Dinamo Press
23 09 2014
Il governo Renzi accelera sul Jobs Act, e a seguito dello Strike Meeting nasce a Roma il Laboratorio per lo sciopero sociale presso Officine Zero il prossimo 26 settembre alle ore 17.
Leggi l'appello finale dello Strike Meeting: Batte il tempo dello sciopero sociale
Come previsto in primavera, dopo l'approvazione del DL Poletti, sul Jobs Act il governo Renzi sta accelerando. Già da tempo, infatti, era chiara la natura dello scambio: la BCE sostiene politiche monetarie (debolmente) espansive, Bruxelles favorisce (?) maggiore flessibilità sui bilanci, ma i PIIGS, più nel dettaglio l'Italia, devono riformare il mercato del lavoro. La Legge delega, che entro i primi giorni di ottobre dovrebbe essere approvata dal Senato, potrebbe essere sostituita da un decreto. Una misura legislativa d'urgenza per cancellare lo Statuto dei lavoratori e rivedere gli ammortizzatori sociali nel senso dei sistemi di workfare nordeuropei. E avere poi qualche denaro in più (libero dalla stretta del Fiscal Compact) per la Legge di stabilità.
Lo scontro dunque si radicalizza, o almeno si accelera, la scommessa vinta dello Strike Meeting deve trasformarsi in processo reale, articolato nei territori, capace di fare dello sciopero sociale di 24 ore una grande, non l'unica, occasione di lotta. I fatti delle ultime ore, la polemica tra Renzi e sindacati confederali in particolar modo, ci consegnano una sfida tutt'altro che semplice. La retorica del premier («difenderemo i diritti dei senza diritti»; «dove era la CGIL quando si precarizzava un'intera generazione?», ecc.) e la sostanza del provvedimento legislativo ci impongono un cambio di passo, dal punto di vista del discorso programmatico, delle forme organizzative e di lotta, della definizione di social media efficaci.
Fondamentale prendere sul serio le proposte avanzate dallo Strike Meeting e avviare il lavoro impegnativo che ci attenderà nelle prossime settimane, verso lo sciopero sociale, che vogliamo generale e precario, metropolitano e meticcio, della rete e della formazione, biopolitico e del genere. Per questo, il 26 settembre alle ore 17, presso Officine Zero, invitiamo tutte e tutti a partecipare all'assemblea costituente del Laboratorio romano per lo sciopero sociale. E auspichiamo che anche in altre realtà metropolitane si proceda nella stessa direzione.
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21 09 2014
ANTONELLA PALMIERI
Effetti collateraliI lavoratori non si presentano per paura del virus. Le frontiere sbarrano le porte al commercio. La quarantena isola dal mercato interi villaggi. Il conto si fa sempre più pesante e tra le vittime della emergenza sanitaria ci sono anche Paesi lontanissimi dal focolaio dell'epidemia.
L'ebola da mesi è una catastrofe umanitaria e presto potrebbe diventare anche un disastro economico. Non solo per i Paesi colpiti dal virus, ma anche per quelli vicini. L'allarme è stato lanciato dalla Banca mondiale che ha parlato di danni per 800 milioni di dollari che potrebbero subire Sierra Leone, Liberia e Guinea. E i racconti che arrivano dai luoghi della crisi spiegano perché.
In Sierra Leone, ad esempio, alcuni proprietari terrieri da giorni denunciano l'assenza dei loro dipendenti, i quali hanno deciso di restare a casa non perché affetti da ebola ma per paura del contagio. “Il mio vicino di casa è morto di ebola – ha raccontato ai giornali locali un imprenditore – e loro hanno paura a lavorare qui perché dicono che potrei trasmettergli il virus semplicemente passandogli il denaro della loro paga”. Il suo non è certo un caso isolato. E le conseguenze sono automatiche. Meno produzione, calo delle vendite, commercio in stallo in tutti i Paesi colpiti dal virus.
Secondo le agenzie internazionali, il calo potrebbe toccare i 13 miliardi di dollari in termini di Pil reale, mentre le stime percentuali prevedono ancora complessivamente un tasso in crescita ma in misura inferiore a quella prevista alla fine dell'anno scorso. E mentre il numero dei morti ha superato quota 2.600 Barack Obama ha deciso l'invio di 3mila soldati in Africa occidentale che creeranno un quartier generale a Monrovia, in Liberia. Il personale militare non fornirà direttamente assistenza sanitaria alle migliaia di pazienti, ma aiuterà a coordinare gli sforzi degli Stati Uniti e di varie organizzazioni umanitarie internazionali per contenere l'epidemia i cui danni sono arrivati anche alla borsa di Londra.
La società britannica London Mining, con enormi interessi in Sierra Leone, Paese la cui economia è sostenuta al 20% dal settore minerario, ha visto le sue azioni crollare del 19% in pochi mesi a causa dell'ebola. Sin da giugno la multinazionale ha rimpatriato gran parte del personale, mentre la malattia e la paura del contagio ha ridotto il numero di lavoratori facendo calare la produzione del 22% con perdite per milioni di dollari.
Ma sono i rimpatri e le quarantene che stanno provocando più danni all'economia. Senza personale straniero nel Paese diminuiscono gli acquisti nei supermercati e nei ristoranti. I villaggi in quarantena lasciano i mercati senza acquirenti. Con le frontiere chiuse i commercianti in arrivo da altri Paesi non possono più vendere i loro prodotti. Il cibo scarseggia e i prezzi aumentano. Secondo la Fao il prezzo della manioca, prodotto base dell'alimentazione di molti di questi paesi, è salito del 150% al mercato di Monrovia, in Liberia. Non solo, da oltre un mese decine di compagnie aeree hanno sospeso i voli per i Paesi colpiti. Questo vuol dire riduzione dell'import-export nel lungo periodo e nel breve, casse più vuote per le stesse compagnie le quali hanno stimato una perdita di circa due miliardi di dollari al mese per lo stop dei voli.
E poi, immancabile, c'è il panico che moltiplica i già numerosi effetti negativi. In Corea fuori da alcuni bar sono spuntati cartelli con la scritta “vietato l'ingresso ad africani a causa del virus ebola” scatenando proteste intercontinentali. Un episodio che dà l'idea della paura del virus fra l'opinione pubblica a Seul e dintorni. La Korean Air ha sospeso i voli non solo per l'Africa occidentale ma anche per il Kenya, Paese che si trova a oltre 7mila chilometri dal focolaio dell'ebola e che ad oggi non ha avuto alcun caso registrato di questa malattia. Migliaia di turisti asiatici hanno cancellato le loro vacanze in Paesi che con l'ebola non c'entrano nulla come la Tanzania, l'Uganda o addirittura il Sudafrica.
In Angola nelle settimane scorse su Facebook è diventato virale un messaggio che metteva in guardia dalla frutta della Namibia. “Un caso di ebola in Namibia!! Non comprate la loro frutta e verdura”. L'Angola è un grande importatore di vegetali namibiani e il governo di Windhoek è stato costretto a smentire sui giornali la presenza di ebola nel Paese. “Il costo principale di questa tragica epidemia è in vite umane e sofferenze – ha dichiarato il presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim – ma i nostri risultati ci dicono che prima diminuiremo il livello di paura e di incertezza fra la gente, prima fermeremo l'impatto economico dell'ebola”.