Il Fatto Quotidiano
19 12 2013
Tahir vuole andare a scuola ma per lui non c’è posto. E’ arrivato otto mesi fa dal Bengala per raggiungere i suoi familiari. Suo padre non ha avuto dubbi: l’ha voluto subito mandare a scuola. Ha sognato per lui un banco, dei compagni, dei professori che gli insegnassero l’italiano e la matematica, l’inglese e scienze. Come tutti gli altri ragazzi. Voleva integrarlo da subito, fare in modo che il suo essere straniero fosse una ricchezza non una difficoltà.
Tahir (lo chiamiamo così), 12 anni, a Bologna ha trovato tutte le porte delle scuole chiuse, troppo piene per accogliere un ragazzo, per dare istruzione a uno straniero. La denuncia arriva dalla scuola di italiano con migranti Xm24 e dall’ufficio stranieri della Cgil che ai microfoni di Radio Città Fujiko ha confermato che non è insolito che le scuole tentino di rifiutare l’iscrizione e non prendano in carico la domanda.
Una storia vergognosa che dovrebbe vedere l’immediato intervento del ministro della Pubblica Istruzione Maria Chiara Carrozza e dell’integrazione Cécile Kynge.
Il dodicenne bengalese, dopo mesi in cui si è visto la porta delle scuole in faccia, da dicembre risulta iscritto ad una scuola media della città ma non la può frequentare perché il dirigente ha una capienza per soli 105 studenti e ne ha già presi venti in più.
Nessun istituto della città ha un banco per il ragazzino bengalese. Sembra di rivedere un’altra storia raccontata nei Vangeli quando a Maria e Giuseppe fu negato un posto.
Non solo. La Cgil ha raccontato a Radio Città Fujiko che è molto difficile che un migrante riesca autonomamente a iscrivere il proprio figlio a scuola ad anno scolastico già iniziato: “Se va da solo incontra difficoltà”.
Una vera e propria discriminazione razziale che si scontra con l’articolo 34 della Costituzione italiana (“La scuola è aperta a tutti…”), con l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (“Ogni individuo ha diritto all’istruzione…..”), con l’art.45 del Dpr n.394/99 (“I minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani. Essi sono soggetti all’obbligo scolastico secondo le disposizioni vigenti in materia. L’iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani. Essa può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno scolastico”).
Forse qualcuno non ha capito che rifiutare l’istruzione ad un ragazzino migrante significa perdere una scommessa fin da ora. Indipendentemente dei ragionamenti di chi vorrà aprire una riflessione sui flussi migratori (apriamola pure senza retorica!), il negare l’istruzione perché non c’è posto, è un’ingiustizia sociale e una sconfitta dello Stato.
Ora, immaginate se quel ragazzino fosse stato il figlio di un benestante arrivato da New York. Oppure proviamo a pensare se fosse stato un italiano a cui è negato l’accesso all’istruzione perché la scuola è piena. Si sarebbe scatenato il finimondo e qualche onorevole bolognese avrebbe già fatto un’interrogazione parlamentare. Ma Tahir è bengalese…
Tra l’altro basterebbe guardare ai rapporti della Fondazione Ismu per studiare i flussi migratori degli alunni non italiani neo entrati nel sistema scolastico nazionale e prevedere “posti” in più, per esempio, nelle prime classi di ogni ordine di scuola visto che in percentuale si registrano maggiori iscritti. Un’analisi che va affiancata ad un intervento serio di sostegno e di mediazione culturale ai neo entrati perché è evidente che i “posti” in più nel sistema scolastico per i neo migranti devono corrispondere ad un numero maggiore di docenti. Forse, per parafrasare le parole di Gesualdo Bufalino, avremmo bisogno di “un esercito di maestri”.
Alex Corlazzoli
Il Fatto Quotidiano
16 12 2013
Corriere del Veneto
11 12 2013
TREVISO – Sarebbe tutto iniziato con un bacio in un corridoio. Un bacio forse troppo avido, per alcuni. Anche se poi la versione ufficiale è quella di un abbraccio. Protagoniste, due studentesse del Duca degli Abruzzi, istituto superiore di Treviso. Uno loro coetaneo, indignato, ha spedito una lettera alla vicepreside. La quale avrebbe richiamato le due studentesse. Un episodio ancora borderline, dal quale però è già scaturita una conseguenza reale. Sabato prossimo, durante la ricreazione, gli studenti hanno organizzato un flash mob: tutti cingeranno al braccio un nastro viola, il colore simbolo della lotta all’omofobia. I fatti sono raccontati da Lorenzo Boz, rappresentante della consulta provinciale degli studenti per il Duca degli Abruzzi.
«La nostra vicepreside, la professoressa Renata Moretti, ha convocato due ragazze che frequentano la sede distaccata di San Pelajo», spiega. «Il motivo: aveva ricevuto una lettera di uno studente che si lamentava del loro comportamento tra i corridoi scolastici. Io ho parlato con le ragazze, che mi hanno detto di essersi solo abbracciate». Fatte queste premesse, c’è però un «retrogusto omofobo», per citare Boz, e di qui la decisione, «in armonia col corpo docente» di organizzare durante l’assemblea, convocata per sabato mattina, il flash mob tra le 10.45 e le 10.50 nel parcheggio antistante la scuola, una iniziativa pensata e voluta dai compagni di classe delle ragazze. «Precisiamo però che il comportamento dei docenti è stato totalmente corretto», precisa il rappresentante degli studenti.
«Anche se ci fosse stato un richiamo, è assolutamente legittimo: nel regolamento scolastico sono vietate le effusioni amorose in luoghi pubblici, indipendentemente dal sesso dei protagonisti». La preside dell’istituto, Maria Antonia Piva, conferma l’accaduto, che sarebbe avvenuto lunedì 9 dicembre, di mattina. «Ma a me risulta al più un normale richiamo in corridoio, di quelli che si fanno ogni giorno», puntualizza. «In ogni caso voglio vederci chiaro, convocherò i protagonisti per capire cosa è effettivamente avvenuto». Per quanto riguarda la manifestazione, la docente non pone paletti, anzi. «Siamo attenti a tutte le dinamiche educative, è importante oliare il dialogo tra educatore e studente», chiude. «E non mi pare sbagliato che i ragazzi possano riflettere sui temi della discriminazione politica, razziale o sessuale senza con questo contrapporsi al corpo docente».