area commerciale di Zona Franca, la mozione richiede che vengano implementate, in attesa della chiusura, alcune misure per migliorare le condizioni dei trattenuti, come l’assistenza sanitaria 24 ore su 24, un servizio di traduzione per gli avvocati, la presenza di una guardiana piuttosto che della polizia.
“E’ un momento storico, ci aspettiamo ora un cambiamento nelle politiche di immigrazione”, ha commentato l’avvocato Andrés García Berrio della campagna Tamquem els CIE , promotrice delle mobilitazioni per la chiusura dei Cie, culminate nella manifestazione del 20 giugno. “Esigiamo ora che i programmi elettorali per le prossime elezioni prevedano la chiusura dei Cie”. “Tutto questo è stato reso possibile dall’impegno di associazioni, attivisti, singole persone. Continueremo a lavorare per il rispetto della dignità umana, per la giustizia e contro il razzismo”, ha fatto eco l’associazione Sos Racisme, tra le associazioni promotrici della campagna.
L’Espresso
01 07 2015
“Siamo interessati a partecipare. Vorremmo che lo Stato spagnolo ci chiamasse e concordasse con noi un piano d'azione. Perché con i fondi europei, gli aiuti statali, e i risparmi regionali, potremmo fare molto di più per i rifugiati». Così Xavier Bosch, direttore generale per l'Immigrazione della Catalogna ha risposto alle domande di Europa Press a proposito dell'opposizione di Madrid al programma dell'Agenda europea che prevede la divisione in "quote" a seconda dei paesi di 40mila profughi nei prossimi due anni.
«Parlare di quote significa trattare le persone come merci», ha puntualizzato Bosch, ma di certo Madrid «è stata troppo restrittiva» dal momento che la Spagna ad oggi ha accettato molti meno richiedenti asilo di quanto non abbiano fatto paesi come la Germania.
Secondo Bosch sia le leggi spagnole che quelle della regione autonoma catalana permetterebbero al paese di accettare molte più persone, ma il governo di Mariano Rajoy non avrebbe preso in considerazione la disponibilità dimostrata dalle istituzioni della Catalogna.
«L'ospitalità dei rifugiati ha una ricaduta positiva nei paesi di accoglienza, e la Spagna non l'ha capito», ha ribadito Bosch, ricordando le migliaia di catalani esiliati in Messico dopo la guerra civile del 1939 e il loro contributo allo sviluppo del paese sudamericano.
Un messaggio anomalo, in controtendenza rispetto agli allarmi e alle paure espresse dai governi centrali nelle ultime settimane. Interessante soprattutto perché arriva dalla Catalogna, una regione autonoma e indipendentista, così come era la Padania della Lega Nord pre-Matteo Salvini. Ma con una sensibilità a quanto pare molto diversa ai problemi globali.
Il Manifesto
22 06 2015
La Spagna si appresta alla celebrazione di un anniversario importante: i dieci anni dall’introduzione del matrimonio ugualitario. Il 3 luglio 2005 entrava in vigore la legge 13/2005 che, in maniera giuridicamente semplice ed elegante, trasformava il paese iberico nel terzo al mondo, dopo Olanda e Belgio, a estendere alle coppie dello stesso sesso l’istituto del matrimonio: la norma si limitava a modificare il codice civile, sostituendo le parole «marito» e «moglie» con «coniugi», e «padre» e «madre» con «progenitori». Ma la festa, quest’anno, sarà un po’ meno felice, perché sarà orfana del principale ispiratore della riforma che rese il governo di José Luis Zapatero famoso in tutto il mondo: Pedro Zerolo, morto a 54 anni proprio un paio di settimane prima di poter celebrare l’anniversario di quella che è stata la sua più grande vittoria politica.
Nato a Caracas e cresciuto alle Canarie, Zerolo era avvocato, attivista e politico socialista: una storia di lotte prima dentro le associazioni gay – dal 1998 al 2003 fu presidente della Federazione statale lesbiche, gay, transessuali e bisessuali – e poi, dal 2003, come consigliere comunale socialista a Madrid e membro della segreteria nazionale con il compito di curare il rapporto con i movimenti sociali. Alla fine del 2013 era stato colpito da cancro al pancreas – un tipo di cancro con una mortalità superiore al 95%. Nonostante questo, e il cambio di aspetto – aveva perso i suoi proverbiali ricci e molti chili – Zerolo aveva continuato a essere un protagonista della vita politica spagnola e a combattere fino alla fine con l’energia e il buon umore che lo caratterizzavano. Anzi, della vita alle prese con una malattia difficile aveva fatto un nuovo fronte di lotta, «il mio secondo coming out», diceva.
Numero tre della lista socialista della comunità di Madrid guidata dall’ex ministro Ángel Gabilondo in queste ultime elezioni regionali, è morto proprio due giorni prima di poter prendere possesso del suo seggio. Sul suo profilo twitter si definiva «attivista socialista, repubblicano, laico, femminista, ateo, migrante, federalista, lgtb, latino, avvocato». Il suo ultimo tweet è stato contro un caso di assassinio machista.
Certamente ha lasciato in eredità alla Spagna una legge che l’ha resa più giusta, trasformandola in un porto d’approdo accogliente per molte persone omosessuali perseguitate nel proprio paese d’origine. Ma lascia anche dell’altro. Come succede solo alle persone fuori dal comune, a Zerolo il tempo ha dato ragione, e dieci anni dopo persino i suoi più acerrimi nemici politici gli hanno reso omaggio: un riconoscimento postumo alla sua lotta. Popolarissimo anche fra chi non ha mai votato socialista, con la sua morte ha suscitato una forte emozione persino in molti esponenti politici del Partido popular (Pp). Il comune di Madrid (che il giorno del decesso era ancora in mano al Pp) ha messo subito a disposizione la migliore sala per la camera ardente, il Patio de Cristales de la Casa de la Villa, e persino i giornali più conservatori ne hanno tracciato un profilo rispettoso e quasi affettuoso.
Un sentimento molto diverso da quello che all’epoca aveva portato il Pp a cercare di fermare la legge in tutti i modi (anche nelle piazze), arrivando a impugnarla davanti alla Corte costituzionale: una spada di Damocle sul capo di molte persone sposatesi nel frattempo. Solo nel novembre del 2012 arrivò finalmente il sigillo di costituzionalità che diede piena certezza giuridica alle circa 30mila coppie omosessuali del Paese.
Addirittura l’arcivescovo di Madrid e vicepresidente della Conferenza episcopale spagnola ha portato le condoglianze al vedovo di Zerolo, e l’ha fatto sapere. Nel 2005 la chiesa mobilitò milioni di persone contro il governo Zapatero per questa legge. Ma c’è di più – e forse è questa la maniera migliore di celebrarlo. In un paese in cui fino a meno di 40 anni fa l’omosessualità era un reato gravissimo punito crudelmente, a dieci anni dall’entrata in vigore della legge sul matrimonio ugualitario, neanche sui media più reazionari c’è stato qualcuno che abbia avuto remore nell’usare la parola «marito» per il compagno di vita di Zerolo. Nella prima riunione utile del nuovo consiglio comunale, il Psoe porterà la proposta di intitolargli una piazza nel centro del popolare quartiere gay di Chueca a Madrid.