Huffingtonpost.it
09 06 2013
Il suo obiettivo era - ed è - far chiudere un sito “che vìola palesemente la dignità degli immigrati e i principi della nostra Costituzione”. Si è ritrovata coperta di insulti su Facebook da parte di utenti che gridano “vergogna”, augurandole di “trovare tre nigeriani per strada la sera” a darle una bella lezione. La “colpa” di Annalisa Pannarale, deputata Sel, è quella di essere prima firmataria di un’interrogazione parlamentare in cui si chiede al Ministero dell’Interno di valutare la chiusura del sito internet Tutti i crimini degli immigrati, sito che raccoglie esclusivamente notizie di reati (veri o presunti) che abbiano come protagonisti gli immigrati.
Dal giorno dell’interrogazione sul profilo Facebook della deputata sono comparsi messaggi di odio, minacce e insulti di ogni genere. Post a cui la deputata ha deciso di non rispondere. “C’è una violenza in quelle parole che è disarmante. È la spia di un clima terribile che trova nei social network una valvola si sfogo. Io però non mi fermo, di certo non mi faccio intimorire da queste minacce”.
Secondo i deputati di Sel che hanno presentato l’interrogazione, il sito in questione fornisce un’immagine degli immigrati completamente lesiva della dignità personale. “È anche per questo – spiega Pannarale – che non volevamo dare pubblicità all’interrogazione: volevamo che la Polizia Postale agisse per mettere fine a una pagina web che esiste in aperta violazione ai principi stessi della nostra Carta Costituzionale”.
In poco tempo, però, la notizia dell’interrogazione parlamentare è rimbalzata dalla pagina Facebook di Forza Nuova a blog di destra come Identità.com, scatenando la rabbia dei militanti. Una rabbia che ben presto si è trasferita sul profilo Facebook di Pannarale, con “commenti irripetibili, che in alcuni casi non ho potuto che cancellare - racconta - per evitare che qualcuno dei miei amici si sentisse in dovere di rispondere”.
“Ci tengo a dire che non mi fermerò di fronte a queste minacce. Noi deputati di Sel riteniamo che quel sito abbia l’esito potenziale di incitare all’odio razziale e alla discriminazione”, aggiunge. “È una vergogna che sia online. Un conto è la libertà d’espressione, un altro è diffondere materiale lesivo della dignità delle persone e incitare all'odio. Quanto agli insulti sui social network, rimango sempre attonita di fronte a tanta violenza verbale. Ma è un fatto che mi convince ancora di più della necessità di non chiudere gli occhi di fronte a usi della rete che violano le leggi e il rispetto delle persone”.
Huffington Post
28 05 2013
di Celeste Costantino
Oggi pomeriggio voteremo alla Camera il ddl di ratifica della Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Ieri una bella discussione in Aula è stata purtroppo rovinata dall'assenteismo di moltissimi colleghi e da sterili polemiche tra M5s e l'ex ministro Mara Carfagna.
Eppure il tema del contrasto al femminicidio non meritava un'aula semideserta. Non la meritava nemmeno Fabiana, sedici anni, ennesima vittima della violenza maschile: accoltellata e bruciata viva da un suo coetaneo a Corigliano Calabro. Per lei, prima della discussione della ratifica, abbiamo iniziato con un minuto di silenzio. E la Camera sembrava più silenziosa di altre volte. La presidente della Camera Boldrini non ha potuto che mostrarsi dispiaciuta per le tante assenze nell'emiciclo. Ma la discussione è cominciata: un confronto maturo, lucido e responsabile. Sebbene tanti deputati l'abbiano perso.
Quello che è accaduto a Corigliano - che alcuni giornali continuano a titolare colpevolmente "dramma della gelosia" - non è diverso da ciò che si consuma quotidianamente: quello che cambia ogni giorno è solo il nome, l'età, la provenienza geografica, lo stato sociale della vittima e del carnefice. Perché purtroppo quando pronunciamo la parola "femminicidio" ci riferiamo proprio alle tante Fabiane di questo Paese.
Troppo non è abbastanza. La Convenzione, che l'Italia si appresta a ratificare, sottolinea la necessità di iniziare un percorso culturale che parta dallo sguardo sociale sulle donne. Parta cioè dalla decostruzione di quell'idea per cui tutto dipende dai nostri comportamenti.
C'è ancora chi pensa che se fossimo donne ubbidienti e caste forse gli uomini non sarebbero così violenti: come se una prostituta invece meritasse di essere violentata, picchiata o uccisa. La verità è che "Troppo non è mai abbastanza", come ci ha raccontato Ulli Lust, facendoci vergognare del nostro Paese.
Donne pensate e immaginate come oggetti di proprietà, come cose da possedere. E più vivono condizioni di precarietà economica e sociale e più facile diventa la reificazione. Che c'è di meglio per esempio delle donne migranti? Badanti sequestrate dentro le case degli anziani che accudiscono. Famiglie italiane che pensano che pagando un lavoro comprano la vita di queste donne.
Ho intrapreso un viaggio per i centri antiviolenza del nostro Paese. L'ho voluto chiamare #RestiamoVive. La prima tappa è stata proprio a Cosenza al Centro Roberta Lanzino a pochi passi da Corigliano. Quel Centro qualche anno fa è stato costretto a chiudere la casa rifugio per donne maltrattate per mancanza di fondi. E sempre in questo viaggio al Centro Ester Scardaccione di Potenza ho ascoltato, tra le altre, le testimonianze di tante donne straniere a cui per lavorare veniva chiesto anche di accettare clausole non scritte come far godere sessualmente il malato o un parente vicino.
Decostruire modelli e stereotipi. Bisogna avere la capacità di ripensare un nuovo concetto di cittadinanza, per tutti coloro che nascono e vivono in Italia. Ed ecco perché un ruolo centrale in questo percorso lo rivestono la scuola e l'università, i mezzi di comunicazione, l'informazione. La Convenzione di Istanbul, al Capitolo III (dall'art. 12 all'articolo 17), parla proprio dell'importanza, per esempio, dell'insegnamento dell'educazione sentimentale, della formazione all'affettività per far sì che i bambini non seguano quelli che in tutti questi anni sono stati spacciati come elementi innati e che invece sono soltanto le costruzioni sociali e culturali del maschile e del femminile.
Bisogna mettersi dalla parte di tutte le bambine e di tutti i bambini. Un accesso alla scuola libero, pubblico e laico come ha stabilito il referendum a Bologna. In cui restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di autodeterminarsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso a cui appartiene.
Si deve ripartire da un'ammissione di colpevolezza da parte della politica, dall'atteggiamento miope di chi in questi anni ha preferito parlare di "sicurezza" e convocare Consigli dei Ministri d'urgenza quando era del tutto evidente che l'emergenza fosse strutturata e radicata. Da chi utilizza il corpo delle donne per portare aventi della propaganda razzista e moralista che non contrasta ma aumenta l'odio nel Paese.
Abuso mediatico del corpo femminile. Tra qualche giorno compierò 34 anni. Sono nata nel 1979, sono figlia della tv commerciale, mi sono imbevuta nel corso della mia vita di cartoni animati con principesse e streghe, telefilm americani con papà a lavoro e mamme a fare biscotti, programmi come "Non è la Rai". Sognavo da adolescente di essere bella come quelle ragazze e quindi lungi da me uno sguardo giudicante o bigotto nei confronti di chi investe sulle propria fisicità e sul mondo dello spettacolo. Ma oggi c'è un vero e proprio abuso mediatico del corpo femminile che viene associato a qualsiasi prodotto da reclamizzare fino ad arrivare addirittura a inscenare un femminicidio per pubblicizzare un panno per la polvere.
Faccio parte di quella generazione che ha ereditato dal movimento delle donne il concetto di libertà e di autodeterminazione e tanto altro ancora. E pensavo ingenuamente che quei concetti e quei diritti nessuno li avrebbe più messi in discussione. Oggi invece di parlare della precarietà come tratto della mia generazione - che figli non ne fa più perché non è neanche nelle condizioni di poterli fare - devo ancora stare qui a difendere la legge 194 dagli obiettori di coscienza e dai movimenti pro life spalleggiati da corpuscoli politici fanatici e anacronistici. E a rabbrividire sui dati dell'aborto clandestino.
Con la ratifica a Istanbul rinunciamo a tutto questo e proviamo finalmente a ridare dignità a Fabiana, a tutte le vittime, a tutte le donne e gli uomini di questo Paese.
Huffington Post
27 05 2013
Coraggiosa schietta e bella, oltre che drammatica, la lettera che Davide, gay a 17 anni, ha scritto su Repubblica qualche giorno fa. Davide ha affermato un diritto inalienabile: anch'io ho il diritto di esistere e di amare. Nessuno, men che meno lo Stato, può negare o restringere questo diritto.
A meno che l'indifferenza non abbia già corroso la nostra anima, o che l'ideologia religiosa o politica non ci abbia già reso del tutto cechi all'esperienza vitale dell'altro, non è possibile non essere scossi dal nostro torpore dalle frasi di un adolescente, come quando scrive:
Io sono gay, ho 17 anni e questa lettera è la mia ultima alternativa al suicidio in una società troglodita, in un mondo che non mi accetta sebbene io sia nato così.
Una lettura in chiave esclusivamente compassionevole della lettera-denuncia di Davide sarebbe però limitante, perché perderemmo l'opportunità di vedere nella sua esperienza anche un riflesso della nostra società, delle sue sfide, dei suoi limiti, ma anche delle sue opportunità.
Confidandoci la sua esperienza come gay, Davide ci rende coscienti di come la nostra sia una cultura logo-centrica, che produce e riproduce la realtà in termini binari definendo per sé stessa ciò che è bene e ciò che è male, adottando ciò che è buono, e dislocando ciò che definisce come cattivo. Quando Davide scrive che "non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali", evidenzia la esperienza di chi, perché omosessuale, viene dislocato, marginalizzato ed escluso dal paradigma dominante dell'eterosessualità, al punto da sentirsi "sfortunato". Davide non dovrebbe sentirsi sfortunato a causa del suo orientamento sessuale. L'omosessualità infatti non è una scelta o un capriccio, ma una verità a cui non si può che rispondere - come fa Davide - nella ricerca di una propria coerenza di identità di genere. Ma se si sente sfortunato, è per via della realtà culturale che lo circonda e che lo definisce come figlio di un Dio minore.
Ecco allora che la lettera di Davide, è anche una lettera politica, perché ci invita a scegliere un percorso e costruire una realtà che si ponga come terza, capace cioè di costruire inclusione e di attribuire pari dignità alle persone umane, al di là del loro orientamento sessuale.
Ma mi sembra che Davide con la sua lettera ci fa anche un'altra provocazione, perché la sua richiesta di essere riconosciuto pienamente come persona, non è estranea alla crisi che il nostro paese vive e alla ricerca di una soluzione di fondo. Infatti, questo giovane gay ci da l'opportunità di comprendere che è approfondendo la nostra democrazia che possiamo dare un colpo di ali al nostro paese. È garantendo più inclusione, e non ripiegandoci su noi stessi, che come paese ci riscopriamo, ci reinventiamo e così ridiventiamo.
Permettetemi qui di citare un consigliere provinciale del Pd del Trentino Alto-Adige, Mattia Civico, che è pure mio fratello, perché è stato lui, durante una passeggiata a New York un paio di mesi fa, a suggerirmi la stretta relazione che esiste tra soluzione della crisi ed espansione dei diritti. E' un concetto che il consigliere Civico ha affermato durante il dibattito per la legge finanziaria lo scorso dicembre quando ha sottolineato che l'esclusione dell'altro per qualsiasi ragione (razza, religione o orientamento sessuale) non solo umilia la dignità delle persone, "ma mette anche un freno alla crescita del nostro sistema complessivo, negando alla nostra intera comunità una prospettiva di futuro".
Del resto, l'Italia ha già dato prova di questa capacità nel passato. Nel 1946, in pieno dopo-guerra, con un Paese in ginocchio, in un momento di massima difficoltà, abbiamo avuto la capacità di riconoscere il diritto di voto alle donne. E forse non è un caso, che il Presidente della Repubblica, nel pieno dell'attuale crisi, abbia posto il tema della cittadinanza da riconoscere ai bambini che nascono in Italia da genitori stranieri.
Il diritto degli omosessuali di potersi amare, è oggi la grande frontiera dei diritti civili. È una cartina di tornasole che misurerà la qualità della nostra democrazia ed il grado di civiltà raggiunto. In questo senso, la lettera della Presidente della Camera Boldrini, così come le dichiarazioni di alcune esponenti del Pdl, mi sono sembrate un segno di speranza, oltre che una risposta opportuna e necessaria alle parole di Davide. Perché dalla crisi si esce con più cittadinanza e con un senso più ampio e inclusivo di comunità. Questo ci ha ricordato Davide con la sua lettera, e con il coraggio della sua esperienza.