Il Fatto Quotidiano
05 02 2015
Le condanne all’ergastolo comminate a duecentotrenta protagonisti laici e di sinistra della sollevazione del 2011 segna un punto di svolta importante nella politica repressiva dello Stato in Egitto. Il brutale clima intimidatorio e di violenza, che si è scatenato dal luglio 2013, non aveva come unico obiettivo la liquidazione politica (e anche fisica si può dire, dato l’alto numero di morti, feriti e di gente finita in carcere) dei Fratelli Musulmani, come spesso la vulgata mediatica ha fatto credere. Lo scontro, insomma, non era soltanto tra i militari e i Fratelli. Al contrario, il progetto di media scadenza del governo dei militari era la restaurazione dell’ancien regime, e ciò era abbastanza evidente, sin dall’inizio. Ma ora la prova schiacciante l’abbiamo avuta e resta poco da discutere sul punto: la recente assoluzione di Mubarak e la liberazione dei suoi figli, per non menzionare l’assoluzione di altri alti funzionari ed ex-ministri del governo di Mubarak, ha portato ad una riemersione dell’apparato del NDP (National Democratic Party, ovvero il partito di Mubarak).
I fattori che hanno consentito l’escalation della repressione statale in Egitto sono numerosi. In primo luogo, lo sbandamento delle forze laiche e di sinistra, ben sintetizzato nell’endorsement del leader Hamdeen Sabahi al generale al-Sisi, ma anche da parte dei sindacati, compresi quelli indipendenti. Allo stesso tempo bisogna anche tenere conto di un certo bisogno di stabilità che ha prevalso per un periodo nei movimenti e nei partiti di sinistra, che restano comunque formazioni politiche deboli, con scarso radicamento territoriale e particolarmente frammentate (il che non dovrebbe sorprendere più di tanto, visto che si tratta di un paese uscito dalla dittatura nel 2011). La loro debolezza si è del resto notata in questi ultimi due anni, anche a causa della incapacità di riprendere, almeno in parte, le piazze delle più grandi città.
I tentativi, poi, del governo dei militari di dare un po’ di fiato all’occupazione, con le grandi opere, tipo la costruzione del nuovo canale di Suez, hanno portato molte forze politiche a sottovalutare o a chiudere un occhio sull’aumento della violenza e della repressione di Stato.
A questi elementi occorre aggiungere la drammatica situazione nel Sinai, che meriterebbe più di un post per essere adeguatamente descritta ed analizzata. La persistente infiltrazione jihadista ha causato negli ultimi mesi decine di morti e feriti nel Sinai, in particolare tra le forze armate e di polizia. La risposta governativa è stata massiccia: con un intervento militare pesante, con l’imposizione del coprifuoco in una vastissima zona del Sinai (motivo che – secondo molti – ha portato l’intera regione verso la recessione), con il caos mediatico, realizzato sia attraverso la non rivelazione del numero reale delle vittime sia attraverso l’attribuzione esplicita ed implicita delle azioni terroristiche ai vecchi nemici, ovvero ai Fratelli Musulmani.
Si tace, o meglio non si parla ad alta voce delle infiltrazioni dell’ISIS o di altre organizzazioni terroristiche nel Sinai, i cui leader non sembrano, al momento, avere bisogno del supporto dei Fratelli per portare avanti i loro “affari” e le loro strategie di terrore (come ampiamente dimostrato in Siria e in Iraq). Ma l’estensione della paranoia terroristica in tutto il territorio del paese (fatto inevitabile se si attribuisce la colpa degli attentati ai Fratelli) è evidentemente utile in questo momento a chi governa, perché consente l’applicazione su larga scala di leggi liberticide e, di conseguenza, il totale “ripristino dell’ordine”, cioè del vecchio ordine.
Alla fine dei conti, comunque, il “ripristino dell’ordine”, dal luglio 2013 ad oggi, ha creato di fatto i presupposti di un permanere all’opposizione degli islamici, mettendo nel contempo in un angolo stretto le forze laiche e rivoluzionarie, che ora vengono anche brutalmente e per lungo tempo incarcerate. I duecentotrenta ergastoli sono, in questo senso, un evidente tentativo di eliminazione definitiva dalla scena politica delle forze più attive e impegnate nelle sollevazioni del 2011.
Eppure…i controrivoluzionari, di ogni rango e colore, farebbero male, molto male a stappare lo champagne. Il movimento dei lavoratori in Egitto è rimasto in piedi, nonostante anche su di loro si sia abbattuta, con forza, la repressione governativa. Diversi sono stati infatti gli scioperi nella solita Mahalla al Kubra, ma anche a Helwan, per quanto le loro rivendicazioni in questo periodo siano rimaste prevalentemente di tipo economico. Con i lavoratori egiziani sono rimasti in piedi anche tutti i problemi sociali, politici ed economici, ovvero tutti i motivi che spinsero, nel 2011, milioni di egiziani a protestare e a cacciare Mubarak e soci. La repressione e la progressiva cancellazione delle libertà sono sotto gli occhi di tutto il mondo, così come sono evidenti le conseguenze della crisi economica, della disoccupazione galoppante e delle disuguaglianze crescenti.
In piedi e sveglia è rimasta però anche la memoria delle diciotto giornate rivoluzionarie del 2011 tra i giovani egiziani. Sì, parlo di quei “giovani” di cui ora non frega più niente a nessuno in occidente, dopo averli naturalmente osannati come “eroi della democrazia” solo quattro anni fa.
Iside Gjergji
Amnesty International
03 02 2015
Al culmine di una campagna mediatica che chiede l'esecuzione dei responsabili degli attacchi contro l'esercito e la polizia, il 2 febbraio 2015 183 imputati sono stati condannati a morte nel processo d'appello per l'attacco alla stazione di polizia di Giza dell'agosto 2013, in cui morirono 11 agenti di polizia.
Il processo d'appello non è stato celebrato in un tribunale ma all'interno del Centro di polizia di Tora, presenti e testimoni unicamente agenti di polizia e familiari delle vittime. Non tutti gli imputati hanno potuto assistere al processo e tra quelli cui è stato consentito di presenziare, molti non hanno potuto ascoltare il contenuto dell'udienza né parlare con gli avvocati difensori perché isolati da una pesante vetrata scura. Agli avvocati della difesa non è stato consentito di rivolgere domande ai testimoni dell'accusa.
"Ormai, emettere condanne a morte in massa nei casi riguardanti l'uccisione di agenti di polizia è diventato quasi la regola, a prescindere dai fatti e senza alcun tentativo di accertare le responsabilità individuali. Queste condanne a morte devono essere annullate e gli imputati devono essere sottoposti a un nuovo processo, in linea con gli standard internazionali sull'equità dei giudizi e senza il ricorso alla pena di morte" - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Finora, 415 persone sono state condannate a morte, in quattro distinti processi per l'uccisione di agenti di polizia. In profondo contrasto, l'ex presidente Hosni Murabak è andato assolto per l'uccisione di centinaia di manifestanti nella rivolta del 2011 e non c'è stato un solo caso in cui le forze di sicurezza siano state chiamate a rispondere per l'uccisione di 1000 manifestanti nell'agosto 2013.
Nazioneindiana.com
27 01 2015
Una lettera in borsa
di Shaima El Sabbagh, attivista e poetessa egiziana, uccisa dal regime il 24 gennaio mentre portava fiori rossi a piazza Tahrir, per ricordare l’anniversario delle rivolte del 2011
Non sono sicura
Davvero, non era altro che una borsa
Ma da quando l’ho persa, sono guai
Come affrontare il mondo senza di lei
Specialmente
Perché le strade ci ricordano insieme
I negozi conoscono più lei che me
Perché era lei a pagare
Riconosce l’odore del mio sudore e le piace
Conosce tutti gli autobus
E ha un rapporto diverso con ogni autista
Ricorda il prezzo del biglietto
Ed ha sempre gli spiccioli giusti
Una volta ho comprato un profumo che non le piaceva
Me l’ha fatto versare tutto così non potevo mettermelo
A proposito
Ama anche la mia famiglia
E si porta sempre dentro una fotografia
Di tutti i suoi cari
Chissà cosa prova ora
Forse è piena di paura?
O disgustata dalla puzza di sudore di un’estranea,
Infastidita dalle nuove strade?
Fermandosi in uno dei negozi dove entravamo insieme
Sceglie ancora gli stessi articoli?
Comunque le chiavi di casa le ha lei
E allora sto qui ad aspettarla.
Tradotta in inglese dall’arabo da Maged Zaher e in italiano dall’inglese da Pina Piccolo
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Pina Piccolo, poetessa e traduttrice, risponde idealmente a Shaimaa e alla sua dolce poesia.
Messaggio della borsa a Shaimaa
Ti chiedo perdono, Shaimaa, habibi
ché vorrei essere stata più dura dell’acciaio
ma non sono che debole pelle di vacca
poca cosa contro metallo impuro
Cosa darei per aver potuto fare da scudo
al tuo tenero corpo
gemma di primavera
Sarei stata la tua corazza
contro la scheggia schizzata da epoche lontane
che prepotente osa fermare
il cammino umano
serva di Faraoni
che si cibano di linfa vitale.
In mano fiori rossi, li portavi alla Memoria
perché nel grande cuore del mondo
non si spengano le primavere.
Insieme a te non potrò più percorrere strade
non potrò più portare dentro le tue cose care
Le foto di tua figlia
Le tue chiavi
I nostri acquisti mondani
Ma per sempre sentirò
quel tuo profumo di calicanto
intenso che il cuore riscalda
nel dilagare dell’inverno
Pina Piccolo, per Shaimaa, 26 gennaio 2013