Micromega
26 05 2015
Laurea in filosofia, madre di un bimbo di 4 anni e “attivista dei diritti umani e della democrazia”. Un ritratto della neo primacittadina di Barcellona che negli anni ha partecipato ad interessanti esperienze dal basso come il movimento contro le requisizioni delle case e gli Indignados. Ha vinto a capo di una lista civica, sostenuta anche da Podemos: “Davide ha sconfitto Golia”. L’utopia che diventa realtà.
di Giacomo Russo Spena
“La politica è un impulso sociale intento a migliorare le nostre condizioni di vita, penso sia l’aspetto più nobile che può caratterizzare un essere umano, insieme alla cultura e all'arte”. E Ada Colau, 41 anni, ha la politica nel dna. Sente le ingiustizie, le vive, le capta e lotta per contrastarle. Da anni è nei movimenti. “Ci dissero: se volete qualcosa presentatevi alle elezioni. E qui stiamo”, rispondeva così, prima del voto, a chi provocando si riferiva alla mobilitazione degli Indignati spagnoli.
“Il futuro di Barcellona è nelle vostre mani. Ogni voto sarà decisivo” ha scritto come ultimo tweet, prima del silenzio di rito. I risultati sono palesi: Davide ha sconfitto Golia. Piange, commossa, con a fianco il marito, economista, Adrià Alemany, dalla cui relazione è nato un figlio di 4 anni. “Dicevamo che il cambiamento era possibile, così è stato”. Con una candidatura civica sostenuta da movimenti e partiti, come Podemos e Izquierda Unida. Una vita dalla parte dei più deboli.
Negli anni ‘90 si mobilita contro la prima Guerra del Golfo, poi frequenta i collettivi studenteschi dell’università di Barcellona, dove si laurea in Filosofia con una tesi su Simone de Beauvoir. Per lei anche una breve parentesi Erasmus a Milano che le permette di familiarizzare con l’italiano. Con il movimento No Global inizia la sua militanza a tempo pieno e, dopo il G8 di Genova 2001, si fa promotrice a Barcellona dei primi cortei pacifisti contro le guerre preventive di Bush. Quel popolo arcobaleno che il New York Times definì nel 2003 la seconda superpotenza al mondo, dopo gli Usa. Si definisce “un’attivista dei diritti umani e della democrazia”.
È fronteggiando il dramma abitativo che diventa una leader di movimento conosciuta tanto da essere considerata dalle istituzioni “un soggetto pericoloso”. La crisi spagnola è stata causata dallo scoppio di una doppia bolla speculativa, e questo perché il settore creditizio e quello immobiliare erano cresciuti in maniera abnorme. Ovunque si sono diffusi i pignoramenti delle case, come un’ epidemia. Con famiglie, impossibilitate a pagare la rata del mutuo, finite in mezzo ad una strada da un giorno all’altro. Colpa soprattutto di una legge che in Spagna è conosciuta e temuta da tutti. La legislazione, ancora in vigore, prevede che in caso di insolvenza, colui che ha stipulato il mutuo non solo perde l’abitazione ma rimane vincolato al pagamento delle rate. Succede, insomma, che oltre a ritrovarsi a pagare l’affitto di una nuova abitazione (perché si è persa la propria) rimanga la spada di Damocle del vecchio mutuo. Un meccanismo infernale che ha finito per coinvolgere anche i garanti dei mutui, spesso genitori o parenti. Con risvolti drammatici, come un effetto domino: case perse una dietro l’altra e intere famiglie sull’orlo del baratro.
Dal 2006 al 2012, in Spagna 420mila alloggi sono tornati nelle mani delle banche: un dramma sociale di cui l’immobiliarismo finanziario è il solo responsabile. Per fronteggiare il problema abitativo nascerà, come risposta, la “Plataforma de Afectados por la Hipoteca” (Pah, Piattaforma delle vittime dei mutui), un movimento sociale apartitico che dal 2011 s’intreccerà con gli indignados e si opporrà agli sfratti con picchetti, trattative con le banche e proteste. La leader, indiscussa, sarà proprio Ada Colau.
Tra i punti programmatici: prediligere un incentivo alla locazione rispetto alla casa di proprietà; rivendicare l’uso sociale delle abitazioni vuote presenti in città, aumentando la pressione fiscale nei confronti di chi è proprietario di case sfitte; esigere il controllo dei prezzi delle abitazioni per evitare aumenti artificiali e riduzione del valore del suolo per uso sociale; battersi contro la corruzione e la speculazione; chiedere che ogni intervento edilizio sia programmato secondo i principi di un’urbanistica sostenibile che non sia in conflitto con l’ambiente. Colau si rende protagonista di picchetti antisfratto, manifestazioni e innumerevoli azioni contro le banche tanto da essere più volte denunciata. Vive in una caserma occupata della Guardia Civil nel quartiere popolare di Barceloneta.
La Pah fornisce anche assistenza legale, diventando un movimento interclassista: il ceto medio – polverizzato dalla crisi – è vittima delle requisizioni. La Piattaforma ha optato per riscrivere dal basso la legislazione in materia lanciando anche la sfida della legge popolare. Erano necessarie 500mila firme, ma in pochissimo tempo il movimento ne ha raccolte – grazie ad una mobilitazione nazionale – un milione e 200mila. Un evidente successo. Eppure il governo di Rojoy si mostra sordo: la legge popolare viene bloccata dai conservatori.
Nel 2011 è il turno del 15M e degli indignados. Ada Colau, e la Pah, attraversano quelle proteste moltitudinarie. Un nuovo modo di fare politica e di occupare lo spazio pubblico. Una volta diminuite le assemblee di quartiere, la Pah divenne un punto di riferimento della lotta, così come le mareas (“maree”). Gruppi di persone autorganizzate per vertenze in specifici settori.
Anche qui Ada Colau svetta per la sua popolarità e per le sua capacità comunicative ed aggregative. Fino alla decisione di candidarsi a sindaco di Barcellona, sostenuta in primis da Podemos. “Troviamo strategicamente fondamentale sostenere movimenti e comitati civili” spiegava Pablo Iglesias al congresso del partito, giungendo al punto di non presentare propri candidati e simboli. Così intorno ad Ada Colau è stato possibile formare una lista civica che si è messa in rete con altre esperienze di autogoverno nate in diverse città spagnole. La sua candidatura mette insieme vari frammenti della sinistra: da Podemos, ai rosso-verdi catalani di ICV, a Izquierda Unida, oltre a vari movimenti cittadini: “Il processo elettorale nasce in questo contesto di rivoluzione democratica. Dobbiamo esserne orgogliosi: in altri paesi la risposta è stata di tutt’altro segno. Il municipalismo poi è storicamente un luogo di rottura dal basso, dove la politica è più vicina alle persone”, ha dichiarato la neosindaca in una recente intervista a Il Manifesto.
Una campagna elettorale travolgente che ha visto la partecipazione di migliaia di persone. Un programma scritto dal basso attraverso affollate assemblee nei quartieri e l’utilizzo della Rete. Vera esperienza di tecno-politica. E senza alcun grande finanziatore alle spalle, né le tanto odiate banche: trasparenza e crowdfunding, i pilastri per fare politica dal basso. Una proposta radicale, a leggere il programma. Una lezione di conflitto e consenso a vedere i risultati elettorali. Nei comizi finali anche la sorpresa della visita di Pepe Mujica, l’ex presidente “guerrigliero” dell’Uruguay che ha elogiato la sua candidatura. L’occupante di case diventa sindaco. Senza rinnegare nulla. Senza cambiare. L’utopia che diventa realtà.
Il Manifesto
25 05 2015
Gli spagnoli hanno votato il cambiamento, come si aspettavano tutti gli osservatori. Alcune volte più moderato, altre più deciso, ma pur sempre un cambiamento importante. L’affluenza al voto è stata del 65%, un punto in meno che nel 2011.
Ma in alcuni comuni importanti, come Barcellona, è passata da meno del 50% a quasi il 61%.
La mappa politica del paese non è più la stessa: le due forze principali, Pp e Psoe, raccolgono poco più del 50% dei voti. Un arretramento molto pesante.
In termini relativi, il Pp si mantiene la prima forza in 9 delle 11 comunità autonome in cui aveva la maggioranza assoluta. Ma nella maggior parte di esse non potrà più governare, neppure alleandosi con il partito ideologicamente più vicino: Ciudadanos.
Anche nelle roccaforti Madrid e Valencia il Pp rimane il primo partito ma in entrambi i casi se i socialisti riescono ad allearsi con Podemos e/o altri partiti di sinistra (come Compromís a Valencia) il Pp perderà il governo.
In quasi tutte le comunità si profilano governi di coalizione in funzione anti-Pp. Anche il braccio destro di Rajoy, la presidente della Castiglia-La Mancia ha perso la maggioranza assoluta (nonostante la riforma elettorale che distorce la rappresentanza e che aveva promosso per garantirsi la rielezione) e neanche lei potrà recuperare la presidenza neanche scendendo a patti con Ciudadanos.
A livello nazionale, formalmente, il primo partito rimane il Pp con 5,8 milioni di voti (ma nel 2011 ne aveva 8 e mezzo) e il Psoe il secondo con 5,4 milioni (nel 2011 erano più di sei). Terzo partito Ciudadanos con 1,4 milioni di voti.
Ma questi dati vengono calcolati sui dati municipali, dove Podemos non si presentava con il proprio simbolo, e Izquierda Unida in molti comuni si presentava in coalizione.
Detto questo, Iu in tutti i casi in cui ha deciso di correre sola (al contrario della posizione difesa da Alberto Garzón, futuro candidato alla presidenza del governo), ha perso la maggior parte dei suoi rappresentanti, e in alcune comunità autonome non ha più neppure un deputato (come nella comunità di Madrid o in Extremadura dove il partito aveva permesso che governasse il Pp). In totale ottiene un milione di voti, contro il milione e mezzo di 4 anni fa. Scompare l’ex quarto partito nazionale, UpyD, guidato da Rosa Díez (che ha già annunciato le dimissioni).
Nei comuni grande successo delle «coalizioni di unità popolare» promosse da Podemos. Nelle due sfide-simbolo si affermano le outsider.
A Barcellona prevale la ex portavoce della Piattaforma vittime del mutuo, Ada Colau, la cui lista ha un consigliere in più del centrodestra di Convèrgencia i Unió del primo cittadino uscente Xavier Trias (11 contro 10 – ma la maggioranza in consiglio comunale è di 21 seggi).
Nella capitale, Ahora Madrid di Manuela Carmena dispone di un consigliere in meno della lady di ferro popolare Esperanza Aguirre (21 contro 20, maggioranza 29), ma potrebbe diventare sindaca di Madrid con l’appoggio del Psoe (9 seggi).
Per il sistema elettorale spagnolo, a meno di una coalizione contraria, il sindaco spetta alla lista più votata anche se non ha la maggioranza. Altre sfide importanti: a Siviglia tornano a governare i socialisti e a Valencia, anche se il Pp mantiene la maggioranza relativa, una probabile coalizione di sinistra a tre sottrarrà il potere alla storica sindaca popolare Rita Barberà.