Internazionale
08 01 2015
Oggi mi hanno dichiarato guerra. Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di dio e del profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto.
“Not in my name”, dice un famoso slogan, e oggi questo slogan lo sento mio come non mai. Sono stufa di essere associata a gente che uccide, massacra, stupra, decapita e piscia sui valori democratici in cui credo e lo fa per di più usando il nome della mia religione. Basta! Non dobbiamo più permettere (lo dico a me stessa, ai musulmani e a tutti) che usino il nome dell’islam per i loro loschi e schifosi traffici.
Vorrei che ogni imam in ogni moschea d’Europa lo dicesse forte e chiaro. Sono stufa di veder così sporcato il nome di una religione. Non è giusto. Come non è giusto veder vilipesi quei valori di convivenza e pace su cui è fondata l’Unione europea di cui sono cittadina. Sono stufa di chi non rispetta il diritto di ridere del prossimo. Stufa di vedere ogni giorno, da Parigi a Peshawar, scorrere sangue innocente. E ho già il voltastomaco per i vari xenofobi che aspettano al varco. So già che ci sarà qualcuno che userà questo attentato contro migranti e figli di migranti per qualche voto in più. C’è sempre qualche avvoltoio che si bea delle tragedie.
È così a ogni attentato.
A ogni disgrazia cresce il mio senso di ansia e di frustrazione. A ogni attentato vorrei urlare e far capire alla gente che l’islam non è roba di quei tizi con le barbe lunghe e con quei vestiti ridicoli. L’islam non è roba loro, l’islam è nostro, di noi che crediamo nella pace. Quelli sono solo caricature, vorrei dire. Si vestono così apposta per farvi paura. È tutto un piano, svegliamoci.
Per questo dico che mi hanno dichiarato guerra. Anzi, ci hanno dichiarato guerra.
Questo attentato non è solo un attacco alla libertà di espressione, ma è un attacco ai valori democratici che ci tengono insieme. L’Europa è formata da cittadini ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei e così via. Siamo in tanti e conviviamo. Certo il continente zoppica, la crisi è dura, ma siamo insieme ed è questo che conta. I killer professionisti e ben addestrati che hanno colpito Charlie Hebdo vogliono il caos. Vogliono un’Europa piena di paura, dove il cittadino sia nemico del suo prossimo. E in questo vanno a braccetto con l’estrema destra xenofoba. Tra nazisti si capiscono. Di fatto vogliono isolare i musulmani dal resto degli europei. Vogliono vederci soli e vulnerabili. Vogliono distruggere la convivenza che stiamo faticosamente costruendo insieme.
Trovo bellissimo che alla moschea di Roma alla fine del Ramadan, per l’Eid, ci siano a festeggiare con noi tanti cristiani ed ebrei. Ed è bello per me augurare agli amici cristiani buon Natale e agli amici ebrei happy Hanukkah. È bello farsi due risate con gli amici atei e ridere di tutto. Si può ridere di tutto, si deve. Ecco perché questo attentato di oggi è così pauroso. Fa male sapere che degli esseri umani siano stati uccisi da una mano vigliacca perché volevano solo far ridere, ma fa male anche capire il disegno che c’è dietro, ovvero una volontà di distruzione totale.
Una distruzione che sapeva chi e cosa colpire.
Niente è stato casuale. Sono stati spesi molti soldi da chi ha organizzato il massacro. Sono stati scelti uomini addestrati. È stato scelto un target, la redazione di un giornale satirico, che era sì un target simbolico, ma anche facile da attaccare. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli. D’altronde una dichiarazione di guerra lo è sempre. Chi ha compiuto questo attentato sa cosa produrrà. Sa il delirio che si sta preparando. Allora se siamo in guerra si deve cominciare a pensare come combatterla. In questi anni la teoria della guerra preventiva, dell’odio preventivo, delle disastrose campagne di Iraq e Afghanistan hanno creato solo più fondamentalismo.
Forse se si vuole vincere questa guerra contro il terrorismo l’Europa si dovrà affidare a quello che ha di più forte, ovvero i suoi valori. Chi ha ucciso sa che si scatenerà l’odio. Ora dovremmo non cascare in questa trappola. Ribadire quello che siamo: democratici. Ha ragione la scrittrice Helena Janeczek quando dice che liberté, égalité, fraternité è ancora il motto migliore per vincere la battaglia. E i musulmani europei ribadendo il “Not in my name” potranno essere l’asso nella manica della partita. L’Europa potrà fermare la barbarie solo se i suoi cittadini saranno uniti in quest’ora difficile.
Igiaba Scego
Il Manifesto
08 01 2015
Non solo libertà di stampa . Un crimine che non si può non definire fascista. I disastri dell'Occidente, con la Francia in prima linea dalla Libia al Mali e alla Siria, e i jihadisti di ritorno. Troppe le zone d'ombra
Scrivevamo di «crudeltà crescenti» concludendo il 2014 e non volevamo certo essere confermati nel giudizio, invece ecco che da Parigi si annuncia un 2015 altrettanto feroce e di sangue.
La strage terrorista nella sede di Charlie Hebdo, proprio durante la riunione di redazione, ci ferisce. L’uccisione a sangue freddo di un agente ferito, l’esecuzione di tanti giornalisti, del direttore Charbonnier (Charb) e di altri tre tra i più grandi vignettisti europei, Cabu, Tignous e Wolinski ci lascia sgomenti. Pensare che qualcuno, nel nome di Maometto, abbia voluto uccidere lo “sguaiato” George Wolinski, forse tra i più grandi satirici del mondo e che fa sicuramente parte della nostra formazione immaginaria dal ‘68, ci fa soltanto piangere. E ci riduce quasi al silenzio. Pur restando convinti che riusciremo a testimoniare questo avvenimento che non ha eguali, non con il solo sentimento di scoramento che rischia di sconfinare nella retorica, né con la tradizionale freddezza che usiamo per spiegare il fenomeno del terrorismo di matrice islamista-integralista.
No, stavolta non esitiamo a definire questo orrore come fascismo puro. Già lo Stato islamico al potere in Siria e in Iraq manifesta questa tendenza crudele punendo fisicamente o uccidendo in modo barbaro ogni diverso, ogni essere umano che per i propri comportamenti personali contraddice le regole di quelli che si sono autoproclamati i nuovi testimoni del profeta. È un insopportabile attacco non solo alla libertà di stampa e ai diritti occidentali — spesso vilipesi anche dai nostri governi — ma tout court al diritto di vivere. Un crimine quello di Parigi che intanto sembra fatto apposta per alimentare il protagonismo della destra nazionalista del Front National, il clima islamofobico già latente in tutta Europa e ormai più che evidente in Germania.
Siamo però altrettanto convinti che non sarà una pioggia di retorica a illuminare la scena del crimine che è stato commesso ieri per le strade di Parigi. Per il quale chiamano erroneamente in causa «cellule dormienti» o «lupi solitari» risvegliati in Francia (e in Europa) dall’imam integralista di turno che parla dal lontano Medio Oriente in guerra, come per altri attentati recenti in Francia e in Gran Bretagna. Al contrario oltre che di un attacco premeditato, si è trattato di un’azione “professionale” e fredda e “in perfetto parlare francese”, perché non è facile sparare con armi automatiche e tantomeno è facile uccidere con lo stile dell’esecuzione mirata dando ordini nella lingua d’appartenenza. O è manovalanza malavitosa oppure, più credibilmente, ci troviamo di fronte a miliziani che tornano dal fronte, cioè al tour operator terrorista della guerra in Siria e in Iraq. È stato Obama solo un mese fa a dichiarare che tra le fila del Califfato militano almeno 15mila occidentali, tanti gli americani e altrettanti quelli europei.
Se non si ha il coraggio di fare luce su questa zona d’ombra di connivenze criminali, non se ne viene fuori. Quei militanti islamisti occidentali, nel rifiuto completo dei valori occidentali, sono andati combattere ingrossando le fila dello Stato islamico, proprio nel periodo in cui molti paesi europei del fronte degli «Amici della Siria» si accorgevano che le armi, la logistica e l’addestramento da loro organizzati per destabilizzare il regime di Assad, erano finiti indiscriminatamente a tutta l’opposizione armata siriana, vale a dire anche alle frange più radicali come Al Nusra affiliata ad Al Qaeda.
Insomma, se non si viene a capo del disastro che ha visto la Francia in prima fila, prima contro la Libia di Gheddafi (ora a Derna e a Bengasi — la stessa che vide nel 2006 la rivolta contro la provocazione della t-shirt del ministro leghista Calderoli — c’è l’Emirato islamico e le due città sono il santuario politico-militare del Califfato); poi con l’intervento in Mali contro gli integralisti che si erano armati, come quelli siriani, grazie alla crisi libica; per continuare a intervenire dal Ciad in Libia contro gli stessi islamisti che Parigi aveva aiutato ad andare al governo a Tripoli; e ancora continuare a sostenere l’armamento e l’addestramento dei combattenti anti-Assad, e intanto fare trattati militari con le petromonarchie come l’Arabia saudita impegnata contro le proteste democratiche degli sciiti in Barhein e alla fine, dopo averlo incoraggiato, contro il dilagare dell’Isis in Iraq.
Non è satira purtroppo, è quello che è accaduto in questi tre anni e mezzo. A quasi quattordici anni dall’11 settembre 2001, il terrorismo di ritorno è il meno che ci possa accadere se non si sbroglia la matassa di questa schizofrenia occidentale.
Tommaso Di Francesco
Dinamo press
08 01 2015
L'attacco a Charlie Hebdo, "journal irresponsable", è un dramma terribile, un attacco diretto alla libertà d'espressione e di stampa, oltre che una tragedia che è costata la vita già a 12 persone. [version française]
Chi ha sparato le raffiche di kalashnikov dentro la redazione del giornale e poi in strada appartiene alle frange dell'islamismo radicale e armato? Jihadisti di ritorno? Terroristi fatti in casa o di importazione? Non lo sappiamo ancora ma abbiamo altre certezze.
CH è un giornale di satira, espressione di una cultura libertaria che ha sempre rifiutato l'idea che possa esserci un qualsivoglia argomento tabù su cui esercitare la satira. Già immaginiamo le reazione a quanto accaduto, come la morte di giornalisti che si sono battuti, in maniera spesso controversa, per la libertà d'espressione, sarà strumentalizzata da chi dirà "siamo sotto attacco", "siamo in guerra", "tornano le crociate".
E noi dovremmo usare tutto il fiato che abbiamo in corpo per dire: no, non siamo in guerra, o almeno non siamo in guerra noi "europei e bianchi" contro le comunità migranti che vivono con noi nelle metropoli europee. Dovremmo dire siamo in guerra contro ogni fascismo di ogni matrice, e per questo ad esempio siamo al fianco dei partigiani del Rojava che si battono contro l'Isis e siamo stati a fianco dei giovani delle piazze delle primavere arabe.
Urlare che l'unica guerra che si combatte nelle nostre città è quella di chi impone la povertà e la miseria a tutti, migranti e indigeni, nelle periferie delle metropoli e nelle province di tutta Europa. Vedremo sciacalli come Salvini e Le Pen lanciare i loro slogan truculenti, i loro sgherri agire nell'ombra o alla luce del sole per lanciare le loro crociate. Dovremo lottare per non fare arruolare i giovani proletari delle banlieues delle nostre città in qualsiasi guerra santa, sia quella di qualche califfo o imam o quella dei fascio-leghisti e degli islamofobi.