La Stampa
16 10 2013
Tommy ha sei anni e da dieci giorni dorme con una mano appoggiata sulla guancia. Come per difendersi. Per nascondere lo schiaffo che lui e i suoi compagni di scuola dicono sia partito dalla maestra. Un episodio ancora da chiarire, che la stessa insegnante ha prima ammesso e poi smentito in una relazione invitata ieri mattina alla preside. Di certo c’è una famiglia furibonda, lei italiana e lui senegalese, che parla apertamente di gesti di razzismo. E c’è una denuncia «per abuso dei mezzi di correzione» presentata dalla coppia, che rientrando dall’ennesimo confronto in direzione si è trovata davanti a casa il marito della docente, intento a farsi un’idea di dove abitassero.
All’uscita da scuola
Sono le 16 di giovedì 3 ottobre. Tommy è in fila con gli altri compagni della scuola elementare di Carmagnola. Frequenta l’istituto da tre settimane. E’ vivace. Ride e scherza con i suoi nuovi amici. Sembra che il più vicino gli faccia il solletico. Lui si scansa, urta un altro con lo zaino e quasi lo fa cadere. La maestra, supplente di 53 anni, lo invita a ritornare al suo posto. Lo fa in maniera energica e, a sentire i bambini presenti, parte un sonoro ceffone. E’ uno di loro ad avvisare il padre di Tommy. Lui va dritto dalla donna per chiedere spiegazioni. Si sente rispondere che non è successo niente. Che il ragazzo è bravissimo. Ma quando sale in macchina, l’uomo vede le cinque dita stampate sulla guancia. «Mi brucia ancora», dice Tommy tra le lacrime.
Un gesto di rabbia
L’uomo torna dall’insegnante. Le dice di non farlo mai più. La replica arriva la mattina dopo davanti al dirigente scolastico, il suo vice ed entrambi i genitori. «E’ stato un momento di rabbia. Non è facile gestire 24 bambini tutti insieme» si sfoga la docente, che non si scusa. Volano parole grosse. La madre del piccolo insulta l’insegnante. «Ero accecata dalla rabbia - racconta - Come si fa a picchiare un bambino per così poco? E perché, tra tutti quelli che si stavano agitando, è stato preso di mira proprio lui? Se un docente non regge la pressione, allora deve cambiare mestiere». La preside, Carla Leolini, riesce a placare gli animi promettendo una rapida soluzione.
Il cambio di classe
La decisione viene presa nel giro di pochi giorni. Da lunedì la supplente non insegna più nella classe di Tommy. Qui il suo servizio si limitava a dieci ore settimanali, che saranno coperte dal corpo docente. «Abbiamo agito prima di tutto per la serenità del piccolo - dice Leolini -. Ho scritto un rapporto al provveditorato e spiegato che la decisione è stata presa in accordo fra tutte le parti. Quel che è successo veramente è ancora da chiarire. Di certo non possiamo che condannare qualsiasi gesto violento nei confronti degli alunni».
Tutto risolto? Nemmeno per sogno. Perché la maestra adesso ha cambiato versione. Parla di un «contatto accidentale» e minaccia querele per ingiurie e minacce. La mamma di Tommy viene informata durante l’ultimo consiglio di classe. A scuola arrivano anche il compagno, sempre più arrabbiato, e i carabinieri.
Spiati dal marito
Al ritorno a casa la famiglia trova un uomo accanto alla porta, che subito cerca di allontanarsi. Finge di entrare in un cortile a poca distanza, ma è sfortunato. La porta si apre ed esce il vero padrone di casa. Lo sconosciuto è il marito della maestra elementare. Dopo aver provato a convincere i presenti con un suo improvviso smarrimento, è costretto ad ammettere davanti ai militari di essere stato vinto dalla curiosità di sapere dove abitasse quel bimbo, che continua a ripetere: «Io quella maestra cattiva non la voglio più vedere».
Huffington Post
10 10 2013
Una piccola storia "scolastica" ha attirato l'attenzione dell'opinione pubblica, e in particolare delle famiglie con figli piccoli in età scolare. Una storia che fa riflettere sulla necessità di un'etica pubblica nelle nostre istituzioni, a partire da una struttura di base come la scuola elementare pubblica.
L'istituto Francesco Guicciardini di Roma, al momento di realizzare la composizione delle classi di prima (i cui principi sono stabiliti da norme ben precise) riesce, in spregio a questi regolamenti, a dare vita a una classe formata da 13 bambini e una bambina, figlia di genitori stranieri.
Inutile raccontare lo scompiglio e l'indignazione dei genitori dei bambini, sia di quelli italiani sia stranieri. Sono apparsi servizi in prima serata al Tg1, articoli su importanti quotidiani nazionali, dichiarazioni degli amministratori locali di regione e comune.
La ragione è evidente. Se i regolamenti prescrivono che ci siano classi "armoniose", nella composizione di genere non è per creare problemi alla dirigenza della scuola Guicciardini. È per non costruire ghetti, dando vita a situazioni di esclusione e disagio per i bambini.
Una sola bambina in mezzo a tanti bambini può andare incontro a una situazione di solitudine, con serie e gravi conseguenze in un'età molto delicata. Tutte argomentazioni che la preside Rosetta Accetto sembra, secondo quanto raccontano i genitori, non condividere.
Nonostante le tante sollecitazioni, pare che la dirigente scolastica abbia sempre rifiutato di ricevere le famiglie coinvolte, almeno sino a quando il caso non è stato sollevato dai media. Altrettanto indifferente sembra essere stato l'ufficio provinciale scolastico, dove il dirigente avrebbe ricevuto i genitori per ben due minuti (120 secondi), prima di congedarli.
I rumors all'interno della scuola raccontano che la Ia A sia in realtà una classe residuale, di risulta, dove sono andati coloro che non avevano "santi in paradiso", insomma i non raccomandati. Sarebbe una grave violazione di quell'etica pubblica indispensabile per l'azione di ogni funzionario pagato dalla collettività, nelle grandi come nelle piccole cose.
Siamo certi, e ci auguriamo, che la preside Accetto possieda quell'etica e ripari al suo errore, certamente non volontario, riportando l'equilibrio in una comunità scolastica sconvolta da questo episodio.
Nel frattempo, per chiarire la vicenda, abbiamo presentato un'interrogazione parlamentare al ministro Carrozza. È una storia piccola, ma non da poco. Nell'Italia di oggi anche il benessere di una singola bambina diventa importante per la nostra vita collettiva.
Marianna Madia
Il Fatto Quotidiano
06 10 2013
Superando.it
04 10 2013
Spiegare ai bambini e ai ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado che l’inclusione è una sfida, ma che accettarla fa vincere tutti e fa diventare migliori: è questo l’obiettivo della "Settimana dell’Inclusione", bella iniziativa promossa dal 7 al 12 ottobre da "ReaTech Italia", la grande rassegna dedicata a persone con esigenze speciali, in programma alla Fiera di Milano dal 10 al 12 ottobre.
Albert Einstein era dislessico, Beethoven sordo, Marylin Monroe balbuziente e la lista di personaggi famosi che hanno saputo affrontare i propri limiti e superarli sarebbe ben più lunga. Eppure, di fronte a una persona con disabilità o a un anziano malato, molti giovani – ma anche molti adulti – faticano ad accettarli, a capirne i limiti, a sapere come relazionarsi con loro.
ReaTech Italia, la grande rassegna dedicata a persone con esigenze speciali, in programma alla Fiera di Milano dal 10 al 12 ottobre prossimi, è partita proprio da quei grandi personaggi, per proporre nelle scuole di ogni ordine e grado, dal 7 al 12 ottobre, la Settimana dell’Inclusione, con l’obiettivo di spiegare ai bambini e ai ragazzi che l’inclusione è una sfida, ma che accettarla fa vincere tutti, fa diventare migliori.
"In Italia – afferma Francesco Conci, direttore esecutivo di Fiera Milano Congressi, organizzatore di ReaTech Italia – ci sono 4 milioni di persone con disabilità e oltre 7 milioni di anziani. Che cos’hanno in comune? Hanno esigenze speciali che li obbligano ad affrontare la vita in modo forse diverso dagli altri. Ciò però non significa certo che non abbiano qualcosa di importante da offrire agli altri, perché ciascuno di noi è unico e irripetibile e può crescere nella relazione con gli altri, trovare aiuto e offrirne. La nostra società deve quindi riscoprire che le persone valgono non per ciò che sanno fare o per ciò che possono produrre, ma per ciò che sono. Crediamo che sia importante che questi valori vengano trasmessi ai più giovani, che si imparino anche a scuola. Per questo, come ReaTech Italia, abbiamo deciso di lanciare la Settimana dell’Inclusione, un’iniziativa rivolta a tutti i tipi di scuole, che offrirà agli insegnanti supporti concreti, per affrontare il tema della disabilità e dell’accettazione dell’altro e del diverso".
Alle scuole e agli insegnanti, dunque, è stato proposto un percorso articolato che prevede la possibilità di lavorare in classe con gli alunni a partire da una serie di sussidi didattici e di spunti video e bibliografici, che saranno messi a disposizione nel sito di ReaTech Italia. Gli insegnanti potranno quindi chiedere ai ragazzi di realizzare degli elaborati (testi, immagini, video, presentazioni), che potranno essere postati sulla pagina Facebook dell’evento milanese: i più significativi saranno pubblicati su un grande wall ("muro") virtuale, in occasione dell’apertura della manifestazione, dal 10 al 12 ottobre.
Le classi che vorranno, poi, potranno visitare la manifestazione (che è ad ingresso gratuito) e partecipare alle numerose iniziative previste per le scuole: dalla giornata di sport paralimpico del 10 ottobre a una mostra di pittura tattile, dalla Pet Therapy alla Clownterapia, senza dimenticare un fitto calendario di incontri che comprendono tra gli altri un convegno sulla sicurezza stradale e numerose testimonianze di persone veramente uniche.
In particolare, nell'ambito della scuola, numerosi saranno gli eventi previsti all’interno di ReaTech Italia, tra i quali, ad esempio, il dibattito voluto dal blog InVisibili del «Corriere della Sera.it», ove il tema verrà affrontato insieme a una serie di esperti del settore e ai docenti che vorranno partecipare.
Barbara Orrico
Agora Vox
27 09 2013
Diverse volte ci siamo soffermati sull’inadeguatezza dell’ora di religione cattolica per trattare questioni come il dialogo tra confessioni o l’omosessualità in una società sempre più secolarizzata. Problema che diventa più cronico con l’aumento degli adolescenti che non sono credenti o non si riconoscono nella religione cattolica. Senza contare che gli insegnanti devono attenersi, pena il ritiro dell’abilitazione, a programmi redatti dalla conferenza episcopale “complementari” al catechismo, e talvolta non sono aggiornati né molto tolleranti. Si sentono quindi sempre più casi di studenti che lamentano un approccio poco moderno dell’Irc.
Un caso eclatante accadde a Venezia l’inizio di quest’anno, quando vennero pubblicati gli appunti di un professore di religione del liceo Marco Foscarini, in cui si trattava con un approccio integralista il tema dell’omosessualità.
L’ultimo episodio che evidenzia questa inadeguatezza arriva dal liceo classico "Annibale Mariotti" di Perugia.
Qui l’insegnante di religione, per avviare una discussione su certi temi spinosi, non ha trovato di meglio che somministrare agli studenti un questionario. Si chiedeva di attribuire un voto (da 0 a 10) “in ordine di gravità sulle principali colpe di cui ci si può macchiare”.
Nel lungo elenco a fianco di reati quali spaccio di droga, sequestro di persona, infanticidio, abusare di bambini e sofisticazione alimentare, o altri comportamenti condannabili come fare la guerra, troviamo anche omosessualità, aborto, prostituzione, eutanasia, divorzio, esperienze prematrimoniali, uso di contraccettivi, convivenza, “infettare con l’AIDS”, ma anche “non credere in Dio”, “non andare a messa”, “non pregare mai”. Alcuni studenti, indignati da questi accostamenti, hanno diffuso foto del questionario sui social network.
L’associazione Omphalos Arcigay Arcilesbica di Perugia ha denunciato l’accaduto e chiesto l’intervento delle istituzioni.
“Che in una scuola pubblica si propinino simili esercitazioni, con evidente impatto nella sfera psico-emotiva degli alunni è veramente sbalorditivo”, commenta Emidio Albertini, co-presidente di Omphalos, in un comunicato, “mentre le cronache ci raccontano tanti casi di giovani ragazzi omosessuali, che arrivano al suicidio perché si sentono soli, emarginati e derisi dai propri compagni, la scuola si mostra spesso carente nel fornire garanzia di inclusione a qualunque individuo nel gruppo classe, mancando inevitabilmente l’obiettivo fondamentale di disperdere atti di bullismo e discriminazione”.
Il dirigente scolastico, Filippo Vincenzo Maiolo, per tutta risposta ha parlato di “tempesta in un bicchier d’acqua” scatenata da Arcigay, promettendo di verificare quanto accaduto con l’insegnante. Nel frattempo ci si chiede, come fa Pasquale Videtta sul suo blog de L’Espresso, se questo test nel fare azzardati accostamenti non sia espressione di omofobia.
È alquanto infelice che siano messi sullo stesso piano come “colpe” di cui ci si può “macchiare” gravissimi reati e diversi peccati. Ciò non contribuisce a creare un buon clima nella scuola, specie tra categorie come non credenti o gay, perché può fomentare un pregiudizio omofobico, ateofobico o d’altro tipo. Certo, non c’è proprio da stupirsi, visto che la condanna di certi comportamenti — come essere gay, atei, abortire, usare il preservativo — è ribadita con forza dalla dottrina cattolica, sebbene papa Bergoglio sia reticente a parlarne per esigenze di immagine, come ha fatto capire nell’ultima intervista a Civiltà Cattolica.
L’approccio del questionario è quindi prettamente e tristemente cattolico, perché in maniera implicita etichetta con un pregiudizio negativo certi atti, lasciando allo studente la possibilità di dare un punteggio al grado di peccato. Nonostante i metodi assai discutibili, si potrebbe ipotizzare che l’insegnante abbia agito con scarsa responsabilità ma con buone intenzioni, allo scopo di stimolare un confronto con gli studenti su temi delicati. Una ipotesi che ci appare azzardata: in tal caso perché tra le “colpe” non includere anche “credere in Dio”, “pregare”, “essere omofobi” e “andare a Messa sottraendo tempo a più utili attività”?
Uno studente gay della classe, intervistato, ha detto che il questionario era stato distribuito anche l’anno scorso e “senza alcuna spiegazione preliminare e senza soprattutto definire il concetto di colpa”. Al che lui stesso aveva protestato e il professore gli aveva spiegato “che si trattava di una scheda non scritta da lui, ma redatta anni prima da uno studioso”. Ma ci tiene a precisare: “Non è una persona omofoba, non ingigantiamo la questione”. Visto il clamore destato, alcuni allievi della classe hanno scritto una lettera per difendere il docente e il buon nome della scuola contro le semplificazioni e il sensazionalismo dei giornali.
La finalità del test, tratto da una vecchia indagine sociologica, “era un confronto diretto su temi come l’aborto e il suicidio”, spiegano, e lo stesso insegnante “ci ha tenuto a precisare che la voce ‘omosessualità’ non fosse giustificabile”. Certo di questo va tenuto conto, ma queste parziali spiegazioni devono far riflettere su un altro aspetto. Se idee del genere vengono facilmente veicolate nei licei, pur con tutti gli accorgimenti e considerando lo spirito critico e la maturità dei ragazzi, si può solo immaginare cosa può essere inculcato nelle menti di bambini che fanno Irc per una o due ore alla settimana.
Va anche fatto notare che, parafrasando Nanni Moretti, le parole che si usano sono importanti: si poteva certamente anche cambiare o cassare qualche voce, perché appunto il problema non era solo l’omofobia strisciante, ma il sottofondo di condanna moralistica che passa con leggerezza e mette l’omicidio a fianco di cose come l’ateismo e l’omosessualità.
Ma a quanto pare episodi del genere nelle scuole sono solo la punta di iceberg clericale, e nemmeno tra i più gravi. Videtta racconta un fatto preoccupante raccontatogli dal dirigente di Omphalos, avvenuto qualche mese fa all’Ipsia Cavour-Marconi di Perugia. Erano stati invitati come associazione nell’ambito di un progetto ministeriale contro il bullismo, che colpisce anche gli omosessuali nelle scuole, ma un professore ha ottenuto che qualche giorno dopo per “par condicio” fosse organizzato un incontro con il gruppo cattolico Lot Regina della Pace, che promuove le terapie riparative per "curare" l’omosessualità.
Preoccupante che la propaganda integralista per “mondare” i gay sia ritenuta degno contraltare al bullismo omofobico, fatto di umiliazioni e pestaggi. E che una scuola pubblica permetta tutto questo, senza porsi problemi.
Il problema di fondo, di fronte a fatti del genere, è piuttosto per chi sceglie di far frequentare ai propri figli l’ora di religione, o degli stessi ragazzi che hanno posizioni laiche ma accettano di seguire l’Irc. Come noto, purtroppo diventa spesso una scelta obbligata, visto il lassismo delle scuole nel garantire l’ora alternativa (nonostante sia un diritto vederla attivata) o un’altra opzione rispetto all’insegnamento della religione cattolica.
L’Irc non è più adeguato alla società che cambia e ha scarsa valenza didattica, considerando che è un relitto concordatario che andrebbe semplicemente superato. E che pesa per oltre un miliardo di euro, soldi con i quali si potrebbe migliorare il sistema scolastico nel suo complesso, rendendolo più laico e pluralista. La nostra associazione fornisce assistenza nel caso ci fossero problemi o dubbi nell’attivazione dell’alternativa. Chiedere che vengano rispettati i propri diritti è possibile, anche quale strumento per garantire una scuola più pluralista e che concede sempre meno spazi all’integralismo montante.