Huffington Post
19 12 2013
Aveva pubblicato una foto in cui baciava un ragazzo a Toronto durante la manifestazione di protesta contro la scelta della Corte suprema indiana di ripristinare il reato di omosessualità. Ma è stato censurato da Facebook.
Kanwar Saini, produttore musicale trentaduenne di Montreal - aveva pubblicato il post sulla sua pagina 'Sikh Knowledge' scrivendo nella didascalia: "L'altra sera mio zio mi ha detto che se avessero saputo della mia omosessualità prima dei 20 anni mi avrebbero ucciso. Mi ha anche detto che sono gay perchè sono stato molestato da piccolo e che sono sulla cattiva strada". Di tutta risposta Saini dice di aver riso: "Mio zio proviene da un luogo in cui le minoranze vengono criminalizzate. Sono orgoglioso di essere illegale", ha continuato a scrivere nella didascalia.
La foto, con quasi 1500 likes e più di 100 condivisioni, ha scatenato un acceso dibattito sull'omosessualità, che non è piaciuto molto al team di Facebook. Poche ore dopo la pubblicazione, un messaggio avvisa Saini che la foto sarebbe stata rimossa perchè "contraria alle norme e alle condizioni" del social e che l'account sarebbe stato sospeso per 12 ore.
Ma Saini ha reagito usando la sua bacheca per rivolgersi direttamente al social: "Vi rendete conto di quanto il mio post fosse importante? Gli omofobi sanno essere odiosi e violenti. Perchè non rimuovete i loro post?". Contro la "censura" di Facebook si è mosso allora il popolo della rete che ha infuocato il dibattito e condiviso la foto su Twitter, Tumblr e Instagram.
La storia è raccontata anche dal sito Buzzfeed, che ha ricevuto le scuse di Matt Steinfeld, responsabile della comunicazione per il social network: "La foto è stata rimossa per errore e sarà ripristinata. Ci scusiamo per l'inconveniente".
"Sihk Knowlge 1 - Facebook 0", ha commentato Kanwar Saini.
Femminismo a Sud
28 11 2013
Si adoperano cecchine d’ordinanza che augurano perfino la morte ai tuoi parenti pur di esibire il loro disprezzo e consegnarti a un branco di cyberbull* che per due secondi possono trarre giovamento dal pestaggio virtuale e riderne di gusto.
Si usano svariati blog, capitanati spesso anche da uomini, patriarchi che mal sopportano davvero l’autodeterminazione delle donne e che decisamente non digeriscono che qualcuno la pensi in modo diverso da loro. Si uniscono in rassegna delle perfide comari che nutrono antipatia verso quella più visibile, perché devono distruggerla, la devono abbattere, devono tagliarle i capelli e farla apparire brutta, pessima, almeno il più possibile. Si sazieranno quando la vedranno sanguinare. Si sazieranno, come iene, quando potranno spolpare il suo cadavere.
L’armata del Bene ritiene di perseguire cause giuste, un po’ come gli antiabortisti, che quando toccano altissime punte di odio, dopo averne istigato ossessivamente a propria volta, non hanno scrupoli. Non ti vedono più come una persona. Di te guardano solo al fatto che devono sparare per farti tacere. Sparare per farti smettere di esistere. Minare il tuo equilibrio. Perseguitarti per poi darti della vittimista e carnefice quando ti difendi.
L’armata del Bene va in giro per pagine facebook, siti e blog a correggere, con le spranghe virtuali, la narrazione altrui. Suppongono di essere superiori ed aver visto la luce, pertanto, avvolti da quell’aurea mistica, pensano di aver diritto di rompere le ovaie a chiunque non la pensi come loro, prima tentando di evangelizzare e moralizzare, poi di disprezzare con status facebook ad hoc se tu non gli dai retta, e infine con il costante impegno a cercare o fabbricare prove che dimostrino quanto il Male risieda nei loro nemici.
L’armata del Bene terrorizza gli altri e le altre disseminando panico morale circa l’esistenza di fenomeni bui che mieterebbero vittime laddove esistono donne che vittime non dichiarano neppure di essere. Ma, per dirla con l’attuale governo, costoro ritengono che le donne vadano salvate da se stesse e dunque chissenefotte dell’autodeterminazione e del riconoscimento dei soggetti. Per dire: se sono prostitute e lo fanno per scelta bisogna imporre loro che il mestiere sia vietato. Per salvarle, ovviamente. E se non sono d’accordo bisogna psichiatrizzarle, tutte, affinché maturino una consapevolezza che è pari a quella che ha illuminato l’esistenza dell’armata del Bene.
L’armata del Bene non tollera il pensiero autonomo. Ti osserva, co-stan-te-men-te, sottolinea ogni sbavatura e dichiarazione indipendente, perché il tuo cervello deve andare a passo loro. Non un pensiero in più e neppure in meno. Il pensiero unico è quello che perseguono. Se non fai così allora ti diffamano porta a porta. Si recano personalmente presso altri portando con se’ fonti che loro stessi hanno costruito per dimostrare la loro assoluta buona fede. Si chiama mistificazione e disonestà intellettuale.
L’armata del Bene gode delle simpatie della destra che tutela le “nostre” donne, quelle delle polizie, che pari sono nella mancata considerazione di quel che resta dell’indipendenza delle donne. Quelle che ragionano per conto proprio e non sono unite ai branchi, si sa, sono cagne sciolte e le cagne sciolte bisogna prima o poi abbatterle. Le cagne devono avere un padrone o una padrona. Diversamente scatta l’accalappiacagne collettivo. L’armata del Bene, per l’appunto.
Infine, l’armata del Bene, giacché non molla l’osso, non ha nulla di umano in verità. Quando ti parla tenta solo di scovare dettagli per metterti in cattiva luce. Si infiltra nella tua esistenza cercando di carpirti dei segreti e non trovandone alcuno distorcerà menzogne che poi userà contro di te. Il punto è che quelle armate noi le conosciamo bene. Si chiamano fanatici, fascisti, neofondamentalisti, infami e squadristi e qualunque sia la causa per la quale dicono di lottare tali restano. Rancorosi. Crudeli. Ossessivi. Intolleranti nei confronti della diversità. E soli. Dopotutto.
La Stampa
25 10 2013
Un commissariato aperto 24 ore su 24 per dare la caccia a cyber-bulli, hacker, pedofili e truffatori svelti con il mouse. La polizia sbarca sui social network ed entra nei computer degli italiani. Dietro l’ultimo restyling del sito ufficiale, infatti, si nasconde un cambio di passo: dal poliziotto di strada a quello di Facebook. L’obiettivo è prevenire il cyber-crimine, che in Italia fa 22mila vittime al giorno.
«Il servizio è pensato soprattutto per i ragazzi - dice Marcovalerio Cervellini, responsabile dei progetti educativi della Polizia Postale e delle Comunicazioni -. Scopriamo che i nostri figli sono su Facebook solo quando abbiamo ricevuto la loro richiesta di amicizia. Dobbiamo proteggerli, per noi intervenire dopo un abuso è una sconfitta».
Gli uomini coordinati da Alessandra Belardini hanno stampato in mente il caso di Carolina, la ragazza di Novara che si è tolta la vita dopo le minacce dei bulli. La rissa scoppiata a Bologna, nata sul sito Ask e degenerata ai giardini. E le migliaia di file pedo-pornografici sequestrati a Trapani, con otto arresti e 109 denunce. Il direttore della Polizia Postale Apruzzese aveva annunciato la svolta mesi fa. Da oggi debutta uno spazio che, spiega, «rappresenta la presenza fisica della polizia in questo ambiente virtuale».
Alla centrale di Roma, una spianata di computer collegati ai grandi monitor appesi alle pareti, lavorano in 17. Sono smanettoni, esperti di informatica. Si alternano davanti ai siti e alle pagine dei forum, filtrano le segnalazioni che provengono dagli utenti.
«Il picco delle segnalazioni arriva la notte», spiega Cervellini. Anche nei commenti ai post sul social network. Quando gli investigatori si imbattono in una ipotesi di reato girano la pratica alla Postale, attiva sul territorio con 20 compartimenti e 80 sezioni speciali. «Il bisogno di sicurezza cambia nelle diverse fasi storiche: la sicurezza prima di internet è diversa dalla sicurezza che va garantita oggi» ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano all’inaugurazione del servizio.
Anche gli spunti per le indagini passano dal Web. Con i giganti dell’hi-tech che gestiscono i portali, Facebook in primis, c’è un canale privilegiato. Su segnalazione italiana, per la prima volta, il sito di Zuckerberg ha aperto i server centrali. Ora i tentativi di adescamento svelati dalle chat sono nelle mani dei magistrati milanesi. Ma quali sono i rischi più concreti per chi naviga? «Il pericolo numero 1 arriva dai social e dal mobile. Poi ci sono la navigazione e le mail - è la tesi di Raoul Chiesa, hacker etico -. L’attacco più diffuso resta il phishing, che dalla mail si è spostato ai social. Su queste piattaforme le connessioni sono maggiori e non c’è la stessa attenzione riservata alla mail».
Giuseppe Bottero