Il Fatto Quotidiano
12 12 2014
Zero euro nella legge di stabilità e il programma nazionale contro la tratta degli esseri umani rischia di essere cancellato con un colpo di spugna. Già da gennaio. Promosso finora dal Dipartimento Pari opportunità, subirà una sostanziale abolizione. A cascata, saranno depennati i progetti locali che si sono inseriti in quel solco. A denunciarlo è la Regione Puglia, che dovrà dire addio al suo piano “Città Invisibili”, nome di calviniana memoria.
La prospettiva è che ritorni il buio nei luoghi a più alta concentrazione di prostitute, persone dedite all’accattonaggio e lavoratori in nero, tutti spremuti come limoni dalla criminalità. Lo dicono le denunce delle stesse vittime, lo dicono le indagini avviate dalla Procure. Per sette anni, le unità di strada attivate con i progetti anti-sfruttamento sono state spesso l’unico presidio per provare ad arginare gli appetiti mafiosi sulle fragilità più estreme. Un pronto soccorso sociale destinato ora al tramonto, per la mancata previsione di una voce di spesa di poco più di 7 milioni di euro per tutto il territorio nazionale. “Sono spiccioli. In Puglia, il costo totale, cofinanziato dalla Regione, si aggira sui 250mila euro. È assurdo che non si riescano a trovare quei fondi proprio mentre esplode il fenomeno tratta e invece, solo per fare un esempio, il senatore Azzolini infila nella legge di stabilità una posta di 10 milioni di euro per il porto di Molfetta, per un’opera in odore di corruzione. Daremo battaglia”. A parlare è Guglielmo Minervini, assessore regionale alla Trasparenza e Politiche giovanili. Al governo Renzi si chiede il ripristino delle risorse, ma al momento sul tavolo c’è solo una vaga promessa di proroga per sei mesi.
È l’ultimo colpo dopo la recente chiusura dell’ufficio tratta nazionale, la progressiva smobilitazione della struttura ministeriale che se ne occupava, l’azzoppamento del sistema di supporto alle associazioni in trincea, che tra il 2013 e il 2014 hanno subito la sforbiciata di 5 milioni di euro al loro budget. Lo aveva ribadito, il 22 settembre scorso, il rapporto del Greta, il gruppo di esperti sull’azione contro la tratta di esseri umani voluto dal Consiglio d’Europa: l’Italia presta “insufficiente attenzione” al problema e, per di più, non si è dotata di un piano nazionale ad hoc e degli strumenti normativi necessari.
Le ripercussioni si faranno sentire, probabilmente, già fra venti giorni. E rischia di sprofondare ancora di più quell’universo dei sommersi fatto di prostitute taglieggiate dal pizzo della protezione, 150 euro al giorno se lavorano in strada, 300 per chi ha il privilegio di ricevere in casa. Storie raggelanti di ragazze sfruttate, avvicinate dai volontari attraverso la distribuzione di materiale informativo, bibite e profilattici. Da lì, l’avvio del dialogo e l’emergere dei bisogni, come quello delle visite ginecologiche, ma solo per le donne di nazionalità rumena e nigeriana. Con le colombiane e domenicane è più difficoltoso instaurare un contatto: turnano troppo spesso, ogni due settimane, e lavorano in strutture prefabbricate e roulotte posizionate lungo le complanari, sotto il controllo diretto dei loro capi.
Sono state 187 quelle che si sono rivolte agli operatori, solo tra Bari e Taranto, il doppio rispetto all’anno precedente. Andrà ad affondare ancora di più anche quel mondo finora ignoto fatto di sessantenni con disagio psichico o fisico, prelevati dai Paesi d’origine e arruolati accanto ai semafori, a chiedere l’elemosina, in cambio di un pasto al giorno, fenomeno che in terra pugliese è stato portato a galla proprio nell’ambito di “Città invisibili”.
E poi ci sono i lavoratori stagionali, quelli impiegati nella raccolta dei pomodori e delle olive. Quest’anno, solo ad Andria, erano in 400 tra marocchini, tunisini, sudanesi e senegalesi, ingaggiati per meno di venti euro al giorno: è l’arcinota piaga degli abusi nelle campagne, da alleviare con le scorte di indumenti e generi alimentari, con le corse in ospedale, con gli interventi per sedare le risse e, purtroppo, anche con i rimpatri delle salme, come è successo per sei giovani magrebini travolti dalle auto in corsa, al buio, mentre facevano ritorno nei casolari abbandonati. È una rete di servizi di orientamento, consulenza, pronto intervento, mediazione, destinata a scivolare nel dimenticatoio e un’accoglienza, quella nelle strutture protette, che andrà a sbattere contro porte chiuse.
Tiziana Colluto
L’Espresso
15 10 2014
Dieci deputati hanno presentato due interrogazioni parlamentari sul caso delle donne rumene abusate nelle serre del ragusano. La vicenda è stata portata alla luce da un' inchiesta pubblicata qualche settimana fa sul sito dell'Espresso. Gli esponenti di Sel (Costantino, Palazzotto, Duranti, Bordo, Ricciatti, Pannarale) si rivolgono al ministro della Salute, a quello del Lavoro e dell’Interno: occorre «intervenire affinché ogni presidio ospedaliero sia in grado di garantire la possibilità di abortire alle donne» vittime di violenza. Quattro onorevoli del Pd (Agostini, Lenzi, Pollastrini, Albanella), invece, chiedono ai ministri competenti «quali misure ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne».
Cinquemila donne lavorano nelle serre della provincia siciliana. Vivono segregate in campagna. Spesso con i figli piccoli. Nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale. Una realtà fatta di aborti, “festini” e ipocrisia. Dove tutti sanno e nessuno parla.
Il caso è stato citato anche durante un intervento alla Camera dell’onorevole Celeste Costantino: «Si devono fare violentare come e quando pare ai [padroni] e siccome mettere un preservativo è cosa fastidiosa meglio portarle a Modica ad abortire. Tanto mica sono, come piace dire alla Lega, “le nostre donne”, sono donne rumene...». Parole che hanno scatenato la contestazione dei deputati leghisti, placati solo dopo l’intervento del presidente dell’aula.
Intanto ieri una delegazione guidata dall’on. Erasmo Palazzotto ha incontrato il Prefetto di Ragusa Annunziato Vardè. «Davanti ad un fenomeno di tali dimensioni la risposta non può essere meramente di natura repressiva», ha detto il deputato di Sel. «Serve un’azione più ampia che coinvolga tutti i soggetti interessati, comprese le organizzazioni dei produttori, che devono essere chiamate a fare la loro parte per porre fine a questa situazione». Il primo risultato concreto è un tavolo permanente di confronto per stipulare un protocollo d’intesa tra le parti coinvolte.
Dopo la nostra inchiesta sulle violenze sessuali nelle campagne ragusane, il territorio si mobilita. Padre Beniamino: “Mi accusano di rovinare il paese, ma non posso tacere”. Le aziende si difendono. Troppi sapevano e hanno taciuto. Ci sono denunce di donne che risalgono a quattro anni fa. Cadute nel vuoto
Anche le principali testate e la televisione rumena si stanno interessando del caso, emerso grazie all’attività della cooperativa Proxima che opera sul territorio. Paradossalmente, però, quel progetto anti-tratta rischia di non essere rifinanziato. Come tutti gli altri a livello nazionale.
«Questo episodio dimostra ancora che le vittime di tratta trovano la forza di denunciare grazie ai programmi dell’art.18», dichiara all’Espresso Andrea Morniroli, portavoce della piattaforma antitratta . «Con i mediatori culturali scatta il coraggio di denunciare. Parliamo di 30mila persone sottratte al traffico, spendendo quei 10 milioni di euro che ora sono stati tagliati. Sono risultati strabilianti sia per il contrasto al traffico che per la salvaguardia dei diritti umani. Per ogni vittima presa in carico, abbiamo sottratto 60mila euro l’anno alle organizzazioni criminali. Un danno enorme per i trafficanti. Ma anche territori più sicuri per le comunità».