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22 12 2014
GIOVANNI PREVIDI
Sotto l'alberoFenomenologia dell'acquirente di libri, personaggio sempre più raro nelle librerie italiane. Un'annata difficile raccontata da un libraio. E alcuni consigli per gli acquisti per uomini spaesati in vista del Natale
L'autore è un libraio di Bologna.
Mettiamo che un sondaggista telefoni in una libreria e inviti a riferire che anno sia stato il 2014. Risposta: l’anno della misteriosa scomparsa del lettore maschio.
Per verificare che non si trattasse di un’impressione personale, ho tentato un micro-sondaggio con due colleghi (un uomo e una donna). Replica unanime: settanta per cento donne, trenta per cento uomini. Cinque metri più in là, al civico 15, ho notato invece moltiplicarsi l’affluenza maschile nell’ex-tabaccheria storica Otello diventata, da qualche mese, Bet Otello: una sala gioco e di scommesse sportive con la vetrina oscurata per tre quarti.
Nell’ultimo quarto di vetro libero, in alto, vedo sempre agitarsi creste ingellate, ciuffi brizzolati e pelate tirate a lucido, in un frenetico andirivieni tra i maxischermi con le quote, le dirette dagli ippodromi e il banco per la puntata. Fuori dal locale un cartello ricorda, con pennarelli colorati, le partite del giorno come il menù di una trattoria. Eccolo lì, dov’è finito, il nostro lettore.
Può anche darsi che si sia infilato nella porta sbagliata, che abbia confuso il civico 15 con il 19 e, ormai dentro, sia stato ipnotizzato dalle lucine delle slot-machine e ammaliato dal canto soave «1X! Under! Goal! No goal!» di lettori altrettanto sbadati. Addio libreria.
Solo in un paio di mesi l’anno regge l’equilibrio fra lettori e lettrici.
A luglio, quando il maschio, due passi più indietro, segue la scia della compagna che punta dritto le guide turistiche e le mappe. E in questo periodo di regali, quando si palesa solo, smarrito e appesantito dai primi assaggi di cotechino e Toblerone, alla disperata ricerca di un libro da affiancare al regalo vero comprato per la sua compagna. Probabilmente il fatto di entrare per la seconda volta in tutto l’anno in una libreria comincia a mordergli la coscienza, e prova a rimediare. Qui arriva il bello.
Il libraio è costretto a vestire i panni di Tiresia e a indovinare i gusti letterari dell’amata altrui a cominciare dalla lingua monosillabica dell’amato il quale, alla domanda generica «Cosa legge di solito sua moglie?», viene assalito dai sudori freddi e risponde «Eh!», poi lascia cadere le braccia lungo i fianchi e gli cadono le palpebre.
Ovviamente ci sono le eccezioni, qui tralasciate, di quei mammiferi occhialuti e silenziosi (due o tre a settimana?) che conoscono titolo, autore, editore a menadito, codice Isbn se necessario, e strisciano il bancomat di gusto uscendo con una borsa piena zeppa di libri. Gli altri, sono poca cosa.
Mai come quest’anno la libreria è sembrata così a misura di lettrice e per la lettrice. Se ne sono accorti molti potenti editori che da qualche tempo, però, hanno rincarato la dose imponendo sui banchi quintali di narrativa al profumo di coriandolo, zenzero, cannella e rosa di mezzanotte. Ai librai comincia a venire il mal di testa, come in profumeria, e forse anche al lettore.
Il 2014 è stato l’anno con il maggior numero di figure femminili in copertina: primi piani e mezzi busti ammiccanti, labbra che si mordicchiano, chiome fluenti scompigliate dal vento e via dicendo. Ambientazione prediletta: da Tiffany oppure, nuova moda, in una piccola libreria di Parigi, chiaro, a due passi dalla tour Eiffel. Non tutte le lettrici abboccano, questo è vero, figuriamoci però che voglia di leggere possa venire ai nostri amici di Bet Otello.
«Che esagerazione!» potrebbe dire qualcuno. Un po’ sì, ma venite in libreria e verificate.
Allora, dov’è finito il signor lettore? Dove va durante la pausa pranzo, il fine turno, il sabato pomeriggio, la domenica o quando è sorpreso dall’acquazzone?
Mosso da compassione per tale moria, ho chiesto a dieci lettrici di indicarmi il romanzo (i saggi dopo l’Epifania) che più le ha colpite quest’anno e che si sentirebbero di consigliare al loro uomo ideale. Infine, di affiancare al titolo un aggettivo che le descriva a bruciapelo, vista la naturale relazione tra chi si è e cosa si legge. Ne è uscita una piccola guida per i signori mariti, fidanzati, amanti e scapoli perché tornino a frequentare gli scaffali. Magari, anche solo per un flirt, tornerà loro la voglia di leggere.
Il catalogo è questo, dongiovanni: Viviane Élisabeth Fauville di Julia Deck (Adelphi) / pericolosa. Stoner di John Williams (Fazi) / intellettuale. Il cardellino di Donna Tartt (Rizzoli) / misteriosa. Open di Agassi (Einaudi) / istintiva. Una terra senza fine di Jo Lendle (Keller) / avventurosa. Il bambino che rubò il cavallo di Attila di Ivàn Repila (Sellerio) / viscerale. Lizzie di Shirley Jackson (Adelphi) / imprevedibile. L’amica geniale di Elena Ferrante (e/o) / fedele. La planata di Anne-Gine Goemans (Iperborea) / fantasiosa. La mia maledizione di Alessandro De Roma (Einaudi) / indipendente.
Forza, da bravi, scegliete un titolo in base all’aggettivo riferito alla donna che più amate, leggetelo e rendetevi presentabili. Il civico 19 è a due passi.
@giovprevidi
Il Manifesto
18 12 2014
"Berlusconi non l’aveva portato la cicogna», scrive Ida Dominijanni in conclusione del suo libro bello e complesso Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi (Ediesse, pp. 251, 14 euro) che sarà presentato domani 18 dicembre a Roma (con Maria Luisa Boccia, Laura Bazzicalupo e Mario Tronti, ore 17.30, Fondazione Basso via della Dogana Vecchia 5). Insomma, Berlusconi non era inevitabile, si sarebbero potute imboccare altre strade. Una verità semplice, quasi elementare eppure difficile da decifrare, come si è visto nei vent’anni in cui il proprietario di Mediaset è stato al centro della scena del nostro Paese. E come si ricava dalla lettura di questo saggio avvincente e stratificato, che fa della fine del leader che ha dominato la scena italiana un caso esemplare di storia politica, ben oltre la dimensione della cronaca e anche dei puntuali commenti con cui l’autrice ne ha accompagnato la vicende sulle pagine di questo giornale, per non parlare del registro ammiccante che ha imperversato per anni nei media italiani.
Berlusconi o della via italiana alla governance neoliberale, questa l’ottica attraverso la quale Dominijanni invita a leggere i vent’anni appena passati. Quindi non pura anomalia, non una democrazia malata nel contesto delle virtuose e risolte democrazie europee e in generale occidentali, secondo l’interpretazione cara a buona parte dell’opposizione all’ex-cavaliere, soprattutto alla sinistra moderata e radicale.
All’opposto, il caso estremo di una torsione possibile e praticabile della rappresentanza, della ridefinizione del rapporto tra chi elegge e chi viene eletto, deviazione considerata con grande preoccupazione nel contesto internazionale, come risulta dalla ricca bibliografia che accompagna il testo, esempio perverso di sostituzione della rappresentanza con la «presenza». Come se, nell’offrirsi in pasto in corpo e figura, per così dire, si mettesse in scena un rapporto diretto tra leader e rappresentati, senza mediazioni, cancellando istituzioni, regole, corpi intermedi. E non ci vuole molto a vedere che questo è esattamente ciò che avviene nelle democrazie, questo è quanto prosegue del berlusconismo, in Italia e in Europa, nelle nuove leadership populiste.
Per ricostruirne il quadro Ida Dominijanni si avvale di chiavi di lettura plurime. La più originale è, rispetto alla vulgata, una periodizzazione della vicenda italiana diversa da quella consueta, «che fissa l’origine del ventennio berlusconiano nel crollo del sistema politico della cosidetta Prima Repubblica nel ’92–93», all’epoca di mani pulite.
Per effettuare questo spostamento Dominijanni si riferisce con formula originale alla «congiuntura Sessantotto-femminismo», ovvero ai movimenti a cui fin dagli anni Settanta la politica ufficiale, e la sinistra in particolare, non hanno dato risposta, lasciando via libera all’instaurazione a partire dagli anni Ottanta dell’ideologia e delle pratiche governamentali neo-liberali. Originale in modo speciale è l’associare Sessantotto con il femminismo, movimento che è tuttora tenuto fuori della ricostruzioni correnti della storia italiana.
È questo l’asse che permette a Dominijanni un’interpretazione chiara dei fatti di cui tutt* siamo stat* partecipi, più o meno morbosi. È la congiuntura Sessantotto-femminismo che ha fatto saltare l’asse pubblico-privato, in una via che dal «vietato vietare» ha portato a «il privato è politico». Sono le donne che escono dal dominio patriarcale a far saltare i confini, a uscire dalla zona d’ombra della vita famigliare in cui sono relegate.
L’effetto è dirompente. Sono tre figure femminili a far saltare la costruzione berlusconiana. Ricostruisce Dominijanni: l’intellettuale (la politologa Sofia Ventura), la moglie (Veronica Lario), la prostituta (Patrizia D’Addario). Tre donne che parlano, che dicono in pubblico quello di cui il sistema patriarcale non si è mai curato, perché consegnato al silenzio del privato. A queste donne, le prime, se ne son poi aggiunte altre, che abbiamo imparato a conoscere per nome. Noemi Letizia, Ruby, quelle che tutti ormai chiamano le Olgettine.
inutile ricostruirne la cronaca, processi, condanne e assoluzioni dell’ex premier ancora ci accompagnano, sono il pendant del suo declino politico. Il punto dolente è che la sinistra, quella sinistra che ha tagliato con la «congiuntura Sessantotto-femminismo», insomma l’ampio fronte dell’opposizione a Berlusconi, ha rifiutato questa lettura.
Il privato è privato, è stato detto, quello che ciascuno fa a casa sua sono affari suoi. Senza comprendere che il centro della governance berlusconiana, il «trucco» come lo definisce Dominijanni, era il «virilismo virtuale», «ricostruzione artefatta di una potenza perduta», punto nel quale ha preso corpo il primo importante discorso pubblico da parte di uomini sulle maschere della virilità. Un trucco che si perpetua anche nel nuovo leader, Matteo Renzi, in altra forma, ovvero: non il noi possiamo, ma «tu sai fingere di potere quello che noi non possiamo».
Senza ascoltare il femminismo, sostiene Dominijanni in pagine molto efficaci, la sinistra, o meglio gli uomini della sinistra, si sono condannati all’autoreferenzialità, incapaci di comprendere quanto avviene, nell’impossibilità di trovare l’exit strategy dalla crisi. Eppure le donne sono parte del gioco, argomenta puntualmente l’autrice del libro. Che sulla libertà delle donne, e l’esito della parola libertà diventata appannaggio della destra, costruisce un’altra delle sue illuminanti chiavi interpretative. Fare del proprio corpo e della bellezza una vera propria arma della politica e del potere è oggetto non solo di dibattito politico tra donne, ma diventa uno strumento di politiche e di governance, come mostra il governo Renzi. Che, come Berlusconi, le usa, ma in una forma desessualizzata moderata e tranquillizzante, nota Domininjanni.
Perché anche il genere, nella presunta libertà performativa del neoliberalismo, è un trucco. Da smascherare.
Bia Sarasini